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Aggiornamento al: 03/01/2021
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MILLE ED ALTRI CENTO
Ero in vacanza quando il mio padrone di casa mi telefonò per avvertirmi che aveva affittato l’appartamentino al pian terreno sotto al mio, e che la nuova inquilina vi era già venuta ad abitarci.
“Ci tenevo ad avvisarla perché non si debba spaventare o preoccupare, quando si accorgerà che c’è dentro qualcuno. Ma del resto vedrà che non le darà nessun fastidio. Le garantisco che è una persona assolutamente tranquilla, la conosco personalmente … come del resto ho garantito alla signora che lei sarà un ottimo vicino. Conoscendola, sono sicuro che non si tirerà indietro se per caso la nuova arrivata avrà bisogno di una mano per qualunque motivo.”
Lo ringraziai sia per la fiducia accordatami, che per avermi avvisato. In effetti ero in ottimi rapporti col mio padrone di casa, che evidentemente aveva ormai imparato a conoscermi e ad apprezzarmi non solo per la puntualità nei pagamenti e per la cura con cui tenevo l’appartamento.
Quando il sabato tornai a casa, pensai di passare a presentarmi alla nuova vicina. Era un caldo pomeriggio di fine luglio, le sette passate, il sole ancora lontano dal tramonto. Poggiato su da me il mio bagaglio, ridiscesi e suonai il campanello al pian terreno, il cui suono inconsueto non avevo ancora mai avuto modo di conoscere.
Attesi un poco prima che la porta si aprisse. Mi apparve, con in braccio un simpatico cagnolino bianco e nero, una signora credo appena poco più giovane di me - direi più sui cinquant’anni che sui quaranta.
“Salve. Cercava me?”, mi chiese sorridendo. “Con chi ho il piacere di avere a che fare?”, continuò sempre con molta pacatezza.
“Volevo presentarmi: sono il suo vicino, quello che abita sopra di lei”.
La signora, muovendosi con una certa lentezza, rimise giù il cane, che appena poté liberarsi si precipitò dentro casa. “L’ho presa in braccio perché si spaventa sempre, se c’è una persona che non conosce. Strano cane. Invece di abbaiare agli sconosciuti, come fanno tutti, scappa e se la fa sotto, poverina.”
Poi mi guardò di nuovo e fece una lunga pausa, come se stesse pensando a qualcos’altro. Ne approfittai per ammirarla di nuovo. Era davvero bella, con due occhioni grandi e buoni ed un’espressione sempre sorridente, anche se in quel suo sorriso sembrava confondersi un briciolo di tristezza.
“Stavo pensando”, mi disse, “ma perché non entra e mi fa un po’ di compagnia? Magari potrei offrirle … vediamo, forse un po’ di thè?”
“Beh, … volentieri! Più per la compagnia che per il thè, naturalmente.”
“Allora si accomodi qui in soggiorno. Faccio subito.”
Lei, sempre con molta calma, si diresse in cucina da dove si sentiva anche la presenza del suo cane. Si distrasse subito a parlare affettuosamente con lui (o forse dovrei dire lei, da quel che avevo capito), fatto sta che di certo subito non fece. Attesi a lungo, cercando di interpretare di volta in volta i diversi suoni che provenivano dall’altra stanza: tazzine, teiera, cucchiaini, fornello … Sentendo il rumore del fornello la raggiunsi, un po’ preoccupato. Era evidente che aveva grosse difficoltà nell’accensione.
“Lasci, lasci stare. Credo che con questo caldo non sia il caso di mettere qualcosa sul fuoco. Io ho un’idea migliore: se mi aspetta un minuto vado su e prendo dal frigo delle bibite fresche. Dovrei avere anche del thè freddo, mi pare. Che ne dice?”
“D’accordo. Però … che ne dice se ci dessimo del tu?”
“Va bene. E poi magari ti faccio anche vedere come si apre il gas e come si accendono i fornelli, che mi sembrano uguali ai miei.”
Feci un salto di sopra, e pochi istanti dopo ne tornai con una discreta varietà di bevande. Lei, con molta calma, stava portando un vassoio con due bicchieri ed un pacco di biscotti.
“Sei stato velocissimo, A.? … Ho letto l’iniziale sul citofono al cancello. Andrea? Aurelio? Aristide?”
“Amilcare”, la interruppi io.
“Ah, non l’avrei mai indovinato. Io invece sono Chiara. Ma puoi chiamarmi come vuoi, anche in un altro modo, se preferisci.”
