Gabriele D'Annunzio

Forse che sì forse che no


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       Gabriele D'Annunzio

      Forse che sì forse che no

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066070687

       LIBRO PRIMO.

       LIBRO SECONDO.

       LIBRO TERZO.

       Indice

      — Forse — rispondeva la donna, quasi protendendo il sorriso contro il vento eroico della rapidità, nel battito del suo gran velo ora grigio ora argentino come i salici della pianura fuggente.

      — Non forse. Bisogna che sia, bisogna che sia! È orribile quel che fate, Isabella: non ha alcuna scusa, alcuna discolpa. È una crudeltà quasi brutale, un'offesa atroce al corpo e all'anima, un disconoscimento inumano dell'amore e d'ogni bellezza e d'ogni gentilezza dell'amore, Isabella. Che volete voi fare di me? Volete rendermi ancor più disperato e più folle?

      — Forse — rispondeva la donna, aguzzando il suo sorriso che il velo pareva confondere e quasi fumeggiare nei mobili riflessi, di sotto alle due ali ferrugigne che le coprivano gli orecchi inserite nel suo cappello a guisa d'elmetto intessuto d'una paglia larga e forte come trùcioli di frassino.

      — Ah, se l'amore fosse una creatura viva e avesse gli occhi, potreste voi guardarlo senza vergognarvi?

      — Non lo guardo.

      — Mi amate?

      — Non so.

      — Vi prendete gioco di me?

      — Tutto è gioco.

      Il furore gonfiò il petto dell'uomo chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa che correva l'antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d'un vasto tamburo metallico.

      — Siete capace di metter la vita per ultima posta?

      — Capace di tutto.

      Parve guizzarle tra i denti e il bianco degli occhi l'acutezza del sorriso formidabile come il baleno d'un'arme a doppio taglio. Con la destra il furibondo afferrò la leva, accelerò la corsa come nell'ardore d'una gara mortale, sentì pulsare nel suo proprio cuore la violenza del congegno esatto. Il vento gli mozzava le parole su le labbra arsicce.

       — Ora ho la vostra vita nelle mie mani come questo cerchio.

      — Sì.

      — Posso distruggerla.

      — Sì.

      — Posso in un attimo scagliarla nella polvere, schiacciarla contro le pietre, fare di voi e di me un solo mucchio sanguinoso.

      — Sì.

      Protesa ella ripeteva la sillaba sibilante, con un misto d'irrisione e di voluttà selvaggia. E veramente l'uno e l'altro sangue si rinforzavano, balzavano; l'uno contro l'altro parevano ardere ed esplodere come l'essenza accesa dal magnete nel motore celato dal lungo cofano.

      — La morte, la morte!

      Non sbigottita ma ebra, ella mirava l'imagine di lui nel fanale mediano, ch'era come un teschio orecchiuto, costrutto di tre metalli: mirava nella spera convessa del rame il capo rimpicciolito, ingrossato il basso del corpo, la mano sinistra enorme su la guida dello sterzo. Percotendo il sole nella spera, il foco divorava la faccia; e dell'imagine allora non appariva a lei se non il mostruoso torace decapitato e il pugno gigantesco nel guanto rossastro.

      — Mi tenterai e mi deluderai ancóra?

      — Forse.

       — Vedi quel carro, laggiù?

      — Lo vedo.

      Le parole erano come faville fulminee che si partissero non dalla bocca senza respiro ma dall'apice del cuore lottante. Il vento le rapiva e le mesceva all'immenso vortice di polvere alzato nella traccia spaventosa. Parevano non avere la figura del suono ma quella dell'ardore, disumanate dalla brevità nella luce, dalla solitudine nello spazio.

      — Chiudi gli occhi, dammi le labbra.

      — No.

      — Mordimi, e chiudi gli occhi.

      — No.

      — Moriamo.

      — Eccomi.

      Combattevano senza toccarsi ma invasi dallo stesso delirio che agita gli amanti acri d'odio carnale sul letto scosso, quando il desiderio e la distruzione, la voluttà e lo strazio sono una sola febbre. Il mondo non fu se non polvere dietro di loro; le forze si alternarono e si confusero. La donna era separata sul suo sedile, né sfiorava pur col gomito il compagno; ma soffriva e gioiva come se i due pugni dominatori non reggessero il cerchio, ben lei tenessero presa per gli òmeri squassandola. E trasposta era in lui l'illusione medesima, ché egli sentiva sotto le sue mani nella potenza dell'impulso grandeggiare il palpito della creatura agognata. Ed entrambi, come nella mischia ignuda, avevano il viso cocente ma nella schiena il brivido gelido.

      — Non temi?

      — Non temo.

      Ella guardava la morte e non credeva alla morte. Vide l'ombra d'un pioppo su la via splendida; distinse sul ciglio erboso il fiore intatto del vento, il labile globo di piuma sul gambo sottile; si contrasse, divenuta un solo istinto vitale dalla nuca al tallone, imitando il guizzo delle rondini vive che sfioravano il cofano pieno di fremito. E non mai aveva conosciuto la sua propria forma come in quel punto, non mai nel suo letto, non mai nel suo bagno, non mai davanti al suo specchio: le lunghe gambe lisce come quelle dei chiari Crocifissi d'argento levigate da mille e mille labbra pie; l'esiguità delle ginocchia agevoli in cui era il segreto del passo ammirabile; le piccole mammelle sul petto largo come il petto delle Muse vocali, dall'ossatura palese di sotto i muscoli smilzi; e le braccia non molli ma salde che pur sembravano portare la più fresca freschezza della vita come una ghirlanda rinnovata a ogni alba; e chiuse nei guanti flosci le magre mani fino alle unghie screziate di bianco, sensibili come il cuore purpureo, ricche di un'arte più misteriosa che i segni scritti nelle palme; e tutto il calore diffuso sotto la pelle come una stagione dorata, e l'inquietudine delle vene, e l'odore profondo.

      «No, non moriamo. Il cuore ti trema. Il tuo furore è vano. Godi e soffri di me. Non sono mai stata così forte e così desiderabile».

      I suoi pensieri nascevano dal suo brivido. Ed ella portava sotto le due ali basse il suo viso di dèmone non come una maschera di carne ma come la sommità stessa della sua anima accesa nel vento sonoro e velata di fallacia.

      — Isabella! Isabella!

      Simile al cavallo nervoso che sente dinanzi all'ostacolo mancare il coraggio del cavaliere ed è certo che non andrà dall'altra parte, ella sentiva l'esitazione nei pugni del guidatore; e già misurava con l'occhio lo spazio tra il carro e il canale ove le ninfee biancheggiavano. Un grido involontario le sfuggì quando una rondine urtò contro i bugni del radiatore camuso uccidendosi.

      — Paura?

      — Per la rondine.

      — Vuoi?

      — Sia.

      — Isabella!

      Allora