Simone Arnold-Liebster

Sola di fronte al Leone


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nella vasca si sarebbe scaldata al sole di mezzogiorno, così avrei potuto sguazzarci dentro con mia cugina Angèle, ma non prima del riposino pomeridiano. Mentre eravamo stese sul divano tra i quadri di San Giuseppe e della Vergine Maria, una luce soffusa entrava dalle persiane accostate; sotto erano allineati dei vasetti pieni di marmellata messa a raffreddare. Qualche raggio di sole ne faceva scintillare il contenuto rosso scuro e giallo brillante, trasformandolo in rubino e oro. Ascoltavo con piacere il ronzio delle api e delle mosche che cercavano instancabilmente di entrare dalla finestra. Quanto amavo quelle melodie! Sognavo a occhi aperti, immaginando di essere una santa in cielo.

      All’annuncio della mamma: “Il papà sarà qui domani dopo la messa di Kruth!”, saltai dalla gioia.

      Il mattino seguente, il nonno si alzò di buon’ora per lavarsi alla fontana. Immerse la testa e il torso nell’acqua gelida. Poi, osservando i nuvoloni neri sopra la foresta tra Oderen e Kruth, decise che quel giorno, invece di andare a messa, avrebbe messo al riparo le mucche, prima dell’arrivo del cattivo tempo sulla fattoria di Bergenbach. Ero delusa. Mi piaceva tanto accompagnare il nonno a messa!

      Osservò: “Spero che Adolphe ce la faccia ad arrivare alla fattoria. Sembra che si stia avvicinando un brutto temporale”.

      La nonna e la mamma tornarono di corsa dalla prima messa. Il vento soffiava così forte da obbligare la nonna a trattenere il suo cappello “nuovo”, mentre la mamma litigava col vestito. Arrivarono entrambe trafelate e sbuffando nervosamente. In quel medesimo istante, giunsero anche le mucche che si accalcavano per entrare nella stalla. In previsione di un’interruzione di corrente, zia Valentine, che quel giorno era affaccendata in cucina, iniziò a cercare tutte le candele della casa. Poi corse in giardino per cogliere qualche lattuga, prima che fossero tutte distrutte da un’eventuale grandinata.

      Ancora non pioveva, ma il rimbombo del tuono segnalava l’avvicinarsi del temporale. La nonna si rifugiò nell’angolo più nascosto della fattoria col rosario stretto a sé. La sua paura era contagiosa. Angèle cominciò a piangere e sua madre a tremare. Zio Germain divenne bianco come un cencio e a gesti mi incitò a rientrare. Mi indicò il cane che era rintanato nella sua cuccia e teneva la testa fra le due zampe anteriori, implorando con i suoi grandi occhi umidi. Una sfacciata raffica di vento sventagliò le piume della coda del gallo che rientrava nel pollaio per ultimo.

      Un gocciolone cadde sulla mia testa e un altro mi colpì il naso, mentre un lampo illuminò Bergenbach. “Uno… due…”, contò il nonno e il tuono rombò. “Il temporale è a soli due chilometri da qui”, concluse. Mi sedetti per terra sulla soglia che separava la cucina dalla stanza vicina e guardai il viso della mamma. Da esso traspariva la stessa preoccupazione che vi avevo letto quando il papà era stato trattenuto in fabbrica.

      Poi l’acquazzone scoppiò. “Se ora si trova nella foresta, sarà pericoloso per Adolphe!” La voce di zia Valentine assunse un tono più drammatico, mentre continuava: “Se ne è già uscito, almeno non cercherà riparo sotto un albero”. Poi, rivolgendosi verso noi bambine, ci raccomandò: “Ricordatevi bene, ragazze! Non rifugiatevi mai sotto un albero quando ci sono i fulmini!” Per impedire che il bollito si scuocesse, tolse la pentola dalla cucina a legna e si rivolse a sua sorella che era rimasta silenziosa: “E se corre in cerca di un nascondiglio, il fulmine potrebbe colpirlo!” Mentre alimentava il fuoco con un ceppo umido, continuò il suo monologo: “E non si deve mai correre, mai usare l’ombrello!”

      La mamma vagava da una parte all’altra della cucina, così come la scodella del cane, trascinata qua e là nel cortile dalle raffiche di vento.

      Una figura si profilò vicino alla vigna e si diresse fin verso l’entrata. Era il mio papà, bagnato fradicio tanto da sembrare alto la metà. Ma che sollievo provammo quando varcò la soglia!

