degli squarci del nostro Codice, nè saprei indovinar la causa per cui si tacque: era forse tuttora in casa Bevilacqua?..... Ma tralasciando le congetture, e venendo alla storica certezza, diremo che il Sig. Canonico Vincenzio Faustini, uomo fornito di buone lettere, ereditò dal padre suo il nostro Codice, ed a noi come possessor legittimo ne fece legittima cessione nel luglio dell'anno decorso; onde io mi do a credere che essendo il padre del Sig. Can. Faustini assai versato in questi studj e nella paleografia, ed avendo vissuto negli anni in cui per straniera invasione tanti insigni stabilimenti rimasero soppressi, e tanti pubblici e privati monumenti di libri e scritture andarono dispersi o per ignoranza distrutti, fu una fortuna che queste preziose reliquie venissero alle mani di lui, che seppe raffigurarle e tenerle nel pregio che meritavano. Quindi se mancano ad appagare la curiosità del Lettore notizie positive e speciali sulla sorte corsa da esse, ciò vien largamente compensato dalla sodisfazione che gli deriverà dal percorrere queste pagine, ove stampava sì luminose tracce della fecondità del suo immortal genio il Cantore del Furioso; e se qualche gusto gli rimane della buona poesia, e se qualche scintilla d'amor patrio gli scalda le vene, sarà contento aver veduto in questa età aumentarsi il patrimonio delle nostre lettere, e di nuove fronde rinfrescarsi la corona immortale che cinse l'onorata fronte del Poeta che, se Dante non era, sarebbe per primo inchinato.
Che poi questi Canti fossero dettati per innestarli all'Orlando Furioso, come opinò taluno, oppure dovessero unirsi ai cinque altri postumi pubblicati da Virginio, la lettura attenta dei medesimi, ed il filo delle storie che vi son narrate, benchè interrotto, mostrano chiaramente che questa opinione non ha sussistenza; imperocchè il Furioso fu in ogni sua parte perfezionato dal Poeta nell'edizione del 1532, e tutte le storie intessutevi hanno il loro pieno sviluppo particolare. Di più nel Rinaldo compariscono personaggi ed attori diversi da quelli rammentati nell'Orlando, e toltone tre o quattro, nuovi affatto. E finalmente alla pag. 45 si allude ad alcuni avvenimenti storici occorsi in Italia al tempo dell'Ariosto, che erano stati narrati prima nei Canti III, XIV e XXXIII dell'Orlando; cosicchè se questi Canti fossero stati destinati ad inserirsi in esso, ne sarebbe resultata un'inutile ed oziosa ripetizione di fatti; però l'inesauribil vena del Poeta non abbisognava di tali sussidj, nè l'avrebbe consentito l'alterezza del suo genio. Mi fo meglio a credere che, avendo ideato questo nuovo Poema, volle mostrare ad Alfonso suo Mecenate, che non si lasciava fuggire occasione di cantare e ricantare le sue belle imprese, ogni volta che gli cadeva in acconcio di farlo solennemente.
Il titolo di Rinaldo Ardito, credo che sia stato dato al poema, perchè apparisce dalla pag. 31, che questo famoso Paladino, protagonista dell'azione, onde ottener certa vittoria sull'esercito infedele, si travestisse da Saraceno, e sotto le mentite spoglie potè conoscere le forze del nemico; quindi dopo aver tutto esplorato, allorchè i due eserciti stavansi a fronte, avendo per mezzo della sorella Bradamante avvisato dell'inganno i capitani di Carlo, pose lo scompiglio nel campo nemico, e coll'aiuto dei Cristiani accorsi in tempo, disfecero l'oste pagana; e termina l'impresa colla conversione al Cristianesimo dei principali condottieri Saraceni e di Fondrano loro capo e Signore. Questo in breve pare che fosse il concetto del Poeta, innestandovi al solito vaghissimi episodj, che per la loro varietà e pel loro festivo colore ne rendono oltremodo gradevole la lettura.
Accennata la storia del nostro Codice e del suo contenuto, ci resta da prevenire il Lettore sull'ordine da noi seguito in questa prima pubblicazione, cominciando dall'esatta descrizione del Manoscritto qual si trova attualmente. Questo si compone di trenta carte numerate modernamente da una sola parte, e distribuite in quattro quinternetti. Il primo di essi conduce da 1 a 6; il secondo da 7 a 14; il terzo da 15 a 22; ed il quarto da 23 a 30. È necessario però avvertire che il terzo è contrassegnato nel margine inferiore della pag. 15 di mano dell'Autore con b, ed il quarto medesimamente a pag. 23 con D: il primo e secondo non portano segnature; ogni pagina contiene quattro ottave, meno che la 2 che ne ha cinque, la 19 la quale ne ha otto, scrittevi a doppia colonna, e la 29 che ne ha tre; cosicchè formano nell'insieme dugento quaranta quattro ottave. Ai quattro quinternetti serve di custodia una cartella di rozzo cartone bianco, che in avanti fu destinata a conservare dei conti e delle ricevute. Un cordoncino di seta rosso trapassa nella costola per traverso il cartone e i quinternetti, ed è fissato in fine con nodo; i due capi di esso poi son fermati nell'interno con cera di Spagna e sigillo della pubblica Biblioteca di Ferrara, ad autenticare il Certificato che qui si riporta in nota[7].
