povera di quella, e voleva vedere con i suoi occhi cosa significasse vivere in quel modo a Royalsport.
“Siete sicura di voler andare da questa parte, Lenore?” le domandò Orianne, mentre prendevano un ponte che conduceva verso una zona chiaramente un poco più povera. Le case erano ammucchiate più vicine fra loro e le persone erano impegnate a lavorare più che a oziare. Il fumo della Casa delle Armi si innalzava nel cielo.
“Qui è esattamente dove devo essere,” rispose Lenore. “Devo vedere la città vera, per intero.”
E se fosse capitato loro di trovare Devin lungo la strada, allora sarebbe stato persino meglio. Lenore ammise poi fra sé e sé che il cuore le saltava un battito ogni volta che lo vedeva. Certo, le era capitata la stessa cosa con Finnal, ma c’era una differenza. Devin non era lì per un qualche matrimonio che l’avrebbe portato all’acquisizione di determinati territori, non era circondato da quelle terribili voci. Tutto ciò che Lenore aveva sentito o visto di lui, le mostrava un animo coraggioso e gentile… il tipo di uomo che avrebbe dovuto sposare, se non fosse stato impossibile.
“Un poco più avanti, e saremo vicine alla Casa dei Sospiri,” affermò Orianne. Lenore poteva vederla in lontananza sopra ai tetti, con quei suoi colori sgargianti per dare nell’occhio; e le venne un’idea.
“Dovresti andarci,” disse alla sua domestica. “Parla con… la nostra amica laggiù. Assicurale la nostra gratitudine.”
“Siete sicura?” chiese Orianne. “È una questione delicata essere associate a quel luogo.”
“Sono sicura,” rispose Lenore. Aveva visto Finnal per ciò che era davvero; le servivano quanti più alleati possibile, anche se provenivano da luoghi il cui solo pensiero l’avrebbe una volta fatta arrossire.
“Come desiderate, mia signora,” replicò Orianne, facendo una riverenza e affrettandosi via.
Quello lasciò Lenore sola con la guardia, a vagare per i vicoli. Non aveva in mente una direzione: spostarsi alla cieca e avere la libertà di andare in qualsiasi direzione desiderasse era molto meglio.
Stava ancora girellando quando udì dei passi alle loro spalle. Lenore si accigliò e osservò la guardia.
“Li hai sentiti?” chiese.
“Sentito cosa, vostra altezza?”
Forse erano solo le sue paure, che stavano avendo la meglio su di lei; era fuori, in un luogo che avrebbe dovuto risultarle familiare, eppure era tutto tranne quello. Tuttavia, fu certa di sentire di nuovo dei passi e pensò di aver scorto una sagoma da qualche parte dietro alle sue spalle, lì e poi via di nuovo nei vicoli della città mentre altre persone li superavano. Lenore iniziò ad accelerare il passo.
Prese il successivo paio di svolte a caso, poi imprecò quando lei e la sua guardia si ritrovarono in un vicolo cieco, dentro un cortile tranquillo circondato da case. Si guardò alle spalle e adesso un uomo si stava avvicinando, con indumenti scuri e un coltello in vita; esibiva uno stemma che lo identificava come uno degli uomini del Duca Viris, uno degli uomini di Finnal.
Lenore avrebbe dovuto tirare un sospiro di sollievo alla vista degli uomini di suo marito laggiù, dato che almeno non era un qualche furfante pronto a rapinarla. Al contrario, avvertì la tensione gonfiarsi dentro di lei.
“Che cosa ci fai qui?” domandò. “Chi sei?”
“Mi chiamo Higgis, vostra altezza,” disse l’uomo, facendo un inchino. “Sono un domestico, mandato con delle istruzioni da vostro marito.”
“Quali istruzioni?” chiese Lenore.
L’uomo si sollevò dall’inchino con il coltello già in mano, avvicinandosi alla guardia che Lenore aveva portato con sé e affondando un colpo, poi un altro. Lenore trasalì, appoggiandosi contro il più vicino degli edifici, ma con l’uomo fra lei e l’uscita del cortile, non aveva scampo.
