SEDICI
CAPITOLO UNO
Mackenzie fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, facendosi forza e tentando di fermare il dolore. Aveva letto così tanto sul metodo di respirazione ma ora, mentre Ellington la stava portando all'ospedale, sembrava che tutto fosse scivolato fuori dalla sua testa. Forse era perché le si erano rotte le acque e sentiva il liquido colarle lungo la gamba dei pantaloni. O forse era perché aveva avuto la prima, vera contrazione circa cinque minuti prima e adesso ne sentiva arrivare un’altra.
Mackenzie si schiacciò contro il sedile del passeggero, osservando la città sfrecciare in un susseguirsi di oscurità, pioggerella e lampioni. Ellington sedeva dietro al volante irrigidito e fissando il parabrezza come un uomo posseduto. Strombazzò il clacson quando si avvicinarono ad un semaforo rosso.
“Ell, puoi anche rallentare.”
“No, no, va bene così.”
Con gli occhi ancora chiusi per la guida spericolata di Ellington, Mackenzie si posò le mani in grembo, cercando di capacitarsi che sarebbe diventata madre entro poche ore. Poteva sentire il bambino muoversi a malapena, forse anche lui spaventato dalla guida di Ellington.
Presto ti vedrò, pensò. Era un pensiero che le procurava più gioia che preoccupazione, ed era grata per questo.
I lampioni e i segnali stradali sfrecciavano a gran velocità. Smise di prestarvi attenzione finché non vide l’indicazione per il pronto soccorso dell'ospedale.
Un uomo era sul marciapiede all’esterno dell’edificio ad attenderli sotto la tettoia con una sedia a rotelle, informato del loro arrivo. Ellington fermò con cautela la macchina e l'uomo li salutò con un cenno della mano e sorrise loro con il tipico pigro entusiasmo che pareva caratterizzare quasi tutto il personale del pronto soccorso alle due di notte.
Ellington la trattava come se fosse fatta di porcellana. Sapeva che era iperprotettivo perché era un po’ spaventato anche lui. Ma a parte quello, era gentile con lei. Lo era sempre stato. E ora stava dimostrando che sarebbe stato gentile anche con il bambino.
“Ehi, aspetta, rallenta” disse Mackenzie mentre Ellington la aiutava a salire sulla sedia a rotelle.
“Cosa? Che c'è? Qualcosa non va?”
Avvertì un'altra contrazione, ma riuscì comunque ad abbozzare un sorriso. “Ti amo, tutto qui.”
L'incantesimo di cui Ellington sembrava essere stato vittima negli gli ultimi diciotto minuti – tra quando era balzato fuori dal letto alla notizia che era giunto il momento fino a quando la stava aiutando a salire sulla sedia a rotelle – si interruppe per un istante e lui ricambiò il sorriso. Si chinò e la baciò dolcemente sulle labbra.
“Ti amo anch'io.”
L'uomo dietro la sedia a rotelle distolse lo sguardo, leggermente in imbarazzo. Quando ebbero finito, chiese loro: “Siete pronti per avere un figlio?”
Mackenzie fece una smorfia all’arrivo di una contrazione. Ricordava di aver letto che sarebbero peggiorate con l’avvicinarsi dell’arrivo del bambino. Ciononostante, riuscì a guardare oltre e annuì.
Sì, era pronta ad avere quel bambino. Anzi, non vedeva l'ora di tenerlo tra le braccia.
*
Alle otto della mattina, si era dilatata di soli quattro centimetri. Ormai conosceva bene il dottore e le infermiere, ma quando cambiarono i turni, l'umore di Mackenzie iniziò a mutare. Era stanca, dolorante, e semplicemente non le piaceva l'idea che un altro dottore infilasse la testa tra le sue gambe. Ma Ellington, diligente come sempre, era riuscito a contattare la sua ginecologa, che sarebbe arrivata in ospedale il prima possibile.
Quando Ellington tornò nella stanza dopo la chiamata, era accigliato. Detestava vederlo così giù dopo l’esaltazione di essere il suo protettore la scorsa notte, ma era anche contenta di non essere l'unica a sperimentare sbalzi di umore.
“Che c'è?” gli chiese.
“Sarà qui per il parto, ma ha detto che non verrà fino a quando non sarai di almeno otto centimetri. Inoltre... stavo per portarti delle cialde dalla mensa, ma le infermiere dicono che dovresti mangiare leggero. Ti porteranno della gelatina e dei cubetti di ghiaccio.”
Mackenzie si spostò sul letto e si guardò il ventre. Preferiva guardare lì, piuttosto che le macchine e i monitor a cui l'avevano attaccata. Stava tracciando la forma del pancione con le mani, quando bussarono alla porta. Il nuovo dottore entrò con in mano la sua cartella clinica. Aveva un aria felice e completamente riposata, probabilmente reduce da un bel sonno ristoratore.
Bastardo, pensò Mackenzie.
Il dottore per fortuna non chiacchierò molto mentre la visitava. Mackenzie non gli prestò molta attenzione, onestamente. Era stanca e si stava addormentando persino mentre lui le cospargeva il ventre di gel per controllare i progressi del bambino. Si addormentò per qualche istante, fino a quando sentì il medico che le parlava.
“Signora White?”
“Sì?” rispose, irritata perché non riusciva a schiacciare un pisolino. Aveva provato tra una contrazione e l’altra... avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un po’ di riposo.
“Avverte qualche nuovo disagio?”
“Solo lo stesso dolore che ho avuto da quando siamo arrivati qui.”
“Ha sentito il bambino muoversi molto nelle ultime ore?”
“No, non direi. Perché... c'è qualcosa che non va?”
“No, non esattamente. Però credo che il bambino si sia girato. Ci sono buone possibilità che avrà un parto podalico. Inoltre sente un battito cardiaco irregolare... niente di terribilmente fuori dall'ordinario, ma abbastanza da suscitare preoccupazione.”
Ellington fu subito al suo fianco, prendendole la mano. “Podalico... è rischioso?”
“Quasi mai,” disse il dottore. “A volte impariamo che il bambino è girato a qualche settimana dal parto. Ma il vostro era nella posizione