e, ogni tanto, per far vedere che stava attenta, o per ravviare il cicalìo, diceva: — sicuro: adesso capisco: va benissimo: è chiara: e poi? e lui? e voi? — Ma intanto, faceva un altro discorso con sé stessa. «Saranno usciti a quest’ora? o saranno ancor dentro? Che sciocchi che siamo stati tutt’e tre, a non concertar qualche segnale, per avvisarmi, quando la cosa fosse riuscita! È stata proprio grossa! Ma è fatta: ora non c’è altro che tener costei a bada, più che posso: alla peggio, sarà un po’ di tempo perduto.» Così, a corserelle e a fermatine, eran tornate poco distante dalla casa di don Abbondio, la quale però non vedevano, per ragione di quella cantonata: e Perpetua, trovandosi a un punto importante del racconto, s’era lasciata fermare senza far resistenza, anzi senza avvedersene; quando, tutt’a un tratto, si sentì venir rimbombando dall’alto, nel vano immoto dell’aria, per l’ampio silenzio della notte, quel primo sgangherato grido di don Abbondio: — aiuto! aiuto!
— Misericordia! cos’è stato? — gridò Perpetua, e volle correre.
— Cosa c’è? cosa c’è? — disse Agnese, tenendola per la sottana.
— Misericordia! non avete sentito? — replicò quella, svincolandosi.
— Cosa c’è? cosa c’è? — ripeté Agnese, afferrandola per un braccio.
— Diavolo d’una donna! — esclamò Perpetua, rispingendola, per mettersi in libertà; e prese la rincorsa. Quando, più lontano, più acuto, più istantaneo, si sente l’urlo di Menico.
— Misericordia! — grida anche Agnese; e di galoppo dietro l’altra. Avevan quasi appena alzati i calcagni, quando scoccò la campana: un tocco, e due, e tre, e seguita: sarebbero stati sproni, se quelle ne avessero avuto bisogno. Perpetua arriva, un momento prima dell’altra; mentre vuole spinger l’uscio, l’uscio si spalanca di dentro, e sulla soglia compariscono Tonio, Gervaso, Renzo, Lucia, che, trovata la scala, eran venuti giù saltelloni; e, sentendo poi quel terribile scampanìo, correvano in furia, a mettersi in salvo.
— Cosa c’è? cosa c’è? — domandò Perpetua ansante ai fratelli, che le risposero con un urtone, e scantonarono. — E voi! come! che fate qui voi? — domandò poscia all’altra coppia, quando l’ebbe raffigurata. Ma quelli pure usciron senza rispondere. Perpetua, per accorrere dove il bisogno era maggiore, non domandò altro, entrò in fretta nell’andito, e corse, come poteva al buio, verso la scala.
I due sposi rimasti promessi si trovarono in faccia Agnese, che arrivava tutt’affannata. — Ah siete qui! — disse questa, cavando fuori la parola a stento: — com’è andata? cos’è la campana? mi par d’aver sentito...
— A casa, a casa, — diceva Renzo, — prima che venga gente. — E s’avviavano; ma arriva Menico di corsa, li riconosce, li ferma, e, ancor tutto tremante, con voce mezza fioca, dice: — dove andate? indietro, indietro! per di qua, al convento!
— Sei tu che...? — cominciava Agnese.
— Cosa c’è d’altro? — domandava Renzo. Lucia, tutta smarrita, taceva e tremava.
— C’è il diavolo in casa, — riprese Menico ansante. — Gli ho visti io: m’hanno voluto ammazzare: l’ha detto il padre Cristoforo: e anche voi, Renzo, ha detto che veniate subito: e poi gli ho visti io: provvidenza che vi trovo qui tutti! vi dirò poi, quando saremo fuori.
Renzo, ch’era il più di sé di tutti, pensò che, di qua o di là, conveniva andar subito, prima che la gente accorresse; e che la più sicura era di far ciò che Menico consigliava, anzi comandava, con la forza d’uno spaventato. Per istrada poi, e fuor del pericolo, si potrebbe domandare al ragazzo una spiegazione più chiara. — Cammina avanti, — gli disse. — Andiam con lui, — disse alle donne. Voltarono, s’incamminarono in fretta verso la chiesa, attraversaron la piazza, dove per grazia del cielo, non c’era ancora anima vivente; entrarono in una stradetta che era tra la chiesa e la casa di don Abbondio; al primo buco che videro in una siepe, dentro, e via per i campi.