“Sono stato mandato per salvarvi dai mascalzoni che vi hanno aggredita,” rispose l’uomo. Estrasse il coltello e lo mise via. “Hanno ucciso la vostra guardia e vi hanno colpita prima di derubarvi. Tutto perché non avete dato retta alle istruzioni di vostro marito di restare dove vi ha sistemata. Come risultato, sarà costretto a portarvi via dalla città per la convalescenza.”
Il domestico avanzò, scrocchiandosi le nocche.
“Vuoi davvero colpire una principessa?” domandò Lenore. “Ti farò decapitare.”
“No, vostra altezza,” replicò l’uomo. “Non lo farete; al contrario, vostro marito mi ricompenserà, come ha già fatto. Adesso, direi che sarebbe più semplice se restaste ferma, ma questa sarebbe una bugia.”
Caricò un pugno e, per un attimo, Lenore fu certa che non ci sarebbe stato altro che dolore nel suo futuro. Poi una seconda sagoma più minuta si precipitò oltre l’uomo nel cortile, mettendosi fra Lenore e il suo aspirante aggressore.
“Erin?” domandò Lenore.
Sua sorella era lì in piedi, con un bastone fra le mani; lo faceva vorticare con nonchalance mentre aspettava. L’inviato di Finnal non esitò, ma le si precipitò contro. Erin aspettò fino all’ultimo momento e poi si spostò di lato, affondando il bastone nel diaframma dell’uomo e dopo usandolo per colpirlo alle ginocchia e alla testa. L’arma sembrava essere ovunque allo stesso tempo in quel momento, muovendosi in una mossa fulminea resa chiara solo dallo scricchiolio del legno contro la carne.
L’uomo arretrò, estraendo di nuovo il suo coltello, ed Erin tornò ad attaccare con il suo bastone, colpendolo al polso; Lenore udì lo scricchiolio delle ossa quando l’arma le raggiunse. L’uomo gridò, incespicò indietro e poi si voltò e scappò via. Per un momento, Lenore pensò che sua sorella l’avrebbe rincorso, ma si fermò, voltandosi a guardarla.
“Va tutto bene?” chiese. “Ti ha fatto del male?”
Lenore scosse la testa. “Non a me, ma la mia guardia…” Guardò in basso gli occhi sbarrati dell’uomo, fissandoli scioccata. Erano fin troppo simili a quelli che aveva visto in passato. “Che cosa ci fai qui, Erin?”
“Ho pensato di seguirti fino in città. Sono in pausa dagli allenamenti con Odd, ma poi ho visto che quell’uomo ti seguiva e volevo capire cosa stava succedendo.” Fissò Lenore con uno sguardo indagatore. “Che cosa sta succedendo, sorella?”
“Si tratta…” Lenore costrinse la sua voce a restare pacata. Non si sarebbe comportata da debole, non avrebbe tremato e fatto l’isterica, non sarebbe stata niente di ciò che Finnal probabilmente pensava fosse. “Si tratta del mio neomarito.”
“Finnal?” domandò Erin.
“È davvero cattivo quanto dicono, Erin,” rispose Lenore. “Si preoccupa solo di cosa può ottenere dal nostro matrimonio; non gli importa niente di me. E ha… ha mandato quell’uomo a picchiarmi perché ho lasciato il castello senza chiedergli il permesso.”
Il volto di Erin era duro. “Lo ucciderò. Lo sgozzerò e metterò la sua testa in cima a un palo.”
“No,” disse Lenore. “Non puoi farlo. Uccidere il figlio del Duca Viris? Ne deriverebbe una guerra civile.”
“Credi che mi interessi?” domandò Erin.
“Penso che debba interessarci,” rispose Lenore. “No, noi dobbiamo essere più furbe di così.”
“Noi?” chiese Erin.
“La mia domestica, Orianne, sa com’è Finnal. Ci aiuterà e così faranno gli altri, come Devin.”
Lenore non sapeva perché le venne in mente proprio il suo nome, ma così accadde.
“Tutto qui?” domandò Erin e poi scosse la testa. “Beh, è un inizio. Potremmo andare da Vars.”
“Non gliene importerebbe niente,” sottolineò Lenore. “Avrei già trovato un modo per divorziare da Finnal, se pensassi che Vars mi ascolterebbe.”
“Allora troveremo qualcosa che persino lui ascolterà,” insistette Erin.
Lenore scosse la testa. “Non