Джек Марс

Un’esca per Zero


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Sparisci. Vai a sdraiarti su una spiaggia da qualche parte per i prossimi vent'anni".

      Bixby sorrise. "Sono irlandese. Mi scotto facilmente". Il suo sorriso svanì subito dopo. “Buona fortuna, Zero. Spero che trovi quello che stai cercando".

      "Grazie".

      Ma mentre Zero tornava nella fredda, incredibilmente buia notte del Saskatchewan, non poté evitare di pensare, tra sé e sé:

      spero di ricordare ciò che sto cercando.

      CAPITOLO DUE

      Il funerale del sovrano saudita fu, come previsto, davvero opulento. Almeno questo lo era; quello che il mondo avrebbe visto sulle reti di informazione, il funerale pubblico, dopo che i riti islamici tradizionali erano stati onorati in un contesto più intimo con la famiglia. Questo era il funerale a cui partecipavano i capi di stato, la nobiltà saudita e i leader dell'industria, tenuto nel cortile dorato, circondato di colonne di marmo, del palazzo reale di Riyadh. O meglio, uno dei palazzi reali, pensò Joanna mentre si trovava in mezzo ai presenti in lutto, la testa china in segno di riverenza e la fronte cosparsa di sudore e illuminata dal rovente sole saudita.

      Lei era la rappresentante degli Stati Uniti, ma non poteva fare a meno di sentirsi leggermente fuori posto per via del suo abbigliamento, un blazer nero, una camicia di seta nera e una gonna a tubino nera. Unito al fatto che la temperatura superava i trenta gradi, quell’abbigliamento la stava facendo soffocare, anche all'ombra. Fece del suo meglio per non darlo a vedere.

      Joanna Barkley era una donna pragmatica quanto il suo guardaroba. Non aveva dubbi su quella caratteristica della sua personalità, sebbene gli altri talvolta sembrassero dubitarne. Da adolescente, la sua idea di diventare senatrice nello stato della California veniva vista come un sogno irrealizzabile dai suoi insegnanti e coetanei e persino da suo padre, procuratore. Ma Joanna già si figurava il percorso, la carriera che l'avrebbe portata a realizzare quel sogno. Lo sarebbe diventata, semplicemente. All'età di trentadue anni, aveva realizzato il suo sogno, quello che per lei non era altro che un'idea, ed era stata eletta al Congresso degli Stati Uniti, la più giovane senatrice della storia.

      Quattro anni dopo, e poco più di due mesi prima, aveva scritto ancora una volta la storia quando il Presidente Jonathan Rutledge l'aveva nominata vicepresidente. A trentasei anni, Joanna Barkley era diventata non solo la prima vicepresidente donna nella storia della politica americana, ma anche la più giovane, insieme a John C. Breckinridge.

      Nonostante il suo carattere serio e pragmatico, Joanna non poteva evitare di essere definita una sognatrice. Le sue politiche furono accolte con la stessa considerazione con cui era stato preso il suo sogno di infanzia, ciò nonostante, aveva realizzato tutto ciò che si era prefissata. Per lei, la revisione del sistema sanitario non era affatto impossibile, ma semplicemente qualcosa che necessitava di un piano completo per essere portato a compimento. Uscire dai conflitti in Medio Oriente, raggiungere la pace, il commercio equo e persino sedersi alla scrivania dello Studio Ovale… niente di tutto ciò era irrealizzabile o impraticabile.

      Almeno non ai suoi occhi. I suoi detrattori e rivali, che erano molti, avrebbero detto diversamente.

      Finalmente la processione si concluse dopo che un uomo alto con la barba grigia ebbe concluso una preghiera, mormorata prima in arabo e poi in inglese. Era vestito interamente di bianco dal collo alle caviglie; un prete, suppose Joanna, o qualcosa del genere. Non era molto esperta di cultura islamica come avrebbe dovuto essere, soprattutto ora che avrebbe dovuto farsi carico di quelle visite e missioni diplomatiche. Ma due mesi non erano stati sufficienti per prepararsi, e il suo mandato fino a quel momento era stato un vortice di eventi, non ultimo dei quali la missione di pace tra Stati Uniti e i paesi del Medio Oriente.

      Il re Ghazi dell'Arabia Saudita aveva perso la sua lunga battaglia con una malattia sconosciuta, la cui natura la famiglia reale non era stata incline a condividere con il mondo. Joanna pensava che fosse percepita come una vergogna o ignominia al suo nome e che non aveva alcun desiderio di conoscerne i particolari. Mentre la preghiera volgeva al termine, la processione di leader, diplomatici e magnati si ritirò silenziosamente nella santità (e nell'aria condizionata) del palazzo reale, lontano dalla stampa e dalle telecamere. Una cosa curiosa, pensò Joanna, considerando quanto sembrasse essere riservata la famiglia reale.

