del sentiero e un appezzamento di terra in attesa della semina. Quel campo adesso era di proprietà di suo padre ma, non molti anni prima, era stato di proprietà del padre del Nero. Perdette la terra, oltre alla vita, nel momento in cui fu costretto ad affrontare la forca. Adesso quelle terre appartenevano al
bargello; gli erano state assegnate da don Yéquera. Di solito non era Jimeno a lavorarle personalmente, preferiva prendere dei braccianti affinché lo facessero al suo posto. Ma in realtà pensava che non rendessero abbastanza, ragione per la quale negli ultimi tempi le aveva trascurate completamente, e si erano trasformate in una giungla di erba alta che sembrava non avere fine.
Diede uno sguardo a Sancho chiedendosi quali potessero essere i pensieri del carbonaio, trovandosi in quel luogo, ma il Nero rivolgeva lo sguardo verso l'oscurità dei monti, in silenzio.
"Allora, ti decidi o cosa?" si spazientì suo padre, e Alfonso si accinse alla bisogna.
Calarsi le brache con quel freddo non era stata una buona idea. Alfonso si affrettò ad innaffiare della sua urina fumante quell'albero robusto. Si distrasse ad osservare le ghiande sui rami e subito notò una tiepida umidità sui calzari.
"Merda…" Si era quasi ricomposto quando sentì un cavallo sbuffare.
Avevano finalmente trovato i cavalli dei briganti.
Due cavalieri al trotto stavano arrivando lungo il sentiero. Alfonso, Jimeno e Sancho si affrettarono a nascondersi dietro l'albero per evitare di essere visti.
"Esploratori. Probabilmente sono stati ad esaminare il villaggio" ipotizzò il bargello, ignorando la puzza di urina.
Il rumore dei cavalli divenne sempre più forte man mano che si avvicinavano. I tre uomini trattennero il fiato. Quando i cavalieri furono all'altezza dell'albero uno di loro si girò, il volto dipinto di bianco, e il figlio del bargello abbassò la testa. Udì come i cavalli rallentavano il passo fino a fermarsi.
"Credo che ci abbiano visto" mormorò Alfonso.
Ebbe il coraggio di sporgere di nuovo il capo e vide che uno dei due uomini
a cavallo impugnava la lancia mentre incitava il cavallo a saltare il bordo del sentiero. L'altro sguainò la spada. Li avevano scoperti.
"Rimanete vicino all'albero!" ordinò Jimeno estraendo la lama. Fece qualche passo per allontanarsi da suo figlio.
Anche Alfonso impugnava la sua arma mentre il Nero, svelto, raccoglieva da terra alcuni sassi. Il figlio del bargello dubitava che potessero servire a qualcosa, tuttavia non poté evitare di apprezzare il gesto.
Il primo cercò di colpire Jimeno con la lancia, ma il bargello deviò l'asta con un colpo di spada. Tuttavia, così facendo si espose all'attacco dell'altro bandito e venne violentemente travolto dal cavallo. Jimeno accusò il colpo e cadde rotolando più volte su sé stesso, tra rocce e sassi. Il cavallo passò vicino ad Alfonso ma questi non ebbe il tempo di contrattaccare, e la sua spada fendette l'aria. Sentì una risata metallica provenire dall'uomo a cavallo.
"Padre!" esclamò Alfonso mentre si avvicinava a lui per vedere come stava. Jimeno grugniva dal dolore pur impugnando ancora la spada. "Vi sentite bene?"
"Rimani vicino all'albero" biascicò il bargello, puntando un ginocchio a terra per cercare di rialzarsi.
I due cavalieri si stavano girando, pronti a caricare di nuovo.
"Perché?" chiese Alfonso.
Il primo sasso lanciato dal Nero andò perso nell'oscurità, ma il secondo cozzò contro qualcosa di metallico e uno dei banditi gemette. Forse il carbonaio non era molto forte ma poteva fare dei danni, con un po' di fortuna. Anche il terzo sasso colpì il bersaglio. Mancò l'occasione di lanciare il quarto perché il bandito caricò il Nero, che arretrò fin dietro l'albero.
