a colpire lo stesso muro di mattoni che ci siamo trovati davanti con Costabile. Dobbiamo scoprire di più prima di pararci davanti a questi tizi.”
“Questo lo capisco,” gli disse Jessie. “Ma giusto per essere chiari, siamo d’accordo che c’è qualcosa di seriamente losco qui, giusto? Voglio dire, quel Costabile sembra più un capo della mafia che un sergente della polizia. O magari è il Don Corleone dell’ufficio della Valley.”
Ryan la guardò, chiaramente a disagio con le sue parole, ma non cercò di controbattere. Jessie decise di lasciarlo stare e continuò a parlare prima che lui potesse risponderle.
“Non penso che tireremo fuori niente di utile stasera.” Sospirò.
“No. Sarà meglio riprendere la cosa per mano domattina. A quel punto Lizzie sarà più coerente. La Caldwell potrebbe avere qualcosa di più definito sulla potenziale aggressione sessuale e potremo vedere se qualcuno ha tentato di vendere il portatile o il telefono di Michaela.”
“Ok,” disse Jessie riluttante. “Una cosa la sappiamo per certo. La tua Cathy Bla-bla aveva ragione. C’è decisamente qualcosa di poco chiaro in questo caso.”
Hannah era sveglia quando Jessie tornò a casa.
La ragazza quasi non alzò lo sguardo dal film che stava guardando quando lei entrò. Era quasi l’una di notte e domani sarebbe dovuta andare a scuola, ma Jessie non aveva energie per mettersi a discutere.
“È stata una lunga serata,” disse. “Vado a letto. Puoi abbassare il volume per favore e cercare di andare a letto presto, in modo da essere in forma domani?”
Hannah abbassò il volume di qualche tacca, ma per il resto non diede alcun cenno di aver sentito le parole della sorellastra. Jessie rimase sulla soglia della sua camera da letto per qualche secondo, dibattuta se tentare di nuovo. Ma alla fine decise che non ne valeva la pena e si limitò a chiudere la porta.
Dormì un sonno inquieto quella notte. Non era una cosa insolita. Negli ultimi anni aveva potuto contare su regolari incubi centrati sugli uomini che avevano costituito una minaccia per la sua vita. Erano generalmente un mix in cui comparivano il suo ex-marito, suo padre e Bolton Crutchfield.
Ma questa notte, come molte delle notti recenti, i suoi sogni furono centrati su Hannah. La sua mente era scossa da un vortice di immagini sconnesse, alcune della ragazza in pericolo nelle mani di un aggressore mascherato, altre in cui camminava indifferente verso il pericolo.
Ma il sogno che la preoccupò di più fu l’ultimo, in cui Hannah sedeva a un tavolo, sorridendo noncurante mentre un cameriere non identificabile le serviva un piatto pieno di parti di corpo umano. Si stava proprio portando una forchettata di carne umana alla bocca quando Jessie si svegliò di soprassalto, madida di sudore e con il respiro affannoso.
I primi raggi di sole del mattino filtravano attraverso una fessura tra le tende. Jessie si mise a sedere, ruotò le gambe fuori dal lato del letto e si appoggiò la testa tra le mani. La fronte le batteva dolorante e sentiva un vago senso di nausea. Mentre prendeva dell’ibuprofene e una bottiglietta di Pepto-Bismol, cercò di non interpretare troppo i sogni fatti.
Sapeva per esperienza che non erano tanto premonitori, quando una manifestazione delle sue paure. Faceva sogni del genere perché temeva per il futuro di Hannah, non perché quello che vi vedeva fosse destinato a divenire realtà.
Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.
CAPITOLO SETTE
Nonostante la sua stanchezza, Jessie era elettrizzata mentre andava verso la centrale.
Era riuscita a trascinare Hannah fuori dalla porta solo con dieci minuti di ritardo questa mattina e aveva immaginato che beccando solo pochi semafori rossi, sarebbe comunque arrivata al lavoro prima che ci fosse troppa confusione. Voleva un po’ di tranquillità per potersi concentrare sul caso di Michaela Penn, che le sembrava sempre più losco ogni volta che ci pensava.
