Lodovico Ariosto

Orlando Furioso


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      me ne sarà però tanto concesso,

      che mi basti a finir quanto ho promesso.

      3

      Piacciavi, generosa Erculea prole,

      ornamento e splendor del secol nostro,

      Ippolito, aggradir questo che vuole

      e darvi sol può l'umil servo vostro.

      Quel ch'io vi debbo, posso di parole

      pagare in parte e d'opera d'inchiostro;

      né che poco io vi dia da imputar sono,

      che quanto io posso dar, tutto vi dono.

      4

      Voi sentirete fra i più degni eroi,

      che nominar con laude m'apparecchio,

      ricordar quel Ruggier, che fu di voi

      e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.

      L'alto valore e' chiari gesti suoi

      vi farò udir, se voi mi date orecchio,

      e vostri alti pensier cedino un poco,

      sì che tra lor miei versi abbiano loco.

      5

      Orlando, che gran tempo innamorato

      fu de la bella Angelica, e per lei

      in India, in Media, in Tartaria lasciato

      avea infiniti ed immortal trofei,

      in Ponente con essa era tornato,

      dove sotto i gran monti Pirenei

      con la gente di Francia e de Lamagna

      re Carlo era attendato alla campagna,

      6

      per far al re Marsilio e al re Agramante

      battersi ancor del folle ardir la guancia,

      d'aver condotto, l'un, d'Africa quante

      genti erano atte a portar spada e lancia;

      l'altro, d'aver spinta la Spagna inante

      a destruzion del bel regno di Francia.

      E così Orlando arrivò quivi a punto:

      ma tosto si pentì d'esservi giunto:

      7

      che vi fu tolta la sua donna poi:

      ecco il giudicio uman come spesso erra!

      Quella che dagli esperi ai liti eoi

      avea difesa con sì lunga guerra,

      or tolta gli è fra tanti amici suoi,

      senza spada adoprar, ne la sua terra.

      Il savio imperator, ch'estinguer volse

      un grave incendio, fu che gli la tolse.

      8

      Nata pochi dì inanzi era una gara

      tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

      che entrambi avean per la bellezza rara

      d'amoroso disio l'animo caldo.

      Carlo, che non avea tal lite cara,

      che gli rendea l'aiuto lor men saldo,

      questa donzella, che la causa n'era,

      tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

      9

      in premio promettendola a quel d'essi,

      ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,

      degl'infideli più copia uccidessi,

      e di sua man prestasse opra più grata.

      Contrari ai voti poi furo i successi;

      ch'in fuga andò la gente battezzata,

      e con molti altri fu 'l duca prigione,

      e restò abbandonato il padiglione.

      10

      Dove, poi che rimase la donzella

      ch'esser dovea del vincitor mercede,

      inanzi al caso era salita in sella,

      e quando bisognò le spalle diede,

      presaga che quel giorno esser rubella

      dovea Fortuna alla cristiana fede:

      entrò in un bosco, e ne la stretta via

      rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.

      11

      Indosso la corazza, l'elmo in testa,

      la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

      e più leggier correa per la foresta,

      ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.

      Timida pastorella mai sì presta

      non volse piede inanzi a serpe crudo,

      come Angelica tosto il freno torse,

      che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.

      12

      Era costui quel paladin gagliardo,

      figliuol d'Amon, signor di Montalbano,

      a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo

      per strano caso uscito era di mano.

      Come alla donna egli drizzò lo sguardo,

      riconobbe, quantunque di lontano,

      l'angelico sembiante e quel bel volto

      ch'all'amorose reti il tenea involto.

      13

      La donna il palafreno a dietro volta,

      e per la selva a tutta briglia il caccia;

      né per la rara più che per la folta,

      la più sicura e miglior via procaccia:

      ma pallida, tremando, e di sé tolta,

      lascia cura al destrier che la via faccia.

      Di sù di giù, ne l'alta selva fiera

      tanto girò, che venne a una riviera.

      14

      Su la riviera Ferraù trovosse

      di sudor pieno e tutto polveroso.

      Da la battaglia dianzi lo rimosse

      un gran disio di bere e di riposo;

      e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

      perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,

      l'elmo nel fiume si lasciò cadere,

      né l'avea potuto anco riavere.

      15

      Quanto potea più forte, ne veniva

      gridando la donzella ispaventata.

      A quella voce salta in su la riva

      il Saracino, e nel viso la guata;

      e la conosce subito ch'arriva,

      ben che di timor pallida e turbata,

      e sien più dì che non n'udì novella,

      che senza dubbio ell'è Angelica bella.

      16

      E perché era cortese, e n'avea forse

      non men de' dui cugini il petto caldo,

      l'aiuto che potea tutto le porse,

      pur