Sancho aveva capito bene il consiglio di Jimeno. Appena il cavallo si fu avvicinato, il carbonaio girò intorno al tronco del leccio per rendere i movimenti del bandito più difficoltosi. Questi fu costretto a fermarsi per
cercare di colpire con la lancia il magro corpo del carbonaio. Alfonso vide in quella manovra un'opportunità di attaccare e si fece avanti con la spada spianata.
Non ebbe modo di usarla.
L'albare descrisse un arco con il braccio e colpì Alfonso in faccia con l'asta della sua lancia. Questi sentì bruciare il lato destro del viso come carboni ardenti e un fischio penetrante gli entrò nella testa. Alzò goffamente la spada in cerca della gamba del cavaliere ma la testa gli girava e finì per cadere a terra senza capire cosa stesse succedendo. L'altro cercò di colpirlo mentre era a terra ma Alfonso rotolò per evitare l'attacco. Sentì un dolore intenso alla natica quando il bandito vi conficcò la punta metallica della lancia.
L'urlo di suo figlio fece reagire Jimeno che colpì di taglio i quarti posteriori dell'animale. La spada penetrò nelle carni del cavallo con uno schiocco e il bargello rigirò la lama nella ferita per provocare un danno ancora maggiore.
La bestia nitrì per il dolore e cominciò a perdere le forze fino a cadere a terra. E il suo cavaliere insieme a lui.
Il Nero fu pronto a lanciarsi sull'uomo caduto e cominciarono a scambiarsi pugni e graffi. Alfonso si trascinò sui gomiti e riuscì ad avvicinarsi all'albero.
Si aggrappò ad un ramo e si alzò; aveva perduto la sua arma. Si girò, sentendo che suo padre stava già combattendo con l'altro bandito a colpi di spada. Pur essendo in svantaggio contro un nemico a cavallo, gli stava dando molto filo da torcere.
Il carbonaio si difendeva con furia, ma le sue forze erano davvero scarse e presto pagò il suo coraggio subendo colpi terribili e versando il suo sangue.
Alfonso afferrò il sasso più grosso che riuscì a trovare e si lanciò in aiuto del Nero. Colpì con furia la testa e la spalla del bandito e continuò a colpire fino a quando la mano cominciò a bruciargli per lo sforzo. Il bandito allora lo prese per il collo con l'intenzione di strangolarlo.
La pittura bianca che aveva sul viso si era tinta di sangue e terra in seguito alla lotta, ed era ferito gravemente; ma la rabbia che vedeva nei suoi occhi
terrorizzò Alfonso. Tutti i suoi tentativi di liberarsi da quella presa furono vani e ormai non riusciva quasi più a respirare quando suo padre venne in suo aiuto, atterrando il bandito con una spallata.
Alfonso cadde in ginocchio e cominciò ad aspirare grosse boccate di quell'aria gelida nel tentativo di riprendersi.
"Insieme… possiamo batterlo" balbettò, riprendendo fiato.
Suo padre fece segno di no, bruscamente.
"Tieni d'occhio l'altro!"
L'altro bandito si teneva in disparte, in attesa, ancora ansimante dopo lo scontro con Jimeno. Teneva la spada in posizione d'attacco ma non dava mostra di volersi buttare di nuovo nella mischia.
"Vigliacco!" esclamò il brigante sconfitto vedendo che il suo compagno si allontanava. “Tuo fratello ti farà a pezzi".
Ma l'altro non si mosse. Jimeno spinse suo figlio lontano dal malvivente.
"Aiuta Sancho e non perdere di vista quell'altro".
Alfonso zoppicando si avvicinò al Nero, che stava ancora raccogliendo sassi da lanciare, ma i suoi movimenti erano lenti e dolorosi. Anche a lui facevano male le ferite.
Adesso erano solo Jimeno e l'albare. Entrambi a piedi e feriti. Si muovevano in cerchio intorno alle piante. Si studiavano con calma. Jimeno prese l'iniziativa e cominciarono a scambiarsi veloci colpi di spada. Il vento portava con sé lo schianto del metallo contro il metallo. Veloce e continuo.
Le braccia si sollevavano e scendevano rapidamente. I due contendenti combattevano per strappare ciascuno la vita dell'altro. Avanzavano.
Arretravano. Clang-clang. Si abbassavano. Si giravano. Clang-clang.
Avanzavano di nuovo. La lotta a morte era una danza frenetica. Non c'era spazio per