href="#ulink_d131f28c-d93b-5ef9-8026-4768a41cbc7a">[1]
Un certo Re (che era sempre giovinotto, e non aveva che la su' mamma viva, ma vecchia e superbiosa) andava così a spasso un giorno fuori della città e capitò a una casa di campagna, dove ci stavano tre ragazze. E queste ragazze, tutte da marito, discorrevano in fra di loro, sicchè dalla finestra di terreno, che era spalancata, si sentiva tutto quel che loro dicevano. E la maggiore diceva:—«Se dovessi pigliar marito, io per me lo vorrei fornaio, perchè allora non mi mancherebbe mai il pane, che ora si pena a guadagnarselo, e di molte volte ci tocca a stare senza.»—La mezzana diceva:—«Io poi il marito lo vorrei calzolaio, per non andar più scalza nè di state, nè di verno.»—E la più piccina:—«Per me il marito ha da essere il figliolo d'un Re: o quello, o niente! E al primo parto gli farei tre allegrezze di figlioli: un bambino con i capelli d'oro, e due bambine, anche loro con i capelli d'oro, e di più con una stella luccichente in sulla testa.» «Eh! dille grosse, almanco,»—bociarono la maggiore e la mezzana,—«chè tanto, chè tanto, è come bramar l'acqua nel deserto.»—Il Re, chè s'era fermato sotto alla finestra, sentito questo contrasto, gli venne la voglia di conoscere quelle tre ragazze, sicchè dunque picchiò di repente all'uscio.—«Chi è?»—Risponde il Re:—«Degli amici! Apritemi, chè ho bisogno d'un bicchiere d'acqua: ho tanta sete.»—Gli aprirono e lui entrò dentro. E, quand'ebbe bevuto l'acqua, si messe a sedere in una scranna; e cominciò a dimandare a quelle ragazze, chi erano e come campavano, e tant'altre cose. Poi gli disse:—«Prima d'entrare i' ho sentito un po' po' i vostri discorsi: fatemi il piacere, i' vorrei ascoltarli daccapo, per saper meglio la vostra idea circa al pigliar marito.»—La maggiore e la mezzana gli replicarono in che modo gli sarebbe piaciuto il marito, per non mancare di pane e di scarpe: ma la più piccina, da prima si peritava a dar fuori il su' pensiero, fino a che poi anche lei disse, che lo voleva figliolo d'un Re. Dice il Re:—«E se vi toccasse il figliolo d'un Re, gli manterreste proprio la promessa di quelle tre allegrezze?»—«Di sicuro, che farei tutti gli sforzi per tenere la mi' parola.»—«Ebbene!»—dice il Re:—«Sappiate che io sono figliolo di Re e il padrone spotico di questo paese. Dunque la mi' volontà è di sposarvi, perchè mi facciate que' bambini che avete detto. Fra qualche giorno tornerò a pigliarvi e vi menerò al palazzo con meco e sarete Regina.»—E detto fatto se n'andette. Le tre ragazze rimasero lì sbalordite, e poi le due più grandi cominciarono a dire:—«Chè, è una sbeffatura che quel forestiero ha fatto a te per la tu' mattia! Se fosse davvero il figliolo del Re, bada! ma che ti pare che volesse sposare una povera campagnola?»—Dice la più piccina:—«Guà! sarà così: io però ci ho fede in quel che ha detto quel signore. Non aveva punto la cera d'imbroglione. E poi si vedrà.»—Il Re, arrivato al palazzo, va su dalla su' mamma:—«Sapete, mamma: piglio moglie.»—Dice lei:—«Bene, ci ho gusto, chè almeno tu avrai l'erede al trono. E chi pigli?»—E lui gli raccontò quel che gli era accaduto. La Regina s'imbizzì a sentir quella nuova:—«Oh! che sie' matto? Un Re sposare una tangheraccia campagnola, che non si sa chi sia? E ti sie' lasciato acchiappare da simili promesse impossibili, come un mammalucco. Metti, metti giudizio, che ho paura che tu scherzi.»—«No davvero, mamma, che non ischerzo,»—dice il Re:—«Io ho detto di sposar quella ragazza e la sposerò.»—Insomma, dopo dimolti contrasti, bisognò che la Regina si chetasse, perchè lui volse fare a su' modo. Infatti, passati varii giorni, il Re ordinò un bel corteo, e presa la su' ragazza in carrozza, la menò al palazzo e gli diede l'anello di sposa. Ma la mamma di lui non la poteva patire questa sposa, e a mala pena la guardava, e la trattava come se fosse una serva. Infrattanto un Sovrano, che stava lì vicino, mosse guerra al Re; sicchè al Re gli convenne radunare i soldati e portarsi a combattere i su' nemici. Prima però di partire, fece di molte raccomandazioni perchè gli tenessero bene la sposa, che era di già gravida vicina a partorire e che gli scrivessero quando aveva partorito; anche volse che gli custodissero la su' cagna da caccia, lei pure gravida nel mese. Dopo, assieme all'esercito, se n'andò a dar battglia a' confini del regno. In quel mentre che il Re si trovava nell'accampamento, alla Regina sposa gli cominciarono i dolori, sicchè la messero nel letto e chiamarono subito due balie per assisterla. E da prima partorì un bel bambino con tutti i capelli d'oro; poi, una dopo l'altra, due bambine co' capelli ugualmente d'oro e di più con una stella luccichente in sul capo. La Regina vecchia quando vedde che la nora la premessa fatta al su' sposo l'aveva mantenuta, crepava dalla rabbia, e tutta invelenita pensò di tirarne vendetta con un brutto tiro: subito corse nel canile dove la cagna del Re aveva partorito tre cagnolini, gli prese in braccio e d'accordo colle du' balie, gli messe nel letto della sposa invece de' su' figlioli, e questi, rivoltati in du' cenciacci gli serrò dentro in una cesta e gli fece buttare nella gora che passava a piè del palazzo: poi rivenne in camera della sposa. Dice la sposa:—«Oh! fatemeli vedere i miei bambini. Dovo sono, che non gli sento?»