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BESTIARIO AMERICANO
DIEGO MAENZA
Traduzione di Francesco Basso
www.traduzionelibri.it
www.diegomaenza.com
© Diego Maenza, 2018
© Traduzione di Francesco Basso, 2019
© Tektime, 2019
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AMERICA DEL SUD
LA DONNA VELATA
(Quintetto romantico di un decapitato ecuadoregno)
Nuziale veleno nel
rantolo dell’ebbrezza.
Urli il dolore che fuoriesce dai tuoi pori
quando riveli la tua dentatura
ed eserciti il tocco di Tanato.
Pioggia di oscuri prismi rovesciati.
Vulva putrefatta che intorpidisce la fellatio.
Coloro che ti hanno baciato testimoniano la tua fragranza,
ma coloro che hai toccato sono morti;
ergo, ho parlato con la morte.
Vicoli angusti ti venerano,
madre dell’oscurità, sposa del sonno,
amante dello zolfo, amica dell’antracite.
La magnolia espelle il sudore dal tuo utero:
squarcia le strade ecuadoregne come carcasse.
Distrai il giovane e l’anziano nello stesso modo.
I tuoi postulati filosofici: sesso e punizione.
Coloro che ti hanno visto legittimano la tua bellezza,
ma ora sono chierici oppure sono nei manicomi;
ergo, ho parlato con un’imbrogliona.
Una notte, ebbro d’amore, ti raggiunsi.
Ti trovai nera come il silicio
e io pallido come uno stagno
che rifletta la luna del tuo sesso.
Il suicidio è la forma più pura d’amore.
IL MUQUI
(Poema umano di un minatore peruviano)
Appartengo alle miniere.
L’alba dà fine a tutto o dà inizio a tutto.
Il corollario degli storpi è un cantico di dolore.
Mastico una foglia di coca mentre mi masturbo
rimuginando sulla paralisi del materialismo.
Sono inafferrabile sebbene i miei cugini siano gregari
e circolino per i torrenti come uno sciame di ilarità.
Ho decodificato i loro quipu e le loro passioni,
ho studiato l’oro e l’uomo.
Appartengo all’acqua
che lava anche gli angoli più cupi:
un minatore passa con le sue ascelle puzzolenti,
sbatte la sua testa contro una pietra nerissima.
Come poter parlare quindi della chiusura categoriale
se i suoi figli, giovani e ninfe, non hanno mangiato?
Non ho collo: come poter spiegare l’esistenzialismo?
Loro tremano: gridano per il freddo; loro urlano: sono a digiuno.
Porto il poncho: come credere nel dio sole, se ci abbandona?
Mangio muschio: come confidare in Huiracocha se non c’è mais?
Uso il sombrero: come avanzare se ci permutano le idee?
Sono piccolo: la natura umana fa schifo
tanto quanto la natura degli dei.
Io puzzo, tu puzzi, e così fino all’infinito.
Sono il murik che dà la liberazione
delle trasparenze che si riuniscono dopo la sera.
Il cammino verso la salvezza conduce a una miniera
e loro sono i muriski che si lasciano condurre.
Mi hanno visto a Cuzco, a Cajamarca e Arequipa.
I più audaci sognano di catturarmi nelle loro terre.
Non so se la laringe che ho studiato ieri appartenesse
a un boliviano o ad un peruviano; la presi intatta dal Titicaca.
Mi accusano di rubare gli strumenti dei minatori.
Io mi vanto di commettere malefatte più sublimi.
Oggi ho giocherellato con l’ombelico di uno stagno
e in cambio di tale carità due pepite d’oro.
Il sangue dell’umanità continua a distillare sopra le pietre.
Poi mi sono rinchiuso nell’Uku Pacha.
Il crepuscolo dà fine a tutto o dà inizio a tutto.
YASI YATERÉ
(Lamento di un adolescente paraguaiano)
Il petto biancastro, i capelli cangianti.
Bizzarro nano albino in mezzo a stolidi mulatti
propizia l’eccesso degli innocenti.
Lilith e Asmodeo furono i suoi antenati.
A loro obbedisce il bastone fatto di rami e oro.
Uno splendore è il suo amico all’abbandonare la luna.
Percepisci il fruscio delle fronde e ti osserva dal fogliame.
Ti obbliga a impazzire mentre suona il suo strumento.
Offre frutta e miele selvatico alla tua nuda adolescenza.
Se sei un giovane di suo gradimento: bacio sulla bocca.
Se sei una fanciulla: morso sulla nuca.
C’è chi afferma che nel cielo non vi sia luce,
che l’oscurità sia ventriloqua e
Yasi Yateré il miglior interprete dei suoi monologhi.
Ci sono anche gli animali ottimisti.
Credono che il folletto del flauto inebri
con inventiva per controllare le masse
di creature anemiche che si perdono nella canicola.
Yasi Yateré spia dai rami.
Yasi Yateré scaccia rospi, pappagalli e tapiri.
Yasi Yateré non fa la siesta.
L’UOMO CAIMANO
(Poema