Джек Марс

Assassino Zero


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Stati Uniti. Tuttavia, non aveva bisogno che Rutledge lo implorasse di affrontare l'operazione. Da quando Maria aveva annunciato un attacco al suolo americano aveva capito che non avrebbe potuto sottrarsi all'incarico. Era scritto nel suo DNA; se avesse potuto fare qualcosa al riguardo, l'avrebbe fatto.

      “Lo farò”. Poi diede un'occhiata a Strickland e si corresse. “Lo faremo, signore”.

      “Bene. E dì a Johansson di mettere tutte le risorse possibili a tua disposizione”.

      Zero si accigliò; era una strana affermazione, probabilmente destinata più a Maria che a lui.

      “Buon lavoro”, disse Rutledge, e concluse bruscamente la videochiamata.

      Zero restituì il tablet a Maria, che immediatamente controllò gli aggiornamenti in arrivo dal Kansas.

      Strickland sospirò. “C'è solo un problema. L'Avana ora è un vicolo cieco, e se possono viaggiare così velocemente come hanno fatto, probabilmente non ci sarà nulla in Kansas. Abbiamo ancora meno tra le mani rispetto a prima”.

      “Questo non è del tutto vero”. Disse Maria alzando gli occhi dal tablet. “Un testimone oculare a Springfield, un uomo anziano, ha riferito di aver superato una donna per strada pochi istanti prima dell'attacco: una donna bianca con dei capelli rosso vivo. Proprio come a Cuba. E quest'uomo afferma di averla sentita parlare russo in una radio”.

      “In russo?” Ripeté Zero. Non avrebbe dovuto sorprendersene, dopo tutto quello che era successo nell'ultimo anno e mezzo. Ma le trame precedenti avevano coinvolto cabale segrete, enormi somme di denaro, persone potenti. Questa volta non sembrava esserci niente di simile, e non riusciva ad immaginare alcuna ragione per quell'attacco ad eccezione di una sorta di desiderio di vendetta.

      “Anche così”, sottolineò Strickland, “sapere di una ragazza russa con i capelli rossi non restringe di molto il campo d'azione”.

      “Hai ragione”. Maria tirò fuori il cellulare. “Ma qualcos'altro può aiutarci”. Premette un pulsante e poi disse al telefono: “Sto scendendo. Ho bisogno dell’OMNI”.

      “Che cos'è l’OMNI?” Chiese Strickland precedendo Zero.

      “È … complicato”, disse Maria in modo criptico. “Vi faccio vedere”. Si alzò dalla sedia, portando con sé il tablet mentre si dirigeva verso la porta.

      Zero sapeva che “scendere” probabilmente significava andare al laboratorio di Bixby, il braccio sotterraneo di ricerca e sviluppo dell'Agenzia Centrale di Intelligence. Erano già in un piano sotterraneo e l'eccentrico ingegnere era l'unico a trovarsi sotto di loro, almeno per quanto ne sapeva Zero.

      Ormai sapeva anche che non sarebbe tornato a casa, non avrebbe cenato con le sue ragazze. Una volta usciti nel corridoio vuoto, disse: “Aspettate. Posso fare una chiamata?”

      Maria esitò, ma annuì. “Va bene. Ma fai in fretta. Ci vediamo agli ascensori”. Entrambi si diressero verso il corridoio mentre Zero tirava fuori il suo cellulare, insieme alla piccola tessera bianca che gli aveva dato Strickland.

      Stava per far partire la chiamata, ma all'ultimo cambiò idea e aprì l'applicazione per effettuare videochiamate, tenendo il telefono dritto davanti a sé e inquadrando il proprio viso.

      Il telefono squillò una sola volta prima che Maya rispondesse. Il suo volto era pieno di preoccupazione, e da ciò che riusciva a scorgere dietro di lei, si trovava in cucina. “Papà?”

      “Maya. È successo qualcosa”.

      “Lo so”, disse lei triste. “Ho seguito le notizie da quando sei uscito”.

      “È già sulle notizie?”

      “C'è un video”, rispose lei. “Fatto da qualcuno che era lì”.

      Zero fece una smorfia. Se il video fosse già trapelato, non ci sarebbe stato modo di nasconderlo. A questo punto con ogni probabilità si trovava già sui social media, il che significava che in pochi minuti sarebbe stato virale, condiviso mille volte su milioni di schermi.

      E a giudicare dall'espressione di Maya, lei l'aveva trovato spaventoso quanto lui. E se così fosse, avrebbe capito che non aveva altra scelta.

      “Papà, che diavolo era?” chiese lei.

      “Non posso dirlo”, le disse, cercando di essere il più vago possibile. “Dobbiamo trovare le persone responsabili di tutto questo. Il che significa che ho bisogno che tu faccia qualcosa per me… e per tua sorella”.

      “Certo”, disse immediatamente. “Qualsiasi cosa”.

      “Grazie. Ma prima… puoi chiamarmi Sara?”

      “Un attimo”. Lo schermo si mosse e Maya passò il telefono alla sorella; un attimo dopo, Sara lo guardava attraverso il piccolo schermo, con uno sguardo piatto e la voce rotta. “Non torni a casa, vero?”

      “Sara. Sai che non vorrei essere da nessun’altra parte se non a casa con te…”

      “Papà”, lo interruppe lei, “non devi parlarmi come se fossi una bambina”.

      “Per favore”, implorò lui, “lasciami finire. Devo dirti delle cose e non ho molto tempo”. Prese fiato e raccolse i suoi pensieri. “Non vorrei essere da nessun'altra parte se non a casa con te e non vorrei che tu stessi da nessun'altra parte se non a casa con me. Ma hai ragione; non sei più una bambina. Non posso trattarti come se lo fossi. Sappiamo entrambi che hai bisogno di più di quello che io posso offrirti”.

      Sara capì immediatamente cosa stesse suggerendo. “Non voglio andare in uno di quei posti. Non sono per le persone come me”.

      Sono proprio per persone come te, pensò, ma non lo disse per evitare che il discorso evolvesse in un litigio. “Questo lo è”, le disse. “È un bel posto, a Virginia Beach. Me lo ha consigliato Strickland. Anche lui ha passato un po' di tempo lì in passato. Tu ti fidi di lui, non è vero?”

      Sara rimase in silenzio. Zero sapeva la risposta, ma ammettere che si fidava di lui significava cedere alla sua proposta. “Io voglio stare con te”, disse Sara. “Sto molto meglio. Non ho bisogno della riabilitazione”.

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