a fare lo sforzo di venirmi a vedere, visto che chiaramente non ne ha voglia. Sicuramente deve esserci lo zampino della nonna, che sa essere molto persuasiva. Vorrei essere capace di dire alla mia famiglia che li amo, ma bisognerebbe che i miei genitori mi accettassero per quello che sono, mentre non ci sono mai riusciti. Ormai è troppo tardi ed il mio silenzio è accolto ogni volta come un rifiuto. In effetti, è più che altro un modo di accettare la situazione. Come sempre, mia nonna serve da tampone nei nostri rapporti conflittuali. Credo che senza di lei, non ci sarebbe proprio nessun rapporto tra me ed i miei genitori.
“Ordiniamo. Comincia ad essere tardi per una vecchia signora come me.”
Scelgo i miei piatti, ma mi sento oppressa tra il silenzio pesante al nostro tavolo ed il rumore delle conversazioni degli altri clienti. La nonna mi conosce bene e mi stringe la mano sotto il tavolo.
“Vai pure, c'é tempo.”
Mi alzo precipitosamente, senza considerare mia madre che comincia già a lamentarsi. L'aria esterna mi fa incredibilmente bene. La brezza leggera mi accarezza le gambe nude e mi fa arrossire le guance. Approfitto della calma della sera per fare qualche passo, prima di appoggiarmi contro un muro e di alzare gli occhi al cielo. Non c'è nemmeno una nuvola e le stelle scintillano su questo stupendo tappeto di velluto nero. Potrei restare lì per delle ore, per lasciare che questa pace mi invada l'animo tormentato. Quando ero piccola, sognavo di volare e di danzare su una nuvola. Tuttavia, un rumore di passi alla mia sinistra mi fa sussultare e mi ricorda dove mi trovo. Sono una donna sola in una viuzza oscura di New York. Mi raddrizzo, avvertendo un senso di malessere nelle viscere,poi mi volto per raggiungere la porta del ristorante. Non mi sono allontanata molto, eppure la distanza mi sembra improvvisamente immensa. Sento che qualcuno mi sta seguendo, ne sono certa. Dei rumori di passi. Un respiro forte. Non mi piace affatto ed una profonda angoscia mi attanaglia lo stomaco, mentre il mio cuore batte all'impazzata. Accelero il passo, sollevata di avere infine raggiunto la meta, e ringrazio il portiere che si sposta per farmi passare, senza che io abbia bisogno di rallentare. Al riparo delle porte vetrate, mi giro, ma mi accorgo che la strada è deserta e silenziosa. Non c'è nessuno all'orizzonte. Il mio cuore riprende un ritmo più calmo, ma la testa resta bloccata in modalità angoscia. Le emozioni si accavallano dentro di me, minacciando di provocarmi una crisi come non ne ho avute da molto tempo. Mi rifugio in una toilette, chiudo a chiave e mi rannicchio sul pavimento, dondolando avanti e indietro. Ho bisogno di danzare per esteriorizzare la paura che mi consuma, ma al momento è impossibile, quindi cerco di concentrarmi su me stessa e di fare il vuoto nella mia mente. Più facile a dirsi che a farsi! Dei passi risuonano allora sulle piastrelle davanti alla porta. Indietreggio istintivamente, ma sono bloccata dal serbatoio alle mie spalle.
“Gattina Caitlyn? Stai bene? Ti ho vista all'ingresso, ma non sei tornata a tavola.”
Sentire la voce della nonna mi fa un bene incredibile. Decido di concentrarmi su questo, su di lei e la sua voce, contando nella mente. Inspirazione, 1, 2, 3, 4. Espirazione, 1, 2, 3, 4. Ripeto l'esercizio cinque volte di fila. La nonna, dopo essere andata avanti e indietro davanti a tutte le toilettes, si ferma davanti alla porta della mia.
“Aprimi, Cat. Sono sicura che sei lì.”
Allungo le braccia per aprire la serratura e la nonna apre la porta lentamente. I suoi occhi sono tristi quando li posa su di me. Si rannicchia vicino a me e mi accarezza i capelli, come fa sempre quando mi sente tormentata.
“Cosa succede, cara?”
Non voglio parlarne. Non adesso e soprattutto non qui. Le racconterò tutto, ne ho veramente bisogno, ma lo farò al sicuro a casa mia. Se posso essere al sicuro, cosa della quale dubito.
“I tuoi genitori ti vogliono bene, Caitlyn Gattina. E' solo che non sanno come comportarsi con te. Non riescono a comprenderti.”
“Lo so, nonna. Non è grave.”
