Джек Марс

Operazione Presidente


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Poi cancelliamo l’indagine noi.”

      Il vecchio si voltò dall’alta finestra. “Ci sono precedenti di un presidente che abbia ceduto il potere in anticipo?”

      Gerry lo Squalo scosse la testa. “No.”

      “Allora come facciamo?”

      Adesso Gerry sorrise. “Ho qualche idea.”

      CAPITOLO SETTE

      18:47 ora della costa orientale

      Studio Ovale

      Casa Bianca, Washington DC

      Era sola quando accompagnarono nella stanza Luke.

      Per un attimo, lui credette che stesse dormendo. Era seduta nel salottino, accasciata su una delle poltrone. Sembrava una bambola di pezza rotta, o una ragazzina delle superiori che mostra disprezzo per l’insegnante con quella postura da fannullona.

      La nuova Resolute desk incombeva dietro di lei. I pesanti drappi erano tirati, bloccando le alte finestre. Sul pavimento, lungo i margini del tappeto ovale, era stampata un’iscrizione:

      L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa – Franklin Delano Roosevelt

      Le parole facevano tutto il giro del tappeto, terminando proprio dove erano cominciate.

      Indossava pantaloni azzurri e una camicia bianca. La giacca era appesa sullo schienale di una sedia. Si era tolta le scarpe, che giacevano storte sul tappeto.

      Nonostante la postura, aveva gli occhi acuti e vivi. Lo osservavano.

      “Ciao, Susan,” disse.

      “Hai visto la conferenza stampa?” disse.

      Scosse la testa. “Ho smesso di guardare la tv più di un anno fa. Da allora mi sento molto meglio. Dovresti provare.”

      “Ho detto al popolo americano che non mi dimetto.”

      Luke quasi rise. “Scommetto che la cosa è stata accolta benissimo. Cos’è successo? Questo lavoro ti piace così tanto che non vuoi lasciarlo? Sono piuttosto sicuro che non funzioni così.”

      Le apparve un piccolo sorriso in volto. Il sorriso, a malapena presente, gli ricordò perché un tempo fosse stata una top model. Era bellissima. Aveva un sorriso che poteva illuminare una stanza. Poteva illuminare il cielo.

      “Hanno rubato le elezioni.”

      “Ovviamente,” disse lui. “E adesso tu le rubi a tua volta. Mi pare un bel piano.” Fece una pausa. Poi le disse quello che pensava sinceramente. “Senti, penso che tu stia meglio senza questo lavoro. Adesso non avranno più Susan Hopkins da maltrattare. Lascia che scoprano quanto vanno peggio le cose senza di te. Ti imploreranno di tornare.”

      Scosse la testa, il sorriso che si faceva più luminoso. “Non credo che funzioni così.”

      “Non lo credo neanch’io,” disse lui.

      Scosse la testa. Le sfuggì un lungo sospiro.

      “Dove sei stato, Luke Stone? Saresti dovuto rimanere qui. Ci siamo divertiti parecchio qui, una volta scemato un po’ il caos. Abbiamo fatto del gran bene. E tu dovevi insegnarmi a sparare. Ti ricordi?”

      Strinse le spalle. “Sì. Volevi sparare al capo dello stato maggiore congiunto. Me lo ricordo. Però non sparo da nove mesi. Andavo al poligono una volta ogni tanto, per tenermi in esercizio. Poi ho pensato, perché preoccuparsene? Non voglio sparare a nessuno. E anche se un giorno dovessi farlo, sono piuttosto sicuro che l’esperienza mi tornerà.”

      “Come andare in bicicletta?” disse.

      Sorrise. “O caderne.”

      Si mise seduta dritta e indicò la sedia di fronte a lei. “Davvero non sai cosa sta succedendo?”

      Luke si accomodò sulla sedia. Era una sedia con la spalliera dritta, né comoda né scomoda. “Ho sentito qualche tuono in lontananza. Il nuovo è di destra estrema. Non gli piacciono i cinesi. Riporterà il lavoro manifatturiero. Non so bene come – sparerà a tutti i macchinari? In ogni caso, se è quello che vuole il popolo…”

      “L’ignoranza è una benedizione, immagino,” disse Susan.

