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Edmondo De Amicis
Ritratti letterari
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066068684
Indice
EMILIO AUGIER E ALESSANDRO DUMAS
PAOLO DÉROULÈDE E LA POESIA PATRIOTTICA.
ALFONSO DAUDET
Il Daudet è lo scrittore francese più popolare in Italia dopo lo Zola. Molti, anzi, li mettono alla pari, e le nature miti antepongono all'autore dell'Assommoir l'autore del Nabab, naturalista meno spietato. La differenza che passa fra loro è più nell'indole che nell'arte. Nell'arte impiegano tutti e due quella stessa «formola scientifica» che va predicando lo Zola; procedono quasi egualmente nell'analisi degli avvenimenti e dei personaggi; tengono lo stesso andamento, e quasi la stessa maniera di ripartizione nella descrizione, che è grandissima parte, e si potrebbe dire il fondo, dei romanzi di tutti e due; ed hanno somigliantissima la condotta del dialogo, benchè in quello del Daudet ci sia di più «l'accento e il gusto» della commedia. Alle volte, anzi, leggendo il Daudet, si ha per parecchie pagine un'illusione: si scorda lui e par di leggere l'altro, tanto il colore delle immagini, l'efficacia dei particolari più minuti, e il giro dei periodi, monchi dei verbi, e ingegnosamente cadenzati, son simili a quelli dello Zola. Ma in capo a poche pagine, vien fuori una pennellata, una nota musicale, un sorriso, che fa dire: no, è il Daudet. Lo stile dello Zola, come dice egli stesso, è più geometrico; quello del Daudet più snello e più di vena, ed anche più impennacchiato, che è pure il difetto che lo Zola trova nel proprio. Ci sono pagine del Nabab e dei Rois en exil che danno l'immagine di mazzi di fiori, o di fasci di zampilli percossi dal sole, o di quelle stoffe orientali rabescate d'oro così fittamente, che quasi non vi appare più il colore del tessuto; grandi periodi ondulati e sonori, qualche volta precipitosi, che travolgono il lettore, e sembrano sgorgati dalla bocca d'un oratore nel momento più ardente dell'improvvisazione; quantunque il Daudet non fatichi e non si tormenti meno dello Zola per dar forma al proprio pensiero. La descrizione dello Zola va più addentro alle cose; quella del Daudet è più vivace e meno diffusa, e senza dubbio meno grave al comune dei lettori. Lo Zola si compiace di provocare e di ferire in chi legge quella delicatezza di senso che a lui sembra prodotta da un concetto della convenienza artistica, falso e dannoso all'arte; il Daudet è meno brutale, usa dei riguardi, non credo per proposito, ma per effetto della natura propria ripugnante dagli eccessi. A ciò forse allude lo Zola quando dice, non senza malizia, a mio credere, che il Daudet ha più di lui quello che ci vuole per piacere alla maggioranza dei lettori. Lo Zola è più padrone di sè; il Daudet, di natura più meridionale, riesce meno a domarsi; fa capolino dietro ai suoi personaggi, interviene a giudicare, si lascia sfuggire delle approvazioni gioiose e degli sfoghi d'indignazione; non è sempre così impassibile e velato come quell'altro. In questo si ammira di più lo sforzo d'una mente poderosa e paziente; nel Daudet la spontaneità d'una natura ricca e geniale. Il Daudet è più amabile, lo Zola più potente; e lo prova il fatto che quello ritrae in qualche cosa da questo, e in specie negli ultimi lavori, ne porta qua e là, benchè vaga, l'impronta; mentre lo Zola, se pensa spesso, scrivendo, al suo rivale (com'io credo), non ne dà segno. Il naturalismo del Daudet è meno nero di quello dello Zola, perchè ha il colore della natura simpatica dell'artista: perciò il Daudet è più caro agli ottimisti e ai benevoli. Per quanto siano corrotti e scellerati la maggior parte dei personaggi, e tristi gli avvenimenti, pure il sentimento generale e durevole che ci lasciano i suoi romanzi, non è mai proprio sconsolante: a traverso al loro ordito di color fosco, si vede sempre un po' di barlume d'azzurro. È perchè nei romanzi del Daudet tengono una più grande parte quei «personaggi simpatici» che lo Zola appunto rimprovera agli autori drammatici, e che