pensasse di fare. Era abituata a trasgredire alle regole, ma stava andando ben oltre il lecito, fingendo di essere lì in veste ufficiale per conto dell’FBI.
Allora perché aveva pensato che quella fosse una buona idea?
“E se dicessi di no?” Stiles sbottò.
Riley sapeva benissimo che questa era una prerogativa del capo, e, se avesse detto di no, avrebbe dovuto assecondarlo. Ma non voleva dirlo. Doveva prepararsi a fingere seriamente.
Lei rispose: “Capo Stiles, mi creda, non sarei qui se non fosse una questione dell’estrema importanza ed urgenza. Non ho affatto la libertà di dire di che cosa si tratta.”
Il Capo Stiles tamburellò con le dita sulla scrivania per alcuni istanti.
Poi disse: “La sua reputazione la precede, Agente Paige.”
Riley si sentì piccola dentro.
Questo potrebbe essere un bene o un male, pensò.
Era ben nota e rispettata tra le forze dell’ordine, per il suo grande istinto, la sua capacità di entrare nella mente dei killer, e per il suo metodo nel risolvere casi apparentemente irrisolvibili.
Era anche nota per essere talvolta una seccatura e una persona imprevedibile, e spesso finiva per non essere apprezzata dalle autorità locali che dovevano lavorare con lei.
Non sapeva a quale di quelle reputazioni il Capo Stiles si riferisse.
Avrebbe voluto poter leggere meglio la sua espressione, ma l’uomo aveva uno di quei volti che probabilmente non sembravano mai apprezzare nulla.
Ciò che Riley temeva davvero al momento era la possibilità che Stiles facesse la cosa più logica, prendere il telefono e chiamare Quantico, per avere conferma del fatto che lei si trovasse lì per conto dell’FBI. In quel caso, nessuno avrebbe potuto coprirla e sarebbe finita proprio in un bel guaio.
Beh, non sarebbe la prima volta, pensò.
Infine, il Capo Stiles smise di tamburellare con le dita e si alzò dalla scrivania.
L’uomo brontolò: “Beh, chi sono io per intromettermi negli affari dell’FBI. Andiamo, la accompagno alla cella di Morgan Farrell.”
Soffocando un sospiro di sollievo, Riley si alzò e seguì Stiles fuori dal suo ufficio, lungo i corridoi dell’affollata stazione di polizia,
Si trovò a chiedersi se qualcuno dei poliziotti intorno a lei potesse essere Jared Ruhl, l’agente che l’aveva contattata la sera prima. Ovviamente, non l’avrebbe riconosciuto se lo avesse visto. Ma lui poteva sapere chi era lei?
Riley sperava di no, per il bene di entrambi. Ricordò di avergli detto al telefono della morte di Morgan Farrell …
“Francamente, non sono affari miei.”
Era stata la cosa giusta da dire, e sarebbe stato meglio per Ruhl rimanere convinto che Riley fosse fedele alla sua decisione. Avrebbe potuto passare un brutto quarto d’ora, se il Capo Stiles avesse scoperto che era andato a fare domande fuori dal dipartimento.
Quando Stiles l’accompagnò nell’area di detenzione, Riley rimase quasi assordata dal rumore. Le detenute stavano colpendo le sbarre e litigando ad alta voce tra loro; quando videro Riley passare davanti alle loro celle, cominciarono a inveire anche contro di lei.
Finalmente, Stiles ordinò ad una guardia di aprire la cella occupata da Morgan Farrell, e Riley entrò. La donna era seduta sul letto e fissava il pavimento, apparentemente inconsapevole del fatto che qualcuno fosse arrivato.
Riley rimase scioccata dal suo aspetto. Nei suoi ricordi Morgan era estremamente magra e fragile. Lo sembrava ancora di più in quel momento, con indosso una tuta arancione, che sembrava un po’ troppo grande.
Appariva anche esausta.
