Блейк Пирс

Se lei udisse


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di nuovo verso il vialetto. Kayla aveva una Kia Optima del 2017. Aveva proprio l’aria dell’auto di una ragazza del college per come se la immaginava Kate: piuttosto pulita, il portaoggetti cosparso di balsamo per labbra Chapstick, una bottiglia mezza vuota di acqua e un caricatore per cellulare. A parte questo, dentro non c’era nulla di interessante – sicuramente nulla che le avrebbe aiutate a determinare chi la stesse seguendo quella notte.

      Dopo l’auto, Gates aprì il portone anteriore. Spiegò loro che, andandosene dalla città, Sandra Peterson aveva dato a Gates le chiavi di casa per le indagini.

      «C’è qualche possibilità che sia una sospettata?» chiese Kate.

      «Anche se ne avessi il minimo sentore – e così non è – la cosa non spiegherebbe la prima vittima.»

      «È successo tre giorni prima di Kayla, vero?» chiese DeMarco.

      «Precisamente. Anche se sicuramente non c’è modo di escluderla con sicurezza, ho interrogato ogni singola persona presente nella sala da bowling alla chiusura. Nemmeno una ha detto di aver visto Sandra Peterson. Una donna sapeva esattamente di chi parlassi e ha trovato oltraggioso anche solo che lo chiedessi. Inoltre… torno alla dichiarazione del medico legale. Chiunque abbia strangolato Kayla Peterson aveva moltissima forza. E se conosceste Sandra Peterson avreste difficoltà a includerla nella lista. È pelle e ossa. Ha perso molti chili quando il marito se n’è andato. E non facendo palestra. Pare quasi denutrita. Malaticcia, a volte.»

      Kate e DeMarco osservarono l’ex stanza di Kayla. Mostrava i segni della ragazza che era stata, i residui dei poster di Hannah Montana a lato della cassettiera, dei quadrati leggermente sbiaditi sulle pareti dove un tempo erano appesi i poster. Trovarono due valigie fatte ai piedi del letto. Una era chiaramente adibita alle cose relative al matrimonio. Era piena di vestiti carini, trucchi e di quelli che sembravano appunti per un brindisi. L’altra era molto meno formale, con diversi abiti buttati lì insieme a un tascabile e ad articoli per l’igiene personale. Ma non c’era assolutamente nulla di utile per il caso.

      «Ha parlato con le amiche con cui è uscita la sera dell’omicidio?» chiese DeMarco.

      «Con tutte tranne una. A quel che ho raccolto, erano in tutto in quattro, Kayla inclusa.»

      «Mi piacerebbe parlare con tutte» disse DeMarco. Poi si girò verso Kate, come in cerca della sua approvazione. Kate le fece solo un breve cenno col capo, apprezzando il gesto di DeMarco.

      «Be’, è lunedì pomeriggio e lavorano. Potrei fare qualche telefonata per vedere cosa posso fare per radunarle tutte. Magari al distretto.»

      «Che ne dice di un bar o un ristorante?» chiese DeMarco.

      Gates parve perplesso, ma annuì lentamente. «Sì, in città ci sono un paio di bar. Be’, appena fuori città, in realtà. Sono piuttosto sicuro che alcune ragazze ne frequentino uno, un posto che si chiama Esther’s Place. Posso organizzarvi un appuntamento lì per le sei.»

      «Si assicuri che sappiano che non è facoltativo» disse DeMarco. «Se non ce la fanno a venire, andremo a casa loro.»

      Kate sorrise. Non era la strada che avrebbe percorso lei, ma era comunque efficace. Sapeva quello che stava pensando DeMarco. Solitamente, quando si interrogavano testimoni al di fuori di sale interrogatori e case private, la conversazione tendeva a fluire in modo più naturale. Kate non aveva mai preferito quell’approccio, in quanto le eventuali distrazioni diventavano un problema. Ma quello era il palco di DeMarco e le avrebbe permesso di condurre lo show come preferiva.

      Il terzetto uscì di casa e quando raggiunsero le rispettive auto, lo sceriffo Gates era già al telefono per organizzare l’incontro.

      «Mi chiedo perché abbia permesso alla madre di andarsene così» disse DeMarco montando in auto.

      «Quella donna ha appena perso la figlia. A meno che non ci siano prove sostanziali della sua colpevolezza o che sia in possesso di informazioni valide, non ha senso trascinarla in tutto ciò. Inoltre il dossier dice che non ha parenti né amici in zona. E parenti e amici sono esattamente ciò che le servono in questo momento.»