rimprovererebbe al Daudet medesimo, se la sua condizione di romanziere rivale, e perciò sospetto di gelosia, non gl'imponesse dei riguardi; è perchè il Daudet fa nei suoi romanzi una contrapposizione di buoni e di cattivi genii più soddisfacente, e per le proporzioni e per la forza, all'istinto generoso che ci porta a credere al bene; perchè, infine, egli fa un più largo campo, nei suoi libri, a quanto c'è di buono e di nobile nell'anima umana. Il Daudet vede il mondo meno scuro; dev'essere stato più felice che lo Zola nella sua vita, o avere una di quelle nature, sulle quali il dolore ha meno presa. Non vela il male; ma un poco, sia pure leggerissimamente, abbellisce il bene. È più affettuoso dello Zola: ha novelle e commedie riboccanti di affetto tenerissimo da un capo all'altro; e credo appunto che sia l'esempio potente dello Zola quello che gli fece mettere un po' più di nero sul roseo nei suoi ultimi scritti. Ed ha anche un'arte, se si può dire, più giovanile che lo Zola: gioca più di sorpresa, è più teatrale, più capriccioso nel rompere e nel riannodare le fila del romanzo, procede più a sbalzi, si abbandona più liberamente ai grilli della fantasia, e volteggia, e canta, e celia anche più sovente, e di miglior umore che lo Zola; fino a convertire, come fa qualche volta, i ritratti e le scene comiche in caricature. Lo Zola ha più di lui un qualche cosa di grave, di largamente basato e di macchinoso, che è nel Balzac. Bacone, applicando la sua sentenza sulle differenze dei libri, direbbe che i romanzi dello Zola si masticano e quelli del Daudet si inghiottiscono. Lo Zola è un formidabile artista, senza dubbio; ma bisogna riconoscere che ha un meraviglioso tocco di pennello anche questo fiammeggiante provenzale del Daudet. Lo Zola ha sviscerato più profondamente la natura e i costumi del popolo. Ma quel turbinìo vertiginoso e sonoro della vita elegante di Parigi, quella corsa sfrenata di donnette, di giovani scapigliati, di vecchi libertini, di scrocconi, di principi banditi e di ciarlatani, dall'alcova alla cena, al teatro, all'ippodromo, alla borsa, alla rovina, tra le bricconate e le buffonate e il lusso impudente e la stupida spensieratezza e le baraonde matte, nessuno l'ha descritto con un linguaggio più rapido, più variopinto, più trillante, più indiavolato, più proprio alla terribile leggerezza dell'argomento, che il Daudet. Egli non saprebbe forse descrivere il train train della vita di tutti i giorni con la potenza dello Zola, che è più rigorosamente metodico, e sente più fortemente il particolare minuto; ma per contro ha certe cose sue proprie, in cui è maestro: narrazioni rapide d'avvenimenti drammatici, che schizzano fuoco, descrizioni abbarbaglianti e tumultuose, e scene comiche che strappano le risa dalle viscere, e certi abbandoni e divagamenti poetici che paion sogni, d'una grazia e d'un sentimento che innamora. E che belle opposizioni di caratteri iniqui, onesti, bizzarri e ameni; che stupenda screziatura di tinte fosche e di tinte rosate e di scintillamenti argentini nei suoi romanzi! Non si scordano più il Duca di Mora e Nabab, Séphora la bottegaia e Federica la regina, quel fanatico e generoso legittimista del Maubert e quell'abbominevole fantoccio di Cristiano II, e Sidonia, la perla falsa, e Clara, la perla vera, e l'illustre signor Dolabelle, tipo dei commedianti spiantati e presuntuosi, e Tom Lévis, tipo dei ruffiani principeschi, e quel nobilissimo e strano carattere dell'abate Germane, e quella povera e adorabile madre di Jansoulet. Certo il Daudet è un verista; ma quanti sdruci non fa nella teoria dello Zola! Anche lui, come dice il Goncourt, sente spesso il bisogno di sfuggire al reale, o piuttosto vi sfugge senz'avvedersene, forzato dalla sua natura poetica e affettuosa, e fa delle culbutes dans le bleu, e che culbutes! Fa quell'angelo purissimo di Désirèe, che sembra sbocciata dalla fantasia del Lamartine, e la famiglia di Joyeuse, che par tagliata netta da un romanzo di Carlo Dickens, e la virtù tutta di un pezzo della regina d'Illiria,