      “Non esattamente una benedizione, però…”

      “È un fascista,” disse lei. “È un miliardario, un barone brigante che ha finanziato i gruppi di suprematisti bianchi per decenni, apparentemente anche quando era al Senato. Progetta di andare in guerra contro la Cina il primo giorno in carica, probabilmente con colpi nucleari tattici, anche se non so bene quante persone ci credano davvero. Vuole costruire recinzioni e mura difensive attorno alle Chinatown delle città americane. Le sue osservazioni indicano disprezzo per le minoranze, per i gay, per i disabili, per chiunque non sia d’accordo con lui, così come sprezzo per l’indipendenza degli organi giudiziari del governo.”

      Luke non era sicuro di cosa pensarne. Era fuori dal giro da molto. Si fidava di Susan, e sapeva che lei credeva a quello che diceva. Lui però aveva dei problemi a crederci. Aveva servito nell’esercito sotto il comando di presidenti conservatori, e allo Special Response Team sotto il comando di presidenti liberali. Sì, erano diversi l’uno dall’altro, ma radicalmente diversi? Diversi fino a credere nel suprematismo bianco e nelle recinzioni di sicurezza attorno a enclave di minoranze? No. Proprio no. A prescindere da chi fosse al potere, c’era sempre qualcosa che si poteva chiamare american way.

      “E stai dicendo che la gente ha votato per questa roba?”

      Scosse la testa, adesso con enfasi. “Crediamo che ci siano stati diffusi brogli elettorali e soppressione di voto in almeno cinque stati, tutti swing state. È per questo che dico che hanno rubato le elezioni.”

      Luke stava cominciando a vedere il puzzle, ma mancavano dei pezzi. “Vuoi che indaghi sulla cosa?” disse. “È per questo che mi hai richiamato qui? Ci sarebbero altri cento…”

      “No,” disse lei. “Hai ragione. Ci sono altre cento persone. Abbiamo messo degli analisti dei dati a esaminare le macchine elettorali. Abbiamo messo degli investigatori a interrogare della gente sulla soppressione dei voti, soprattutto nei distretti neri del sud rurale. E, in maniera circostanziale e aneddotica, le prove sono già piuttosto forti. Non abbiamo bisogno di te per l’indagine.”

      La sua risposta lo confuse, e forse un po’ lo infastidì. Era solo ad alta quota in montagna a lavorare sui suoi problemi. A sfidarsi. A sfidare Dio a ucciderlo. Forse anche a trovare un po’ di chiarezza.

      Adesso era di nuovo a Washington DC, a farsi rimproverare da suo figlio e a ricevere sorrisetti dalla sua ex suocera. Era stato in colonna nel traffico e si era sottoposto a controlli di sicurezza. Si era rasato la barba e si era fatto tagliare i capelli. Era tornato tra gli esseri umani normali e i loro interessi e le loro preoccupazioni. Quando era un soldato in combattimento, lo chiamavano ‘tornare al mondo’ – luogo in cui in realtà non voleva stare.

      “Allora che cosa ci faccio qui?” disse.

      “Ancora non ne sono sicura,” disse lei. “Però so di aver bisogno di te. Ho fatto una cosa senza precedenti rifiutandomi di consegnare il potere. Non è mai stato fatto prima nella storia americana. Le cose qui potrebbero scaldarsi molto rapidamente, e non ci sono molte persone nella mia amministrazione di cui mi fidi. Voglio dire completamente, al cento per cento, senza alcun dubbio. Qualcuna sì, ma non di più.”

      Lo indicò. “E te. Fin dall’inizio del mio mandato come presidente non hai fatto che salvare questo paese. Tu mi hai salvato la vita. Hai salvato mia figlia. Potresti aver salvato il mondo da una guerra nucleare. Poi sei scomparso proprio quando le cose si sono messe bene. Non avevo mai incontrato un uomo come te, Luke. Sei fatto per il brutto tempo, per usare un eufemismo. E mi sembra che si stia preparando una tempesta.”

      Fatto per il brutto tempo.

      Non l’aveva mai sentita