Ora venendo alla disposizione materiale della stampa, la lettura del Manoscritto, nell'ordine in cui si trova, ci fece dubitare che le carte non seguissero regolarmente e con progresso razionale la materia, ma che i quinternetti fossero stati a caso in tal guisa disposti; ed il dubbio dell'interpolazione divenne certezza, quando le segnature del terzo e quarto c'indicarono chiaramente, che questi invece dovevano precedere i due senza segnatura: ed a questa via ci attenemmo. E volendo che il Lettore si convinca co' propri occhi della giustezza della nostra risoluzione, s'imagini che la stampa nell'ordine del Codice avrebbe cominciato da pag. 46 colla stanza X. fino a pag. 85 stanza XXX., avrebbe proseguito colla pag. 1 stanza I. fino a pag. 46 stanza IX., talchè alla lettura in questo senso ne resulta la narrativa de' casi incomposta ed a ritroso. Ed in fatti, nella nuova disposizione, si trovano in principio alcuni capitani infedeli combattenti contro l'esercito cristiano, quindi si veggono abbracciare il Cristianesimo ad insinuazione d'Orlando. Vi si legge pure un'avventura di Ferraù, il quale cade per inganno nell'acqua, e per forza d'incanto si vede trasportato nel giardino di Venere, ove è presente al trionfo d'Amore ec. ec. dovecchè adottando l'altro modo, ne sarebbe derivato una mostruosità, non procedendo naturalmente il filo della materia e degli avvenimenti raccontati.
La ragione per la quale si è creduto bene render minutissimo conto di questo nostro materiale riordinamento, deriva dall'aver voluto fuggir la taccia d'arbitrarj, ove cadesse in mente a taluno raffrontar la stampa col manoscritto, giacchè ne piacque conservarlo religiosamente intatto ed inviolato nella sua compaginazione, alla quale va unita la preziosa autentica dell'originalità ed autografia del medesimo; onde precludere affatto il campo agli scettici, ai maligni ed agli ignoranti di sentenziare a sproposito. E giudicammo opportuno questo schiarimento, solo per quanto concerne la materialità del codice; che quanto al merito poetico, alla vivacità delle immagini ed al pregio dell'invenzione, tocca al Poeta a svelarsi, e a dar di se quelle prove irrefragabili che per unico lo caratterizzano, e per le quali come astro fulgidissimo risplende nell'italiano Parnaso: nè qui temiamo esserci ingannati.
Ora venendo al modo da noi adoprato nel dar fuori questo lavoro, diremo che siamo stati scrupolosissimi a produrre il testo nella sua genuinità, riportandone perfino le voci viziate per eccesso o per difetto od anche per trasposizione di qualche lettera, rettificando però le principali in piè di pagina, affinchè non si credessero errate per colpa nostra. La stanza V del C. II, la XVI e XXVII del C. IV, si son lasciate difettose nella loro tessitura, nè ci prendemmo briga di raddrizzare qualche verso zoppicante; tutte negligenze comprovanti maggiormente l'originalità di questo primo getto, che l'Autore avrebbe eliminate dappoi, e che veruna pena ci sarebbe costato il togliere. Le frasi e gl'intieri versi rigettati e cancellati dal Poeta, sostituendovi quelli che gli parvero migliori, si son riportati in calce come varianti, per mostrare sensibilmente l'ordine delle concezioni di quel prepotente ingegno. Quanto poi alla puntuazione, ci siamo tenuti a quel metodo che credemmo il più conveniente ed il più seguito, quello cioè di agevolare possibilmente l'intelligenza dei concetti, senza gran fatica nè bisogno di ricorrere per tortuose ambagi il filo del discorso. Ai Canti si è dato abusivamente un numero progressivo dal I al V; non perchè così ce li abbia indicati l'Ariosto, ma pel comodo del Lettore e delle citazioni; giacchè Esso nei titoli lasciò in bianco la numerazione, e di sua mano non numerò che il terzo, il quale, per la lacuna indefinita tramezzo, siamo stati obbligati a chiamar quarto; a questa numerazione si son pure subordinati gli altri, che da penna più moderna e con altro inchiostro erano stati notati. Per servire egualmente alla comodità, si sono numerate le stanze d'ogni Canto, tornando da capo a ciascuno, come è stile; e dove esistono lacune, non si è omessa l'avvertenza.
Resa sommariamente ragione di questa qualunque siasi fatica, onde impetrare alla medesima, se non il suffragio generale, almeno il benigno compatimento dei dotti, potremmo addurre a favor nostro le assidue e gravi cure sostenute di buona voglia nel breve ma spinoso aringo, non che le vinte difficoltà, che parvero quasi insuperabili al Baruffaldi, il qual pure avea tanta dimestichezza cogli scritti