—E la Regina vecchia, con un visuccio tutto dispettoso:—«Eh! sì, che ve ne potete tenere de' be' figlioli, che avete regalato al Re vostro marito! Non ve gli hanno fatti vedere per non darvi ascherezza. Ma tanto non c'è rimedio, e bisogna che in tutti i modi vo' gli vediate. Belli! mirate che be' canini vi son sortiti di corpo.»—A quella vista la sposa si svenne e gli entrò una gran febbre addosso, sicchè vagellava e non sapeva quel che si dicesse: ma intanto quella vecchiaccia della su' socera aveva scritto al Re che tornasse subito; e lui, fatto una pace all'infuria, veniva via a spron battuto, chè non gli pareva che il cavallo corresse mai abbastanza. A male brighe arrivato e sentite le novelle, s'incattivì a buono, e la su' mamma l'aizzava. Sicchè lui ordinò che venissero de' muratori; e, cavata di letto la moglie, la fece murar viva in cucina vicino all'acquaio con solo una finestrina per dargli tutti i giorni un po' d'acqua e un po' di pane, tanto perchè non morisse; e i servitori dovevano sbeffarla e maladirla in pena della su' mal'azione. Ma torniamo alla cesta co' bambini dentro, buttata nella gora del palazzo. Questa gora finiva in un bottaccio di mulino, e, come si sa, i mugnai ogni tanto s'affacciano per vedere se c'è acqua per far girare le macine. Il mugnaio di quel mulino s'avvedde dunque una mattina che nel bottaccio c'era una cesta a galla che veniva adagio adagio in verso la cascata: lui, lesto, corre e piglia una pertica, e tanto fa che tira a proda la cesta, e quando l'ebbe aperta ci scopre que' tre bambini sempre vivi e che piangevano dalla fame. Pigliò allora la cesta e diviato la portò in casa alla su' moglie, e tutti e due almanaccavano per indovinare chi mai avesse abbandonato lì a quel modo quelle tre creature. Finalmente disse il mugnaio:—«Senti, moglie: tu ha' sempre del latte e in casa ci sono du' capre. S'alleveranno questi bambini e si tireranno su alla meglio; e quando saranno grandi, ci potranno aiutare assieme[2] cogli altri nostri figlioli. Che te ne pare? Non sarebbe carità a lasciargli morire.»—«Sì, sì,»—dice la moglie,—«facciamo così. Si potrebbe anche ritrovare di chi sono.»—Passò del tempo e i bambini crescevano a vista d'occhio, ma belli, che avevano l'aria di signore dipinta nel viso; ma più che crescevano e la mugnaia gli aveva a noia. Non gli poteva soffrire a paragone de' su' figlioli veri, perchè loro erano bastardi; sicchè gli mandava fuori a guardare i maiali, e alle bambine gli dava della stoppaccia liscosa a filare, e quando tornavano a casa la sera, se i fusi non erano ben pieni, la mugnaia glieli sbatteva in sulle mani da farle piangere; e del pane e del companatico a que' poveri bambini gliene toccava a pena per tenersi in piedi. I bambini, che non sapevano chi fosse il loro babbo vero e la loro mamma vera, ma si credevano figlioli de' mugnai, erano disperati e si struggevano in lacrime sentendosi tanto maltrattati, e delle volte tra di loro si consigliavano come fare; ma il rimedio non c'era verso che lo trovassero, sicchè i giorni gli passavano senza consolazione. Un bel dì, che s'erano allontanati da casa co' su' maiali più del solito, arrivarono a un rio, e lì seduta ci stava una vecchina. Dice:—«Bambini! chi siete? che fate? dove andate?»—Dice il bambino:—«Oh! che volete, nonna, siamo de' disgraziati. La mamma ci tratta male, senza sapere il perchè, e si mena una vita disperata a far pascere questi maiali: e quando si torna a casa è miracolo se non se ne tocca.»—Dice la vecchia:—«Lo credo io, poveri bambini! Vo' non siete mica figlioli de' mugnai. E' v'hanno ricolto dentro una cesta nel bottaccio, ora sono parecchi anni.»—«Oh! che ci raccontate?»—sclamarono tutti e tre.—«Il vero, bambini miei. Ma se mi volete ubbidire in tutto e per tutto,»—replicò la vecchina,—«potrei anche rimettervi in fortuna. Anderesti via volentieri lontano da' mugnai?»—«Eccome!»—disse la bambina maggiore:—«Basta che si sapesse come fare. Insegnatecelo voi, e vi si promette che vi s'ubbidirà in tutto e