qualcosa in quel tono di voce che incoraggiava gli arti di Renard a reagire per conto loro. Dovette battersi per tenerli saldi sul posto, e dovette battersi anche per altro. I suoi polmoni stavano iniziando a dirgli che era il momento di risalire per prendere aria, ma se l’avesse fatto, sarebbe sbucato dritto sotto agli occhi degli Invisibili. Il terrore di ciò che poteva accadere trattenne la sua testa sott’acqua.
Quanto a lungo sarebbe resistito senza affogare, però… I suoi polmoni iniziavano a bruciare mentre, sopra di lui, Void si stava guardando intorno, più spaventoso di tutti gli altri messi insieme con quella sua maschera bianca.
“Andate avanti,” disse. “Trovatelo. Trovate il reperto.”
Sopra a Renard, Verdant avanzò fino alla sponda. Rami e piante rampicanti si allungarono sopra all’acqua, formando un ponte vivente che scricchiolava e si piegava mentre quei tre vi camminavano sopra, continuando la loro caccia.
Persino quando scomparirono, Renard restò lì sotto il più possibile, prima di risalire per prendere fiato. Resistette finché la vista non iniziò a rabbuiarglisi, perché ogni secondo che aspettava era un altro che i suoi inseguitori usavano per allontanarsi da lui.
Alla fine, non resistette più e risalì in superficie, ansimando.
“Dannazione,” disse fra sé e sé. “Dannati tutti loro!”
Tenne in alto l’amuleto, la sua forma ottogonale che conteneva la squama di drago, circondata da rune e gemme di diversi colori. Era ciò che volevano, ma Renard sapeva di non poter dare qualcosa di così potente a persone di quel genere. Né poteva tenerlo con sé, non quando lo sentiva spremergli la vita, pezzettino dopo pezzettino.
Ciò di cui aveva davvero bisogno era uno stregone di un qualche genere che gli dicesse cosa farne, ma Renard non ne conosceva neanche uno. Non aveva esperienza in materia di amuleti magici, nessuna esperienza di draghi o formule in grado di scuotere il mondo, né di nessuna di queste stranezze. Per fortuna, però, aveva sì tantissima esperienza di beni rubati.
Sapeva esattamente come liberarsene.
CAPITOLO OTTAVO
Quando Vars entrò a passo lungo nella grande sala, era già affollata fino alle sue pareti in pietra. C’era così tanta gente che i grandi quadrati di tappeto che di norma dividevano per rango le persone, avevano lasciato spazio solo a un’approssimazione generale. C’erano i nobili e i capi delle Case dei Commercianti, delle Armi, degli Accademici e persino dei Sospiri. Le porte all’estremità opposta erano aperte, per permettere ad altri di ascoltare e alle bandiere poste lungo le pareti di sventolare, violente quasi come le loro bocche. Vars non aveva mai apprezzato il brusio della corte e, adesso, con così tante voci che bisbigliavano insieme, gli risultava ancora più irritante.
“Dobbiamo tenere d’occhio lo Slate,” disse un nobile di secondo rango.
“Perché?” scattò in risposta un cavaliere. “Nel caso in cui Ravin riesca a costruire altri ponti mentre siamo distratti?”
“Esatto,” ribatté il primo uomo, a quanto pareva ignaro della sua stupidità.
“Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è la coordinazione tra noi e le vostre forze personali,” intervenne il Comandante Harr. Il comandante dei Cavalieri dello Sperone era lì in piedi con la sua armatura completa; la barba grigia gli scendeva dentro al pettorale, facendo chiedere a Vars se quell’uomo la tenesse addosso persino quando dormiva. “Dobbiamo evitare qualsiasi lacuna nelle nostre difese.”
“Questo significa che dovremmo accollarci il costo di questo?” domandò il capo della Casa dei Commercianti, che era in piedi laggiù con indosso tante catene d’oro che forse ne sarebbe bastata una a finanziare la guerra.
“Dobbiamo studiare ciò che sta accadendo,” prese la parola il capo degli Accademici, severo nei suoi indumenti scuri e con la testa rasata.
“Dobbiamo aumentare la produzione,” affermò il rappresentante della Casa delle Armi.