      DeMarco ridacchiò. «Cavoli, mi sei mancata, Kate. Stavo cominciando a temere di far volare fuori dalla finestra l’empatia per il prossimo quando lavoro a un caso.»

      «È facile farlo» disse Kate. «Dopo un po’, per quanto sia triste, può diventare facile smettere di vedere la gente che incontriamo sui casi come delle persone vere. Noi abbiamo il nostro puzzle da risolvere e loro hanno gli strumenti per aiutarci a farlo. Un modo schifoso di pensare, ma penso che tutti gli agenti scivolino per questa china, prima o poi.»

      «Io non ti ci vedo a comportarti così.»

      Chiedi a Melissa, pensò. Lei ti racconterebbe di come ho messo il lavoro davanti a tutto.

      Il pensiero le portò il bruciore delle lacrime agli occhi, che asciugò subito. Un ultimo strattone dalla vita che la trascinava a sé. Sì, era stata una madre terribile per Melissa, aveva sempre scelto il lavoro prima di lei.

      Si trovava di nuovo lì, solo che adesso erano passati vent’anni e c’era Michael. Aveva l’opportunità di fare le cose nella maniera giusta, stavolta.

      E, mentre quest’ultimo pensiero le bruciava ancora in mente, pensò che, finito tutto, avrebbe fatto le cose nella maniera giusta.

      CAPITOLO CINQUE

      Il bar non era per nulla un bar, ma una zona drink all’interno di una specie di bettola. C’erano bersagli per le freccette e nientepopodimeno che un jukebox, ma la zona ristorante pareva la ragione dell’esistenza dell’attività. La zona bar lì all’Esther’s Place era ficcata in fondo, tanto che pareva che la proprietaria si vergognasse di ciò che vi accadeva. Ma quando Kate e DeMarco entrarono alle cinque e quarantacinque per vedere le amiche di Kayla Peterson, pareva un posto abbastanza carino, anche se leggermente datato.

      C’erano tre giovani a un tavolino in angolo. Kate si accorse subito che nessuna di loro beveva alcolici, presumibilmente perché avevano tutte meno di ventun anni. Due avevano ordinato dell’acqua, e l’altra quella che sembrava acqua gassata o Sprite. Tutte e tre parvero accorgersi delle agenti dell’FBI nello stesso istante. Non sembravano spaventate di per sé, ma sicuramente in allarme. Kate si chiese quanto avrebbero aspettato, dopo la fine dell’interrogatorio, per andare in cerca illegalmente di uno o due drink.

      DeMarco prese il comando mentre si avvicinavano al tavolino. «Claire Lee, Tabby Amos e Olivia Macintyre?»

      «Sì» disse la ragazza seduta in mezzo. Aveva meravigliosi capelli rossi e una figura snella e alta che esibì alzandosi per stringerle la mano. «Io sono Tabitha Amos» disse. «Tabby per quasi tutti, però.»

      «Io Claire Lee» disse la ragazza sulla sinistra. Anche lei era piuttosto carina, ma in maniera semplice. Indossava una leggera felpa con cappuccio nella quale sembrava star comoda; non era chiaramente tipo da pensare di dover essere spettacolare ogni volta che usciva di casa.

      «E quindi io sono Olivia Macintyre» disse l’ultima. Aveva capelli biondo scuro che parevano quasi castani nell’illuminazione fioca del bar. Portava un paio di occhiali di moda e aveva un’aria introversa.

      «Agenti DeMarco e Wise» disse DeMarco. Mostrò con discrezione il distintivo avvicinandosi al tavolino. «Possiamo unirci?»

      Il terzetto si accalcò per far spazio a Kate e DeMarco. Nell’istante in cui si sedettero, arrivò una cameriera per prendere l’ordine. Ordinarono entrambe acqua e, dato che avevano saltato il pranzo, anche un cheeseburger a testa da asporto. Le ragazze parvero un po’ perplesse dalla cosa, e Kate capì subito che la decisione di DeMarco di vederle lì era stata furba.

      «Allora, sono sicura che lo sceriffo vi ha detto» disse DeMarco «che vogliamo parlare di Kayla Peterson. In particolare abbiamo bisogno di sapere qualsiasi cosa ci possiate dire sull’ultima serata che avete trascorso insieme.»

      Le ragazze si guardarono cupe. Parevano tutte sconvolte dagli eventi, ma per lo più calme. Kate non rimase granché sorpresa di scoprire che la portavoce del gruppo era Tabby Amos. Per la maggior parte della gente era la più carina, e perciò