dedusse anche che Janet conoscesse bene il parco e avesse scelto i luoghi molto in anticipo, e anche l’ora del giorno, quando c’erano pochi visitatori. Riley non vide una singola persona in nessuna di quelle foto. Era come se Janet avesse avuto il parco tutto per sé.
Poi, ci furono alcuni scatti di un porticciolo, con banchine e barche, e l’acqua luccicava, mentre il sole tramontava infine. La gentile calma della scena era davvero tangibile. Riley poté quasi sentire il gentile infrangersi delle onde e i versi degli uccelli, poté quasi percepire la carezza dell’aria fresca sulla guancia.
Infine, giunse un’immagine molto più scombussolante.
Anch’essa rappresentava il porticciolo, o almeno Riley credette che lo fosse dalle forme delle barche e delle banchine. Ma tutto era confuso, caotico e disordinato.
Riley intuì quello che doveva essere accaduto in quel preciso momento in cui la donna aveva scattato quella foto …
La macchina fotografica le è caduta dalle mani.
Il cuore le batté così forte, che Riley temette potesse saltarle fuori dal petto.
Sapeva che l’immagine aveva catturato il preciso istante in cui il mondo di Janet Davis era cambiato per sempre.
In una frazione di secondo, tranquillità e bellezza erano mutate in bruttezza e terrore.
CAPITOLO NOVE
Mentre Riley fissava l’immagine confusa, si chiese …
Cos’è successo dopo?
Dopo che la macchina fotografica era caduta dalle mani della donna, che cosa le era successo?
Che cosa aveva vissuto?
Aveva lottato contro l’aggressore, finché in qualche modo quello non era riuscito a sopraffarla e legarla?
Era rimasta cosciente in tutta la sua disavventura? O era stata colpita fino a perdere i sensi proprio in quel momento, quando la foto era stata scattata?
Poi si era svegliata solo nell’orrore dei suoi ultimi momenti?
Forse non importa, Riley pensò.
Ricordò ciò che il coroner aveva detto sulla possibilità che Janet fosse morta per un’overdose di anfetamine.
Se era vero, allora era stata spaventata a morte.
E adesso Riley stava guardando il momento, congelato nel tempo, in cui quel fatale orrore era veramente iniziato.
Rabbrividì al pensiero.
Crivaro indicò la foto e disse a Charlie: “Ingrandisci tutto. Non solo questa, tutte le foto, ogni singolo centimetro.”
Charlie si grattò la testa e chiese: “Che stai cercando?”
“Persone” Crivaro rispose. “Chiunque tu riesca a trovare. Sembra che Janet Davis pensasse di essere sola, ma si sbagliava. Qualcuno la stava aspettando di nascosto. Forse, e dico forse, è riuscita a coglierlo su pellicola senza nemmeno accorgersene. Se trovi qualcuno, ingrandisci quanto più possibile.”
Sebbene non lo disse ad alta voce, Riley era scettica.
Charlie troverà qualcuno?
Ebbe una sensazione sul killer: l’uomo era fin troppo scaltro per farsi accidentalmente fotografare. Dubitava che persino una ricerca al microscopio sulle foto avrebbero rivelato delle tracce di lui.
In quel momento, il cellulare di Crivaro vibrò nella sua tasca. Disse: “Dev’essere McCune.”
Riley e Crivaro lasciarono la camera oscura, e Crivaro si allontanò per rispondere al cellulare. Sembrava eccitato ogni volta che McCune si faceva sentire. Quando terminò la chiamata si rivolse a Riley …
“McCune ha trovato il negozio di costumi dove Janet Davis ha scattato le foto. Ci sta andando proprio ora e dice che ci vedremo lì. Andiamo.”
*
Quando Crivaro parcheggiò l’auto vicino al negozio chiamato Costume Romp, l’Agente McCune era già lì ad attendere nel proprio veicolo. Uscì e si unì a Riley e Crivaro, mentre si avvicinavano al negozio. Inizialmente, a Riley apparve come un locale dalla modesta vetrina. Le vetrine anteriori erano piene di costumi, naturalmente: c’era una vasta gamma, che andava da vampiri e mummie a vivaci e suggestivi outfit dei secoli scorsi. C’era anche il costume dello Zio Sam per l’imminente Quattro Luglio.
Mentre seguiva Crivaro e McCune all’interno, Riley fu stupita dalla vastità dei grandi interni di mattoni, pieni di scaffali carichi di quelli che apparivano come centinaia di costumi, maschere e parrucche.
Vedere un tale numero di cose finte tolse il respiro a Riley. I costumi spaziavano da quelli da pirata, a mostri, soldati, principi e principesse, animali selvatici e domestici, alieni dello spazio fino ad ogni altro tipo di personaggio che riuscisse ad immaginare.
Questo fatto la sconvolse. Dopotutto, Halloween veniva soltanto una volta l’anno. C’era davvero un mercato che durava un anno intero per tutti questi costumi? In quel caso, che cosa ne facevano le persone?
Molte feste in costume, immagino.
Riflettendo, si disse che non doveva esserne sorpresa, considerando gli orrori che stava cominciando a conoscere. In un mondo in cui accadevano cose orribili, c’era ben poco da meravigliarsi se le persone volevano fuggire in mondi fantastici.
Non era neppure sorprendente che una fotografa talentuosa come Janet Davis si divertisse a scattare delle foto lì, nel bel mezzo di una tale vastità di soggetti. Sicuramente, in quel contesto, avrà usato vera pellicola, e non una macchina digitale.
Maschere e costumi di mostri ricordarono a Riley un programma televisivo che le piaceva guardare: era la storia di un’adolescente che combatteva e uccideva i vampiri e altri tipi di demoni.
Ultimamente, ad ogni modo, Riley aveva trovato quel programma meno interessante.
Dopo aver appreso della sua capacità di entrare nella mente di un killer, la saga di una ragazza dotata di superpoteri e correlativi doveri le sembrava un po’ troppo vicina alla sua realtà …
Riley, Crivaro e McCune si guardarono intorno ma non videro nessuno.
McCune gridò: “Salve, c’è qualcuno qui?”
Un uomo avanzò da dietro uno scaffale di costumi, domandando.
“Posso aiutarvi?”.
Era un soggetto impressionante: era alto ed estremamente magro, indossava una maglietta a maniche lunghe, con sopra stampato uno smoking. Indossava anche familiari occhiali “Groucho”, il tipo con un enorme naso bianco, occhiali dalla montatura nera e sopracciglia spesse e baffi.
Ovviamente colti alla sprovvista, Crivaro e McCune tirarono fuori i propri distintivi e presentarono se stessi e Riley.
Non apparendo affatto sorpreso dalla visita dell’FBI, l’uomo si presentò come Danny Casal, il proprietario del negozio.
“Chiamatemi Danny” li invitò.
Riley si aspettava che si togliesse quegli occhiali col naso. Ma, guardandolo più attentamente, comprese …
Quelli sono occhiali da vista.
Avevano anche delle lenti davvero spesse. Apparentemente, Danny Casal li indossava sempre, e senz’altro sarebbe stato piuttosto miope senza.
McCune aprì una busta.
“Abbiamo le foto di due donne” disse. “Abbiamo bisogno di sapere se le hai viste.”
Le sopracciglia, il naso e i baffi finti si alzarono ed abbassarono, mentre Danny annuiva. Agli occhi di Riley, apparve come un uomo troppo serio e rigido per indossare quell’oggetto.
McCune tirò fuori una foto e la diede al proprietario, così che la vedesse.
Danny