      Cadde un fulmine, seguito da un tuono così repentino da non avere nemmeno il tempo di contare. “Questo ha colpito proprio la roccia dietro casa!”, sentenziò il nonno. Vidi il papà entrare in cucina ancora tutto ricurvo per ripararsi dalla pioggia e dal vento. Si raddrizzò, prestando attenzione a non urtare il paralume di porcellana appeso al soffitto. La mamma lo aiutò a togliersi la giacca bagnata e andò a prendergli dei vestiti asciutti; intanto zia Valentine gli porse una scodella di zuppa calda.

      Il papà iniziò a mangiare. Chiese a zio Germain una sigaretta anche se, come tutti gli altri, aveva condannato vigorosamente il giovane abate della parrocchia, che fumava segretamente. Alla parete era appeso un accendino elettrico. Nel preciso istante in cui il papà lo stava usando per accendere la sigaretta, un fulmine colpì il melo cresciuto di fronte alla casa, proprio accanto alla linea elettrica. Mio padre fu scaraventato verso il soffitto e ricadde violentemente sulla schiena. Tutti gridarono: “Adolphe, Adolphe!”

      Zia Valentine accese subito delle candele. Sotto quella luce tremolante scorgemmo il papà disteso sul pavimento, pallido come un cadavere.

      “Respira”, costatò zia Valentine rivolgendosi alla mamma riapparsa proprio allora con i vestiti asciutti. Entrambe le sorelle esclamarono: “Oh Dio mio, grazie!” A poco a poco il papà riaprì gli occhi.

      “Riesci a muovere le gambe?”

      Il papà provò e ce la fece. Io invece no: ero paralizzata dall’emozione.

      “Tutto a posto, mi gira solo un po’ la testa”, disse, e per rassicurarci si alzò, appese i suoi abiti bagnati e infine bevve un’intera scodella del famoso brodo di carne della domenica.

      Un altro fulmine ci fece rabbrividire, ma fortunatamente cadde più lontano e colpì l’altra parte della vallata. Poi l’acquazzone cessò. Le piante del giardino giacevano a terra appesantite dalla pioggia, quasi dovessero riposarsi da quell’estenuante intermezzo. La nonna sbucò dal suo nascondiglio, si diresse immediatamente verso l’acquasantiera e si fece il segno della croce. “Siamo sfuggiti per un pelo a un incendio, con tutto quel fieno secco depositato in soffitta!”

      La calma dopo la tempesta sembrava aggiungere a quel pranzo festivo un sapore insolito. La nonna tracciò col coltello una croce sulla pagnotta fresca e poi tagliò delle grosse fette per ognuno dei commensali. Fuori gli alberi emersero lentamente dalla nebbia come fossero dei fantasmi.

      “Bambine, se volete giocare, potete andare in solaio”, ci concesse la nonna. Era una fortuna, perché lassù potevamo evitare tutte quelle noiose conversazioni degli adulti sugli scioperi.

      “Prima voglio un altra fetta di torta”, pretese Angèle con tono imperioso. E gliela diedero! Se io avessi chiesto qualcosa in quella maniera, mia madre avrebbe fatto orecchio da mercante! “Le signorine non dicono mai ‘io voglio…’ – mi soleva ripetere – dicono: ‘mi farebbe piacere avere…’ o ‘vorrei…’”

      Le scale che conducevano al solaio si trovavano in un angolo della casa. Sulla parte destra della soffitta era stato riposto del fieno. Sulla sinistra, in corrispondenza col soggiorno, c’era un baule dove era custodita ogni sorta di ricordini preziosi con i quali ci era permesso giocare. Attraverso gli interstizi del pavimento ci giungevano voci, fumo di sigarette e aroma di caffè. Svuotammo la parte del baule che conteneva vecchi vestiti e giocammo “alla casa” con tazze e piatti dell’Ottocento.

      Da sotto sentivamo la voce della nonna: “Se fossimo tedeschi, non ci sarebbe nessuno sciopero! Dall’altra parte del Reno nessuno sciopera!”

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      “Rifletti!”, ribatté il nonno. “Quando la madre di Adolphe era tra i promotori del primo vero sciopero socialista, non eravamo tedeschi a tutti gli effetti? Eppure, quando andò a confessarsi, il prete la rimproverò e la schiaffeggiò, minacciando di farle perdere il lavoro se si fosse impegnata ancora in quelle attività!”

      “Ma questo avveniva prima della Grande Guerra. Ora, sotto il regime di Hitler, i tedeschi hanno tutti un lavoro e una buona paga. Stanno prosperando!”, aggiunse la nonna.

      La pioggia tornò a martellare il tetto. Al piano inferiore gli adulti stavano ancora bevendo caffè e liquori: vino dolce fatto in casa per le donne, acquavite forte per gli uomini.