e scoppiò a ridere, mostrando tre denti mancanti. “No, non lo siete,” disse, quindi rise di nuovo, a lungo e di gusto.
Zoe diede un colpetto al braccio di Shelley. “Ci conviene chiamare la polizia locale,” disse, facendo un cenno con la testa verso l’auto prima di incamminarsi in quella direzione. Dietro di loro, lungo i ventiquattro passi che le separavano dall’auto, la risata del vecchio continuava a risuonare, seguendole come un cattivo odore.
Zoe sprofondò nel sedile del conducente e sbatté la portiera, forse più forte del necessario.
“Qual è il piano?” domandò Shelley con il fiato sospeso. Le sue guance erano diventate rosa. L’intero confronto era stato fuori dalla sua portata.
“Chiamerò il commissariato,” rispose Zoe. “Ci serviranno rinforzi, e la posizione del “fosso”. Quelli del posto la conosceranno sicuramente. E poi ci dirigeremo lì.”
Compose il numero sul suo cellulare, stimando già l’entità dei rinforzi che avrebbero dovuto chiedere … e sarebbe stato prudente avere anche dei giubbotti antiproiettile.
CAPITOLO UNDICI
Zoe sistemò le cinghie del suo giubbotto antiproiettile un’ultima volta, sentendo la presa rassicurante del Velcro sulla sua controparte, e la forza con cui si unirono.
Il retro del furgone della polizia era angusto. Shelley era seduta di fronte a lei, e poi c’erano otto uomini e donne della squadra SWAT, tutti equipaggiati con tenute d’assalto complete. Zoe non era abituata alla sensazione di avere un elmetto in testa, al modo in cui le parti imbottite premevano contro le sue guance. Ma era comunque meglio rispetto all’eventualità di fare irruzione ed essere un bersaglio esposto.
Si fermarono in una strada senza uscita a poca distanza dal loro obiettivo, il luogo di ritrovo che i membri della gang chiamavano casa. Il Fosso. Si scoprì essere un bar, o almeno di facciata; il genere di posto in cui gli estranei non erano assolutamente graditi. Entrare sarebbe stato un vero e proprio raid. Il capitano della polizia locale aveva chiarito loro che non c’era altra opzione, con uomini del genere. Entrare disarmati, non protetti e in veste di poliziotti voleva dire uscirne morti.
Avevano steso una mappa tra di loro, una piantina del luogo. Si trattava perlopiù di un insieme di contorni quadrati neri, approssimazioni basate su ciò che era stato osservato nel corso di retate precedenti combinate con le mappe catastali.
“Ci sono tre uscite: qui, qui e qui.” Il comandante dell’unità le stava indicando, una in ogni direzione della bussola, tranne il sud. “Questa è l’entrata principale, da dove faremo irruzione, sulla strada. Le altre due verranno usate entrambe. Per esperienza, la gang si separerà più o meno a metà, scappando in ogni direzione e cercando di dividere anche le nostre forze.”
“Cos’è questa struttura?” domandò Zoe, indicando un rettangolo all’interno dell’edificio.
“Quello è l’angolo bar. Di norma, ci aspettiamo che la maggior parte delle persone si concentri in quel punto, con tavoli e sedie disseminati attorno a quest’area. Laggiù, dietro le doppie porte, c’è il circolo privato. I pezzi grossi trascorrono lì dentro il loro tempo.”
“È lì che troveremo Cesar,” disse Zoe. Era un commento, più che una domanda. Ma sapevano tutti che lui era un pezzo grosso. Era una delle regole non scritte di una gang come questa: una volta che si finiva dentro per gli affiliati senza fare la spia, si entrava a far parte della cerchia ristretta.
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