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Francesco Domenico Guerrazzi
Il destino
Romanzo
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066070830
Indice
CAPITOLO III. La Resurrezione.
A
G. ANTONA TRAVERSI
Intitolo a Voi questo racconto, a voi per gratitudine del molto bene, che mi avete fatto; sì, in verità un gran bene, imperciocchè voi con la benevolenza, e la cortesia vostre ravvivaste la fede nell'amicizia in me se non affatto spenta, illanguidita almeno.
Confesso, che il nome vostro meritava fregiare più degna cosa, che questo lavoro non è, ma, voi lo sapete, la vita ha sue stagioni come l'anno, nè i frutti del finire dell'autunno pareggiano quelli del cominciare della estate: e voi baderete al cuore che offre, non già al pregio della offerta. Impertanto concedete, che conchiudendo dica con messer Ludovico nostro:
«Nè per poco io vi dia da imputar sono,
«Che quanto posso dar tutto vi dono.»
Auguro a Voi, ed ai vostri, anni lunghi, e sereni, sopratutto sereni.
Livorno, 1 giugno 1868,
Amico vostro
F. D. Guerrazzi.
Fulvia Piccolomini.
INTRODUZIONE
A piè del soglio di Giove gli antichi immaginarono stesse il Destino immoto ed arduo con mezzo il corpo nascosto dentro le nuvole, ed ambe le mani una soprammessa all'altra sul coperchio dell'urna, dove sono riposte le sorti degli uomini e degli Dei: egli tiene gli occhi volti in su quasi per tagliare a mezzo gli sguardi di Giove tesi nell'universo ove egli presumerebbe avventare la sua volontà insieme al suo fulmine.
Omero cantò, che i destini di Ettore posavano sopra le ginocchia di Giove, e a diritto, secondo le credenze di allora, ma Giove non poteva creare nè i propri nè gli altrui destini.
Sovente parvero gli uomini dati in balía degli Dei, e di fatti erano; ma allora gli Dei operavano come mandatari del Destino; però nè i figli di Latona avrebbero a colpi di saetta sterminato la famiglia di Niobe se non l'assentivano i Fati, nè Venere penetrato nelle ossa di Pasifae e di Fedra. Venere, la pessima fra le dee, anzi neppur meritevole di avere fama fra i mortali, come si chiarisce dalla ostinata guerra che sostenne perchè Amore non s'invaghisse di Psiche, ch'è l'anima, e non mai si affrancasse dalla materia. Due Veneri non esisterono mai, la Venere celeste, e la Venere terrena così in terra come in cielo una Venere sola: forse può darsi, io non lo nego, Venere dopo il caso di Psiche avrà mutato vita: non era vietato agli antichi immaginare a posta loro una Maddalena penitente, e metterla in paradiso in compagnia degli altri santi.
Però i nostri padri piuttostochè andarsene lassù in cielo pungeva la cura di chiamare gli Dei in terra: invece di volersi indiare, eglino attesero ad umanare gli Dei, non perchè essi portassero fra loro divini concetti, bensì perchè delle passioni proprie s'imbevessero. A questo modo giustificavano tutto: povero uomo! egli è cornuto a quattro, ch'è superlativo, come il buon fabbro Vulcano; ovvero somiglia a Giove per seminare nelle terre altrui; e così gli saldavano il conto dell'adulterio. Per quanto uomo o femmina ci si affaticassero, quello non poteva presumere di superare Mercurio nel genio del furto, nè Giunone nel furore della vendetta. Messalina gareggiò con la nobile cortigiana nel turpe arringo, e la vinse; nè manco una dozzina di Messaline arieno vinto Venere.
Diversi noi: se Dio venne nelle dimore degli uomini ci venne per fare fede delle virtù divine, di cui massima la benevolenza, e per mostrare alle turbe la via che al ciel conduce: a fine di conto, fatta la conveniente tara, i nostri santi non si possono dire furfanti; e allato al truce san Domenico o inventore o promotore dei roghi della Inquisizione ti occorre san Telemaco il quale col prezzo del proprio sangue operò, che la infamia dei gladiatori cessasse.
Ma poichè gira e rigira le religioni nuove ci appaiono come un tallo sul vecchio delle antiche, così nè anco noi abbiamo potuto rinnegare il Destino: in vero egli è più agevole negarlo, che non patirlo. Ma da un lato faceva ostacolo il libero arbitrio che pure si voleva ad ogni modo concedere all'uomo; dall'altro impensieriva la ogniveggenza, che non si poteva levare a Dio; e poi la inclinazione irresistibile della creatura a certe passioni si contrasta invano, perchè necessitate dalla compagine fisica di quella. — Dante Alighieri, che non fu mago, nè gentile, nè tutto seppe, ma molto seppe, si trovò un dì a questa porta co' sassi, nè sapendo che pesci pigliare, immaginò che le contingenze della umana vita fossero tutte dipinte nel cospetto eterno, non già perchè quivi prendessero necessità di succedere, ma sì per essere prevedute a modo di un burchiello che passa strascinato in giù dalla corrente del fiume.
E qui come vede chiunque abbia fior di senno si salta il fosso, e non si spiega niente, però che se la Provvidenza conosce per congettura, che il burchiello fie tratto in foce al fiume, ella può fallare, chè non è tolto tenerlo fermo a secca, o a cespuglio delle sponde, che rasenti: ovvero ella lo sa di certo, ed allora bisogna, che ciò sia, e dovendo essere non si comprende, che cosa giovi all'uomo il suo libero arbitrio.
Che dunque è mai questo Destino? Arduo dirlo: pure dacchè corse la domanda, egli è pur mestieri risponderci. Il Destino si manifesta dentro o fuori di noi; dentro, l'ho detto, resulta dalla compagine nostra, dagli umori, e dal temperamento; queste cose insieme unite generano le naturali disposizioni a cui di rado avviene, che l'uomo non si lasci andare, poichè nella acerba guerra fra lo spirito e la materia, questa senza requie trapana, e l'altro se si stanca, o si diverte un momento, rimane sopraffatto; onde le sequele dei casi, che sono necessità e si dicono Destino: fuori, da eventi i quali altresì stanno in potestà nostra o non ci stanno; i primi non si prevedono, nè possono prevedersi, epperò si sopportano; ai secondi, comecchè si prevedessero, e potessero prevedersi, non è dato a noi riparare, e quindi da capo patisconsi. Se garbi o no questa definizione del Destino, ignoro; questo so, che io non valgo a profferirla migliore; se altri si sente capace, io gli dirò come Donatello a Brunellesco a proposito di Cristi: fa meglio tu; e se farà meglio davvero, io me gli caverò la berretta.
Impertanto ora vi voglio raccontare una storia dove il dito del Destino (i preti odierni direbbero il dito di Dio) ci si vede espresso; la è vera, proprio pretta storia; io ci metto di mio un po' di colorito, e correggo qualche contorno; mi astengo da episodi immaginosi, da accessori più o meno verosimili persuasi dai tempi, dai luoghi, e dalle persone; non intrecci, non fantasie: io le ho poste da parte perocchè la realtà delle vicende di noi mortali, ho potuto toccare con mano, superi sovente qualsivoglia più sfrenata immaginativa; ed ora do di piglio ai ferri ed incomincio.
CAPITOLO I.
Lo Amore.