L’ultima volta che Riley l’aveva vista, Morgan si era presentata ben truccata, elegante come la modella che era stata prima di sposare Andrew Farrell. Senza un filo di trucco, sembrava incredibilmente esile. Riley pensò che qualcuno che non sapesse nulla di lei avrebbe potuto scambiarla per una senzatetto.
In tono piuttosto gentile, il Capo Stile si rivolse a Morgan: “Signora, c’è una visita per lei. L’Agente Speciale Riley Paige dell’FBI.”
Morgan sollevò lo sguardo verso Riley e la fissò, quasi a chiedersi se stesse sognando.
Il Capo Stiles non attese oltre e si rivolse a Riley: “Mi chiami quando ha finito.”
Stiles lasciò la cella e ordinò alla guardia di chiudere la porta dietro di lui. Riley si guardò intorno, per vedere quale tipo di sorveglianza potesse avere la cella. Non rimase sorpresa nel vedere una telecamera. Sperava che non ci fossero anche degli strumenti audio. L’ultima cosa che voleva al momento era che Stiles o chiunque altro ascoltasse la sua conversazione con Morgan Farrell. Ma, ora che era lì, doveva sfruttare quell’occasione.
Appena Riley sedette sul letto accanto a lei, Morgan continuò a strizzare gli occhi verso Riley, quasi incredula.
Con voce stanca, lei disse: “Agente Paige. Non mi aspettavo di vederla. E’ gentile da parte sua venire a trovarmi, ma, davvero, non era affatto necessario.”
Riley iniziò: “Volevo soltanto …”
La sua voce si bloccò, quando si ritrovò a chiedersi …
Che cosa voglio esattamente?
Aveva davvero idea di che cosa ci facesse lì?
Poi, Riley chiese: “Potrebbe dirmi che cosa è successo?”
Morgan sospirò profondamente.
“Non c’è molto da dire, vero? Ho ucciso mio marito. Mi spiace di averlo fatto, mi creda. Ma ora che è fatta … beh, vorrei davvero tornare a casa adesso.”
Riley restò scioccata dalle sue parole. La donna non comprendeva in quale terribile situazione si trovava?
Non sapeva che in Georgia c'era la pena di morte?
Morgan sembrava non riuscire a tenere la testa alzata. Tremò al suono dell’urlo acuto di una donna, proveniente da una cella vicina.
Riprese: “Pensavo che sarei stata in grado di dormire in carcere. Ma ascolti tutto questo chiasso! Non smette mai, ventiquattr’ore al giorno.”
Riley studiò il volto esausto della donna.
Le chiese: “Non ha dormito molto, non è vero? E da molto tempo, suppongo?”
Morgan scosse il capo, confermando.
“Da ormai due o tre settimane, anche prima di finire qui. Andrew era entrato in uno dei suoi momenti sadici e aveva deciso di non lasciarmi sola e di non farmi dormire, giorno o notte. E’ facile per lui farlo …”
Fece una pausa, apparentemente consapevole del proprio errore, poi aggiunse: “Era facile per lui farlo. Aveva quel genere di metabolismo che posseggono gli uomini potenti. Riusciva a dormire tre o quattro ore ogni giorno. E, ultimamente, trascorreva molto tempo a casa. Perciò, mi perseguitava ovunque, senza lasciarmi alcuna privacy, entrando nella mia camera ad ogni ora, facendomi fare … ogni genere di cose …”
Riley si sentì un po’ nauseata al pensiero di quali “cose” non dette si trattasse. Era sicura che Andrew avesse sessualmente tormentato Morgan.
Morgan scrollò le spalle.
“Alla fine, sono esplosa, direi” concluse. “E l’ho ucciso. Da quello che so, gli ho dato dodici o tredici coltellate.”
“Da quello che sa?” chiese Riley. “Non lo ricorda?”
Morgan emise un lieve lamento di disperazione.
“Dobbiamo parlare di quello che ricordo e di quello che non ricordo? Ho bevuto e preso pillole prima che accadesse, ed è tutto annebbiato. La polizia ha continuato a interrogarmi, finché non ho compreso bene che cos’era accaduto. Se vuole