“Ti dico subito che non verrò mai e poi mai a disturbarti a casa tua”, mi disse. La sua voce, mi era ormai chiaro, risuonava sempre dolce e gioiosa come quella di un uccellino all’arrivo della primavera. “Perché ho dei seri problemi a fare le scale. In pratica non le posso più fare. Alle volte la vita è davvero beffarda: pensa che invece per i primi trent’anni della mia vita dormivo al piano di sopra, e tutti i giorni chissà quante volte su e giù per le scale.”
“E’ un vero peccato che tu non possa ricambiare la mia visita e disturbarmi ogni tanto a casa mia: per me sarebbe stato un vero piacere. Ma questo non è un problema. Troveremo il modo per comunicare. Intanto ci lasciamo il numero di telefono, ma quando vuoi che io scenda basta che mi chiami, ed io sarò subito giù. Anche dal citofono del cancello, se ti è più comodo.”
Pronunciai queste parole con la massima sincerità, perché mi stavo rendendo conto che la sua presenza esercitava su di me un influsso benefico. I suoi occhi, il suo sorriso, la sua voce, il suo modo di fare tranquillo e sereno mi attiravano a lei come una calamita, ed io mi lasciavo trasportare da questa forza senza opporre la minima resistenza, come un fuscello nel fiume trasportato dalla corrente.
“Quando venni a stare qui”, dissi io giusto per dire qualcosa, “potevo scegliere tra l’appartamentino di sotto e quello di sopra. Erano liberi tutti e due. Scelsi quello di sopra non solo perché costava un po’ meno, ma perché veramente le scale non mi pesano affatto. Anzi, le faccio volentieri, mi aiutano a tenermi in forma. E per fortuna che ho scelto così, altrimenti, forse, non ti avrei mai conosciuta.”
“Già”, fece lei. “E per fortuna, anche, che il padrone di casa mi ha concesso di portare con me Ketty, benché all’inizio avesse detto che non accettava animali.”
“Sei qui da sola con Ketty? … che sarebbe il tuo cane, immagino”, chiesi così, giusto per alimentare la conversazione.
“Sì, io e Ketty, femmina anche lei. Anche se in effetti a molti sembra un nome da … gatto inglese. Ma aspetta che te la presento. Voi due dovete fare amicizia: non può continuare a trattarti come uno sconosciuto.”
Si alzò e, con la sua solita flemma, andò in cucina, la prese in braccio e la portò di fronte a me. La bestiola sembrava ancora impaurita. Io azzardai ad accarezzarla, ed alla fine parve calmarsi. Quando poi la sua padrona la lasciò andare, lei scappò sì, ma non in cucina; rimase in un angolo della stanza, da cui continuò per tutto il tempo a guardarmi ed a studiarmi con curiosità.
“Quando ho scelto il primo piano”, ripresi io, “ho chiesto al padrone di casa se potevo comunque usufruire del giardinetto all’ingresso. Mi ha detto di sì, almeno finché il pian terreno fosse disabitato, purché non lo danneggiassi. Ma io gli ho detto che non solo non lo avrei danneggiato, ma che me ne sarei preso cura. Occuparmi del giardino mi piace e mi rilassa, l’ho sempre fatto sin da bambino. Ci ha guadagnato anche lui, risparmiando sul giardiniere. Ecco … volevo dirti che, se non ti dispiace, vorrei continuare ad occuparmene, e quindi se starai in giardino potresti avermi tra i piedi di tanto in tanto, con forbici e zappetta.”
“Oh, sì. Mi piace tanto il giardino, i fiori, le piante. Di certo ci starò spesso. Anche perché non si può stare tutto il giorno davanti al televisore. E mi farà grande piacere vedere che te ne prendi cura. Se posso cercherò di darti una mano. Però ti devo avvisare che, oltre a me e a Ketty, ti troverai tra i piedi spesso anche qualche altra persona. Mia sorella Ginevra, col marito e i ragazzi, che verranno spesso a trovarmi; e un’altra signora che ho conosciuto da poco - mi pare che si chiami Giordana - che viene a darmi una mano quasi tutti i giorni. Perché … ma forse certe cose non te le dovrei dire, altrimenti poi scappi e non vieni più a trovarmi.”
“Ma che dici!”, le risposi. “Io ti trovo adorabile, e bellissima. Ho tutt’altre intenzioni che scappare. Anzi. Mi piacerebbe che tra noi nascesse un’amicizia speciale, molto di più