sul ciglio di una strada a Griffith Park con una gamba rotta e diverse ferite di altro genere. Ma da quello che ho capito dovrebbero dimetterla entro la fine della settimana.”
“È sposata? Ha figli?”
“Non penso,” disse Jessie.
“Bene. Già è orribile vivere un’esperienza del genere. Ma è terribile anche per il resto della famiglia. Mia figlia viene nella nostra camera in lacrime quasi ogni notte. Mio figlio ha iniziato a bagnare il letto. Ty si sta occupando di tutto, e sento che sta per crollare.”
“Va tutto bene, tesoro,” disse Ty stringendole la mano. “Sto bene. E i bambini supereranno anche questa. Concentrati su di te. Penso che possa essere di aiuto. Se la signorina Hunt potrà trovare un nuovo modo per acciuffare questo tizio, questo aiuterà tutti a dormire di notte.”
“Pensa di poterlo fare, signorina Hunt?”
“Vi prego di chiamarmi Jessie. E la risposta che spero è sì, con il vostro aiuto.”
Brenda la osservò con i suoi occhi stanchi e annuì.
“Vieni con me, Jessie,” le disse la donna. “Voglio mostrarti una cosa.”
Detto questo si alzò e uscì dalla stanza senza aggiungere una parola di più. Jessie la seguì, voltandosi a guardare Ty, che scrollò le spalle e si alzò a sua volta. Brenda fece strada lungo il corridoio e si fermò accanto a uno scaffale a metà del corridoio.
Allungò la mano e tirò fuori un libro dalla copertina rossa che si trovava all’estremità della mensola. Il libro venne indietro con facilità e poi tornò al suo posto. Jessie udì un sommesso click. Improvvisamente la libreria ruotò indietro come una porta.
Una luce fosforescente si illuminò in alto, mostrando una stanza della grandezza di un piccolo studio. Appoggiata a una parete si trovava una piccola poltrona. Accanto ad essa c’erano due sedie di legno. Al centro si trovava un piccolo tavolino, e nell’angolo stava un minuscolo frigorifero.
A parte qualche rivista e un po’ di libri da colorare e dei pastelli, la stanza era spoglia di ogni divertimento. Alla parete era appeso un vecchio telefono. Su un altro muro era attaccato un grosso poster con la cover dell’album Nevermind dei Nirvana, in cui un bimbo è sott’acqua con le manine allungate verso una banconota da un dollaro.
“Che forza,” disse Jessie, indicando il poster, insicura di cos’altro dire a commento.
“Sì, direi di sì,” disse Brenda. “Lo abbiamo usato perché è abbastanza grande da coprire l’accesso al tunnel che abbiamo scavato sotto la casa fino al cortile davanti.”
“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dal tono blando con cui Brenda le descriveva una situazione così poco convenzionale.
“Ti sto mostrando questo perché volevo darti un’idea di come sia la nostra vita adesso. Ho chiesto a Ty di far costruire questa stanza di sicurezza dopo che sono tornata a casa. Non so se sarà realmente utile in caso di emergenza. Ma fino a che non è stata pronta, non sono riuscita a dormire più di due ore alla volta.”
“Capisco,” disse Jessie sottovoce.
“Davvero?” chiese Brenda con tono di sfida.
“Sul serio,” le confermò lei. “Non vi annoierò con i dettagli, ma ho avuto diversi stalker. Ho fatto rifare il mio appartamento per includere diverse misure di sicurezza, usate generalmente nelle banche o nelle strutture del governo. E anche dopo che le minacce imminenti alla mia sicurezza sono state eliminate, mantengo il livello di sicurezza. Quindi capisco cosa vi ha mosso a fare questo.”
Jessie notò che per la prima volta Brenda la guardava come se avesse trovato in lei un’alleata.
“Mi spiace che ti sia successo questo,” le disse. “E puoi chiamarmi Brenda.”
Jessie sorrise.
“Grazie, Brenda. Ti spiace se ci sediamo?” le chiese, indicando la poltroncina.