Preferisco che pensi che la mia reazione sia dovuta a questa cena imbarazzante, almeno per il momento.
“Dai, vieni, mia cara. Non restare lì a terra. Prenderai freddo su queste piastrelle gelate.”
Mi aiuta a rialzarmi e mi sistema la gonna, che si è leggermente sollevata.
“Ormai non hai più l'età di mostrare le mutandine, cara.”
La sua riflessione mi fa sorridere, poi raggiungiamo il tavolo tenendoci per mano.
“Eccovi, finalmente. Ci hanno portato i piatti da un'eternità e presto diventeranno freddi. Cosa stavi facendo, Caitlyn? Distribuivi autografi?”
Potremi mettermi a ridere, se solo non avessi voglia di piangere. La mamma è convinta che io abbia preferito la celebrità alla vita in famiglia insieme a loro. Come si sbaglia! Quello che ho scelto, è la normalità, la libertà. In fin dei conti, ho scelto di liberare il mio spirito da tutte le voci che mi bombardano per tutto il tempo, dicendomi che sto vivendo una vita banale, anche se la maggior parte della gente non la considera poi così banale. E' vero che la mia foto in tenuta da ballerina si trova su metà degli autobus della città e che faccio delle apparizioni regolari sulle riviste specializzate. Tuttavia, tutto quello che capisco è che sto facendo quello che mi piace. E fino a questi ultimi tempi, era riuscita ad infischiarmene di tutto quello che mi circondava.
“Potresti almeno sederti, così possiamo iniziare!”
“Scusatemi. Certamente.”
Effettivamente, ero persa nei miei pensieri come accade spesso e sono rimasta immobile di fianco al tavolo. Prendo quindi posto sulla mia sedia e la cena si svolge come tutte le altre, in un silenzio quasi religioso, interrotto solo dalle frasi di mia nonna che cerca disperatamente di ravvivare il dialogo tra noi.
“Forse domani potremmo visitare la città tutti insieme.”
“Assolutamente no! La nostra star nazionale ha sicuramente qualcosa di meglio da fare, che passare del tempo con noi.”
Decisamente. Mia madre non mi perdonerà mai il fatto di essere quella che sono: indipendente. Quando mi hanno diagnosticato dei disturbi autistici, era contrariata, le mie crisi di collera erano insostenibili, ma nello stesso tempo si è detta che avrei avuto sempre bisogno di lei al mio fianco per cavarmela nella vita. Pensava che sarei rimasta sempre la bambina della mamma. L'avvenire le ha dimostrato il contrario.
Preferisco rispondere alla nonna per non litigare con mia madre.
“Domani non lavoro. Ci hanno concesso un giorno di libertà. Devo solo esercitami la mattina, poi sarò tutta per te.”
“Un vero miracolo! Non deve accadere molto spesso, visto che non hai nemmeno il tempo di telefonarci!”
La nonna interviene, come sempre.
“Mi piacerebbe molto visitare Ellis Island. Non ci siamo ancora mai andati.”
Nemmeno io ci ho mai messo piede. Ritrovarmi schiacciata su un traghetto non mi ha mai attratta molto, ma allontanarmi, anche solo per qualche ora, dalla Grande Mela e dalle mie preoccupazioni insieme alla nonna è un'idea molto seducente.
“E' un'idea magnifica, nonna. Ci andremo dopo pranzo. Mi occupo io di prendere i biglietti, dopo le prove.”
“E non ci chiedi nemmeno se desideriamo unirci a voi, ovviamente!”
Inghiotto il groppo che mi blocca la gola. Mia madre non ha intenzione di risparmiarmi, stasera. Si direbbe che sia giunta l'ora di regolare i conti. Sfortunatamente, non sono in vena di sopportarla e preferisco essere docile, ma rischio di rompere il bracciolo della sedia a forza di stringerlo tra le dita.
“Papà, mamma, volete venire con noi a Ellis Island, domani?”
“Bé, pensa che non possiamo proprio. Lavoriamo, domani. Non siamo a disposizione, quando la signora si decide a concederci un po' del suo tempo!”
Ecco fatto! Ed hanno il coraggio di rimproverarmi perché non faccio nessuno sforzo. Mi mordo la lingua talmente forte per non mettermi a urlare, che un po' di sangue mi riempie la bocca. Spero proprio che questa cena finisca presto, per potermi finalmente rifugiare a casa mia e sfogare la mia eccessiva tensione. Ho organizzato tutta una stanza a questo scopo, con uno specchio e la sbarra trasversale al muro. Una mini- sala da ballo