Carlo Collodi

Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino


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puledro che avesse levata la mano al padrone, si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, con l'animo risoluto di fermarlo e di impedire il caso di maggiori disgrazie.

      Ma Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, s'ingegnò di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece fece fiasco.

      Il carabiniere, senza punto smuoversi lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri) e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d'orecchi. Ma figuratevi come rimase, quando nel cercargli gli orecchi non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perchè? perchè, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli.

      Lo acciuffò pulitamente per il naso....

      Allora lo prese per la collottola, e, mentre lo riconduceva indietro, gli disse tentennando minacciosamente il capo:

      — Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti! —

      Pinocchio, a questa antifona, si buttò per terra, e non volle più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello.

      Chi ne diceva una, chi un'altra.

      — Povero burattino! — dicevano alcuni — ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo picchierebbe quell'omaccio di Geppetto!... —

      E gli altri soggiungevano malignamente:

      — Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno, coi ragazzi! Se gli lasciano quel povero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pezzi! —

      Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimesse in libertà Pinocchio, e condusse in prigione quel pover'uomo di Geppetto. Il quale non avendo parole lì per lì per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell'avviarsi verso il carcere, balbettava singhiozzando:

      — Sciagurato figliuolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!... —

      Quello che accadde dopo, è una storia così strana, da non potersi quasi credere, e ve la racconterò in quest'altri capitoli.

       Indice

      Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d'acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito dai cacciatori.

      Giunto dinanzi a casa, trovò l'uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.

      Ma quella contentezza durò poco, perchè sentì nella stanza qualcuno che fece:

      — Crì-crì-crì!

      — Chi è che mi chiama? — disse Pinocchio tutto impaurito.

      — Sono io! —

      Pinocchio si voltò, e vide un grosso grillo che saliva lentamente su su per il muro.

      — Dimmi, Grillo, e tu chi sei?

      — Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da più di cent'anni.

      — Oggi però questa stanza è mia, — disse il burattino — e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.

      — Io non me ne anderò di qui, — rispose il Grillo — se prima non ti avrò detto una gran verità.

      — Dimmela, e spicciati.

      — Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.

      — Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all'alba, voglio andarmene di qui, perchè se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ho punta voglia e mi diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido.

      — Povero grullerello!... Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro, e che tutti si piglieranno gioco di te?

      — Chetati, grillaccio del mal'augurio! — gridò Pinocchio.

      Ma il grillo, che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce:

      — E se non ti garba di andare a scuola, perchè non impari almeno un mestiere tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?

      — Vuoi che te lo dica? — replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. — Fra i mestieri del mondo non ce n'è che uno solo, che veramente mi vada a genio.

      — E questo mestiere sarebbe?

      — Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi, e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.

      — Per tua regola — disse il Grillo-parlante con la sua solita calma — tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.

      — Bada, grillaccio del mal'augurio!... se mi monta la bizza, guai a te! —

      — Povero Pinocchio: mi fai proprio compassione!...

      — Perchè ti faccio compassione?

      — Perchè sei un burattino e, quel che è peggio, perchè hai la testa di legno. —

      Preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.

      A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt'infuriato, e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.

      Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo colse per l'appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete.

       Indice

      Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sentì un'uggiolina allo stomaco, che somigliava moltissimo all'appetito.

      Ma l'appetito dei ragazzi cammina presto, e difatti, dopo pochi minuti l'appetito diventò fame, e la fame, dal vedere al non vedere si convertì in una fame da lupi, in una fame da tagliarsi col coltello.

      Il povero Pinocchio corse subito al focolare dove c'era una pentola che bolliva, e fece l'atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro: ma la pentola era dipinta sul muro. Immaginatevi come restò. Il suo naso, che era già lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita.

      Allora si dètte a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po' di pane, magari un po' di pan secco,