      Ma prima che potesse entrare, una voce la chiamò.

      "Signora vicepresidente".

      Si fermò. L'uomo che la stava chiamando non era altro che il principe Basheer, o meglio il re Basheer adesso, il figlio maggiore del sovrano defunto. Era alto, aveva le spalle larghe, forse stava anche gonfiando leggermente il petto, se non si sbagliava. Era vestito completamente di bianco, proprio come il prete, ad eccezione del suo copricapo: come si chiama? si chiese, che era stampato in un motivo a scacchi bianchi e rossi che, a dire il vero, le ricordava da vicino una tovaglia da picnic. La sua barba era corta e appuntita, già brizzolata nonostante avesse soltanto trentanove anni.

      "Re Basheer". Disse, mentre si congratulava con se stessa per aver ricordato correttamente il suo titolo. "Le mie condoglianze, altezza".

      Lui sorrise con gli occhi, ma la sua bocca rimase ferma. "Devo ammettere che abituarsi al nuovo titolo si sta rivelando piuttosto difficile". L'inglese di Basheer era eccellente, ma Joanna notò che faticava a pronunciare le consonanti dure. "Immagino che la sua visita sarà piuttosto breve. Speravo potessimo scambiarci qualche parola in privato".

      Era vero; il volo di ritorno era già stato organizzato. Avrebbe dovuto tornare sul jet entro un'ora. Ma la diplomazia le imponeva di non respingere l'offerta di un figlio in lutto, appena divenuto re e un possibile alleato, dal momento che il governo degli Stati Uniti aveva poca idea dei rapporti diplomatici che avrebbe instaurato con il Re Basheer.

      Joanna annuì gentilmente. "Ma certo".

      Basheer le fece segno di seguirla. "Da questa parte".

      Esitò, e a stento si trattenne dallo sbottare, "Adesso?" Il suo sguardo si rivolse alla processione. Basheer aveva appena sepolto suo padre; sicuramente c'erano questioni più importanti a cui occuparsi che parlare con lei.

      Uno stretto nodo di apprensione si formò mentre seguiva di pochi passi il nuovo sovrano, nel palazzo e attraverso una sala di ricevimento per dignitari delle dimensioni di una piccola palestra. Mentre i camerieri servivano il rinfresco agli altri visitatori, Joanna fu condotta verso una piccola anticamera. Notò del movimento con la coda dell’occhio; l'alto sacerdote in bianco la stava seguendo silenziosamente.

      È più che un prete, pensò. Un consigliere, forse? Nella cultura dei quei luoghi, spesso queste due figure coincidono. Cercò con difficoltà di ricordare come si chiamassero queste persone, Imam, forse?

      Chiunque egli fosse, l'alto sacerdote chiuse le spesse doppie porte dell'anticamera dietro di lui. Erano solo in tre in quella stanza; sorprendentemente, non c'era nemmeno un servitore o una guardia. Divani e voluminosi cuscini dai colori accesi erano disposti ovunque, e persino le finestre erano decorate con pesanti velluti.

      Questa era una stanza in cui si parlava di segreti, una stanza senza orecchie. E sebbene non sapesse di cosa avrebbe dovuto discutere, Joanna Barkley sapeva che era precisamente il motivo per cui aveva sperato di tornare rapidamente a Washington.

      "Si accomodi", disse Basheer, indicando una delle sedie nella stanza. "Prego".

      Si sedette su un divano color crema, ma non si abbandonò affatto né fece alcuno sforzo per mettersi comoda. Joanna si sedette sul bordo del cuscino con la schiena dritta e le mani in grembo. "A cosa devo questo incontro?" osò chiedere, saltando tutte le formalità di rito.

      Basheer si concesse un raro sorriso.

      Non era un segreto che le relazioni tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita si fossero un po' deteriorate da quando il re Ghazi si era ammalato. Ghazi era stato un alleato, ma quando la malattia aveva preso il sopravvento ed era trapelata al pubblico, quelli che avrebbero dovuto parlare per lui erano rimasti stranamente silenziosi. La monarchia in Arabia Saudita era il potere assoluto e dominava tutti i rami del governo, quindi gli Stati Uniti trovarono prudente muoversi cautamente, seguendo i movimenti del principe ereditario Basheer.

      Quello che videro non piacque loro affatto.

      A