Perché gli agenti sulla scena volevano chiudere il caso e liquidarlo così rapidamente? Perché il detective non era arrivato più velocemente, se mai era poi arrivato? Cos’aveva indotto Cathy Bla-bla a chiamare Ryan? Il sesto senso di Jessie le stava gridando che qui si trattava di ben più di una semplice rapina. Nove pugnalate le sembravano una cosa molto personale.
Eppure, come le avevano ripetutamente ricordato durante le sue dieci settimane di addestramento all’Accademia dell’FBI che aveva frequentato, il suo sesto senso non poteva sostituire le prove. Solo perché una persona o uno scenario sembravano sospetti, questo non si poteva considerare come prova di nulla. Per Jessie, che aveva superato con eccellenza quasi tutti i test che le avevano fatto fare a Quantico, imparare quella lezione a memoria era stata la cosa più difficile.
Quando arrivò alla sua scrivania alle 7:33, l’ufficio centrale era ancora poco popolato. Sapeva di avere circa mezz’ora prima che le cose cambiassero, quindi si tuffò a capofitto. Prima chiamò l’ufficio del medico legale della Valley per sapere dei risultati che potevano essere saltati fuori. Maggie Caldwell non c’era. Ma secondo Jimmy, il tipo che le aveva risposto, la donna gli aveva dato istruzioni di passare ogni aggiornamento se qualcuno della stazione centrale avesse chiamato. Almeno la Caldwell non sembrava essere parte dell’operazione – qualsiasi essa fosse – che il sergente Costabile stava portando avanti.
Secondo Jimmy, Michaela era stata aggredita sessualmente prima di morire. Ma a quanto pareva l’aggressore aveva usato un preservativo e poi l’aveva riempita di una sorta di disinfettante che preveniva la giacenza di ogni utilizzabile traccia di DNA. Stavano aspettando di vedere se altri test dettagliati potessero offrire qualcosa di più, ma non era molto ottimista.
La chiamata successiva fu all’ospedale per controllare le condizioni di Lizzie. Mentre aspettava in linea per avere un aggiornamento, i suoi pensieri tornarono ad Hannah. Le somiglianze tra lei e Michaela Penn non le erano sfuggite. Entrambe le ragazze avevano diciassette anni. Entrambe avevano frequentato scuole private nella Fernando Valley. Sembrava che entrambe fossero state costrette a crescere più velocemente del necessario. Jessie si chiese quali altri elementi avessero in comune.
Un’infermiera venne al telefono, risvegliandola dai suoi pensieri. A quanto pareva Lizzie era ancora sedata. L’infermiera disse che probabilmente si sarebbe svegliata per metà mattinata e le suggerì di aspettare fino ad allora per una visita.
Dopodiché Jessie chiamò la stazione di Van Nuys e chiese dell’agente Burnside, quello che stava di guardia fuori dal condominio. Fra tutti i poliziotti che aveva incontrato ieri notte, lui era quello che le sembrava più a suo agio con l’intera situazione. Sperava di potergli cavare fuori qualche dettaglio. Gli dissero che aveva appena terminato il turno, dalle 19 della sera precedente alle 7.
Con un po’ di persuasione, riuscì a convincere il sergente di scrivania a darle il numero di cellulare del giovane. La sua speranza che fosse sveglio e stesse andando a casa fu ricompensata quando l’uomo rispose alla chiamata al secondo squillo.
“Pronto?” disse esitante.
“Agente Burnside? Sono Jessie Hunt. Ci siamo incontrati ieri notte sulla scena del delitto della Penn.”
“So chi è lei,” disse lui con voce cauta.
Percependo la sua intensa insicurezza, Jessie era dibattuta se tentare di metterlo a suo agio o accettare il suo disagio nell’affrontare la situazione. Decise che essere diretta era la mossa più intelligente.
“Senta, Agente, so che lei non impazzisce dal desiderio di fare questa telefonata. E io non voglio metterla in nessuna situazione difficile, quindi sarò breve.”
Fece una pausa, ma non ottenendo risposta, continuò.
“Mi stavo chiedendo se lei avesse ricevuto nessun aggiornamento sullo stato del telefono o del portatile di Michaela. Il telefono squilla? Che lei sappia, ci sono stati tentativi di dare in pegno il computer?”
Dopo un certo silenzio, Burnside finalmente rispose.
“Penso che lei farebbe meglio a seguire i canali ufficiali, signorina Hunt.”
Sembrava imbarazzato a dirlo e Jessie decise