Non s’eran forse allontanati un cinquanta passi, quando la gente cominciò ad accorrere sulla piazza, e ingrossava ogni momento. Si guardavano in viso gli uni con gli altri; ognuno aveva una domanda da fare, nessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla porta della chiesa: era serrata. Corsero al campanile di fuori; e uno di quelli, messa la bocca a un finestrino, una specie di feritoia, cacciò dentro un: — che diavolo c’è? — Quando Ambrogio sentì una voce conosciuta, lasciò andar la corda; e assicurato dal ronzio, ch’era accorso molto popolo, rispose: — vengo ad aprire —. Si mise in fretta l’arnese che aveva portato sotto il braccio, venne, dalla parte di dentro, alla porta della chiesa, e l’aprì.
— Cos’è tutto questo fracasso? — Cos’è? — Dov’è? — Chi è? — Come, chi è? — disse Ambrogio, tenendo con una mano un battente della porta, e, con l’altra, il lembo di quel tale arnese, che s’era messo così in fretta: — come! non lo sapete? gente in casa del signor curato. Animo, figliuoli: aiuto. — Si voltan tutti a quella casa, vi s’avvicinano in folla, guardano in su, stanno in orecchi: tutto quieto. Altri corrono dalla parte dove c’era l’uscio: è chiuso, e non par che sia stato toccato. Guardano in su anche loro: non c’è una finestra aperta: non si sente uno zitto.
— Chi è là dentro? — Ohe, ohe! — Signor curato! — Signor curato!
Don Abbondio, il quale, appena accortosi della fuga degl’invasori, s’era ritirato dalla finestra, e l’aveva richiusa, e che in questo momento stava a bisticciar sottovoce con Perpetua, che l’aveva lasciato solo in quell’imbroglio, dovette, quando si sentì chiamare a voce di popolo, venir di nuovo alla finestra; e visto quel gran soccorso, si pentì d’averlo chiesto.
— Cos’è stato? — Che le hanno fatto? — Chi sono costoro? — Dove sono? — gli veniva gridato da cinquanta voci a un tratto.
— Non c’è più nessuno: vi ringrazio; tornate pure a casa.
— Ma chi è stato? — Dove sono andati? — Che è accaduto? — Cattiva gente, gente che gira di notte; ma sono fuggiti: tornate a casa; non c’è più niente: un’altra volta, figliuoli: vi ringrazio del vostro buon cuore. — E, detto questo, si ritirò, e chiuse la finestra. Qui alcuni cominciarono a brontolare, altri a canzonare, altri a sagrare; altri si stringevan nelle spalle, e se n’andavano: quando arriva uno tutto trafelato, che stentava a formar le parole. Stava costui di casa quasi dirimpetto alle nostre donne, ed essendosi, al rumore, affacciato alla finestra, aveva veduto nel cortiletto quello scompiglio de’ bravi, quando il Griso s’affannava a raccoglierli. Quand’ ebbe ripreso fiato, gridò: — che fate qui, figliuoli? non è qui il diavolo; è giù in fondo alla strada, alla casa d’Agnese Mondella: gente armata; son dentro; par che vogliano ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo c’è!
— Che? — Che? — Che? — E comincia una consulta tumultuosa. — Bisogna andare. — Bisogna vedere. — Quanti sono? — Quanti siamo? — Chi sono? — Il console ! il console!
— Son qui, — risponde il console, di mezzo alla folla: — son qui; ma bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire. Presto: dov’è il sagrestano? Alla campana, alla campana. Presto: uno che corra a Lecco a cercar soccorso: venite qui tutti...
Chi accorre, chi sguizza tra uomo e uomo, e se la batte; il tumulto era grande, quando arriva un altro, che gli aveva veduti partire in fretta, e grida: — correte, figliuoli: ladri, o banditi che scappano con un pellegrino: son già fuori del paese: addosso! addosso! — A quest’avviso, senza aspettar gli ordini del capitano, si movono in massa, e giù alla rinfusa per la strada; di mano in mano che l’esercito s’avanza, qualcheduno di quei della vanguardia rallenta il passo, si lascia sopravanzare, e si ficca nel corpo della battaglia: gli ultimi spingono innanzi: lo sciame confuso giunge finalmente al luogo indicato. Le tracce dell’invasione eran fresche e manifeste: l’uscio spalancato, la serratura sconficcata; ma gl’invasori erano spariti. S’entra nel cortile; si va all’uscio del terreno: aperto e sconficcato anche quello: si chiama: — Agnese! Lucia! Il pellegrino! Dov’è il pellegrino? L’avrà sognato Stefano, il pellegrino. — No, no: l’ha visto anche Carlandrea. Ohe, pellegrino! — Agnese! Lucia!