“Qua dentro?”
“Tanto vale abituarcisi, no?” le disse Jessie.
Brenda guardò suo marito che non aveva detto una parola in tutto il tempo. Lui scrollò di nuovo le spalle.
“Vi aspetto in cucina, così voi due potete avere un po’ di privacy.”
Dopo che se ne fu andato, Brenda premette un pulsante sul muro e la porta si chiuse. Indicò un piccolo interruttore che sembrava essere più o meno nello stesso punto in cui si trovava il libro rosso dall’altra parte. Era contrassegnato dalle parole ‘aperto’ e ‘chiuso’.
“Così nessuno può entrare nella stanza fino a che ci siamo dentro noi, anche se sanno del libro,” disse Brenda.
“Ottima scelta,” disse Jessie. “Altrimenti non sarebbe tanto una stanza di sicurezza, direi.”
Prese l’iniziativa, andò a sedersi sulla poltroncina. Brenda si unì a lei, ma si sedette su una delle sedie vicine.
“Allora,” iniziò Jessie, “so che hai parlato tante volte con la polizia. Ho letto la cartella. Quindi tenterò di non ripetere troppo le loro domande. Io in effetti sono interessata a cose diverse.”
“Tipo cosa?” chiese Brenda incrociando le gambe prima in un senso e poi nell’altro, nervosa.
“Dalla descrizione che avete fornito tu, la seconda e la terza vittima, so che il tuo rapitore indossava degli elaborati travestimenti, incluse parrucche, barbe ed elementi facciali finti. So anche che tutte voi siete state bendate dopo il rapimento. Quindi adesso vorrei concentrarmi di più sulla sua voce. Te la ricordi?”
“Non riesco a levarmela dalla testa,” disse Brenda, “anche se non è che parlasse tanto.”
“Saresti in grado di descriverne il timbro?” chiese Jessie. “Era profonda o alta? O una via di mezzo?”
“Una via di mezzo. Era una voce normale, di tono medio.”
“Ok,” disse Jessie. “E che mi dici dell’accento? Hai notato niente tra le righe? Magari una vibrazione nasale? O un tono più piatto, tipo centro-occidentale? Magari qualcosa che ti ricordava New York o la New England? Usava parole strane che di solito non si sentono in giro?”
“Non ho notato niente di insolito,” disse Brenda, aggrottando la fronte, concentrata. “Io sono di Los Angeles e lui mi è sembrato normale, quindi magari anche lui è di qui?”
“È possibile,” disse Jessie. “E la scelta delle parole? Usava molto slang o aveva un linguaggio più curato? Ti sembrava una persona che avesse studiato molto?”
Brenda si prese un momento per scandagliare la propria memoria.
“Non me lo ricordo parlare in nessun modo elegante. Ma non ricordo neanche che usasse un sacco di slang. Era per lo più un linguaggio piano e standard.”
“Parlava insolitamente lento o veloce?”
Gli occhi di Brenda si illuminarono davanti a quella domanda.
“Magari un po’ più lentamente del solito,” rispose. “Era come se volesse essere sicuro di dire le cose giuste quando parlava. Era molto misurato. È di aiuto?”
“Forse,” disse Jessie. “Esploriamo altre aree. Hai notato un odore particolare?”
Brenda fece silenzio e arrossì.
“Cosa c’è che non va?” chiese Jessie con gentilezza.
Pensava che la donna non avesse intenzione di rispondere, ma dopo qualche secondo alla fine prese la parola.
“A essere onesta,” disse quasi in un sussurro, “non ricordo un odore provenire da lui. Qualsiasi cosa abbia usato per farmi perdere i sensi aveva un odore fortissimo. E poi non ho potuto sentire niente se non la mia stessa puzza, prima per il sudore e gli odori del corpo, e poi per… i miei stessi escrementi.”
Abbassò gli occhi e non aggiunse altro.
“Ok, allora andiamo oltre,” disse Jessie rapidamente. “Perché non