Almeno la donna della Casa dei Sospiri tacque, sembrando soddisfatta di limitarsi a osservare il dibattito. Vars non sapeva che farsene dell’opinione di un semplice cortigiano e restò in piedi nell’ombra del trono, ascoltandoli andare avanti, in attesa che uno di loro notasse la sua presenza. I secondi correvano, mentre continuavano a battibeccare l’uno con l’altro; alcuni sostenevano di dover restare al castello, altri proponevano invece di avanzare. Oltre a ciò, pareva non esserci proprio un punto d’incontro, con ogni fazione che aveva una sua strategia, una sua idea di quali truppe schierare e dove, e su come e chi avrebbe dovuto pagare.
Poteva avvertire la rabbia crescergli dentro, lavando via persino la paura di avere così tante persone schierate davanti. Camminò attorno al trono, sistemandovisi davanti deliberatamente.
“Silenzio!” gridò ma, anche allora, solo alcuni di loro tacquero. “Se non cade il silenzio qui dentro, farò sgomberare la sala dalle guardie!”
Ottenne il silenzio e, a quel punto, tutti lo stavano fissando. L’ansia lo raggiunse, facendolo solo sentire peggio. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo facevano solo sentire piccolo e vulnerabile, e Vars lo odiava.
“Sono io il re adesso!” gridò, in difesa da quegli sguardi. “State parlando come se foste voi a decidere come gestire l’invasione, ma sarò io a farlo!”
“Vostra altezza,” disse un conte avanzando. “Con tutto il rispetto, questa è una decisione che condiziona l’intero regno e vostro padre è ancora vivo; è importante che tutte le parti coinvolte dicano la loro.”
Vars fulminò l’uomo con lo sguardo. “Davvero? Quindi dovrei chiedere ai contadini che lavorano la tua terra cosa pensano?”
Quello sembrò far arretrare l’uomo. “Vostra altezza, noi nobili non siamo contadini. La nostra posizione confrontata alla vostra non è equivalente alla loro rispetto alla nostra.”
“Il modo per rivolgersi a un re è vostra maestà,” scattò Vars in risposta.
“Ma voi siete il reggente del re, vostra altezza,” disse un altro nobile, che Vars riconobbe come il Marchese delle Terre di Sotto. “Se dobbiamo rispettare qualsiasi decisione presa a questo proposito, è anche vero che avete ricevuto il ruolo solo in quanto prossimo in linea di successione al trono. Nessuna decisione definitiva è stata presa.”
“Nessuna decisione definitiva riguardo a cosa?” domandò Vars e poteva sentire il controllo della situazione sfuggirgli di mano.
“Riguardo se sarete voi il re,” rispose il marchese.
Vars voleva che l’uomo fosse decapitato per quello, voleva scendere fino a dov’era e strangolarlo a mani nude. Eccetto che… il marchese era un uomo imponente e Vars poteva avvertire la paura crescergli dentro, bloccarlo sul posto, rifiutarsi di permettergli di fare una qualsiasi delle cose che desiderava così ardentemente.
“Tali parole sfiorano i confini del tradimento, mio signore,” disse una voce dal retro e Vars tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe Finnal, che si faceva strada tra la folla. “E non è qualcosa che mio padre approverebbe.”
L’uomo arretrò un poco. “Non volevo insinuare niente, sennonché i tradizionali ruoli della nobiltà devono …”
“Il tradizionale ruolo della nobiltà è supportare il re,” lo interruppe Finnal, mentre faceva un inchino nella direzione di Vars. “Vi prego di continuare, vostra maestà.”
Incoraggiato dal sostegno di Finnal, Vars poté avvertire un poco di sicurezza tornare in lui.
“Abbiamo ricevuto l’informazione che la gente di Re Ravin sta attaccando tramite l’Isola di Leveros,” disse Vars. “Mia sorella ha rischiato la sua stessa vita per portarci il messaggio.”
Erin poteva essere definita sua sorella, adesso che aveva fatto qualcosa di utile; ma sarebbe tornata presto solo la sua sorellastra.
“Lo sappiamo,” intervenne il Comandante Harr dello Sperone. “La domanda è che cosa dobbiamo fare per contrattaccare. Le implicazioni militari sono complesse