Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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occhi rotondi e non rispose.

      Del resto, a che scopo interrogarlo ancora?

      — Matteo, ho bisogno di te!… – e gli batté amichevolmente una mano sulla spalla. – Va’ al telefono, chiama la Questura… così com’hai fatto poco fa, quando… avete trovato il Pastore ferito, e fatti mettere in comunicazione col vice commissario Sani… Digli di prender con sé una diecina di agenti e di venir subito qui, al Presbiterio… E che conduca anche il Pastore…

      — E quando avrò telefonato, debbo tornar qui?

      — Rimani al caffè… Verrò io a prenderti più tardi…

      Era l’unico modo per indurlo a fare quel che gli aveva chiesto. Il pensiero di tornare al Presbiterio, d’esser messo forse a confronto col Pastore, lo avrebbe indotto anche a fuggire.

      De Vincenzi scese le scale, tirandosi dietro il vecchio e cercando di fare il meno rumore possibile.

      Quando furono nel corridoio dell’ingresso, andò avanti e chiuse rapidamente la porta della sala, per far passare Matteo senza che le due donne lo vedessero.

      Lo accompagnò alla porta e lo spinse fuori:

      — Va’… E bada ch’io ti osservo da qui… Se non entri nel caffè e non telefoni, ti raggiungo…

      Lo gnomo corse sotto la pioggia e scomparve subito alla vista, dietro la cortina fumosa, inghiottito dall’oscurità.

      De Vincenzi lasciò la porta accostata e, coll’involto tra le mani, entrò nella sala.

      Capì subito che le due donne si erano riprese, avevano dovuto parlare tra loro. Virginia aveva comunicato alla vecchia un po’ del suo coraggio e della sua forza.

      Quando videro entrare il commissario, l’infermiera si alzò e gli andò incontro.

      — Ho ucciso io Giobbe Tuama e Giorgio Crestansen… Se lo meritavano!… – pronunziò lentamente.

      De Vincenzi la guardò e sorrise con indulgenza. Le passò dinanzi e si avvicinò al grande tavolo, davanti al Cristo. Vi depose l’involto e lo aprì.

      Poi si volse.

      — Siete stata infermiera dei pazzi, Virginia Worth?

      La donna non rispose. Aveva veduto gli oggetti deposti sul tavolo e s’era sbiancata. Si afferrò una mano con l’altra e se le torse, convulsamente. Alzò gli occhi al Cristo per invocarne aiuto.

      De Vincenzi andò diritto verso Dorotea Winckers Shanahan.

      — Vostro marito, signora, il vostro primo marito si chiamava Olivier O’Brien?

      — Sì.

      — Giacomo Down e miss Lolly erano suoi figli?

      — Sì.

      — Tra poco Giacomo Down sarà qui… Ho fatto avvertire il funzionario, che lo ha in custodia ed egli lo condurrà al Presbiterio… Volete parlare prima che egli giunga? Credo che in tal modo potreste evitare una scena penosa…

      Virginia Worth s’interpose fra i due.

      — Se vi ho detto che sono stata io ad uccidere?! Arrestatemi… Non c’è altro da dire…

      De Vincenzi l’allontanò con dolcezza.

      — Voi vi siete vestita da uomo e avete ucciso Giorgio Crestansen all’Hôtel d’Inghilterra e Giobbe Tuama in Piazza Mercanti??…

      — Perché non avrei potuto farlo?… Io li odiavo!… Essi avevano rovinato la vita di mio fratello… Olivier O’Brien era mio fratello!… Se io mi sono messa un altro nome… se Lolly e Giacomo han dovuto fare altrettanto, è stato perché, per opera di quei tre, il nome di O’Brien è un nome infamato…

      Parlava con voce fredda, s’era irrigidita.

      Possibile che una donna avesse avuto tanta energia e tanta crudeltà? L’assassinio di Giobbe Tuama poteva esser stato compiuto da una donna… La vecchia aveva le mani alla cintura del grembiule e De Vincenzi le fissava… Erano bianche, diafane quasi, ma ossute, tutte nodi… Mani da strangolatrice… Si poteva concepire, però, che quelle mani di donna avessero immerso il lungo ago acuminato nel cuore di Giorgio Crestansen cloroformizzato?

      — Se non fosse stata Virginia Worth ad uccidere Giobbe Tuama, lo avrei ucciso io… L’ho atteso davanti alla porta di casa sua, per farlo…

      Adesso, aveva parlato Dorotea Shanahan… Anche lei non si era mossa, rigida, diritta, col cappellino di lustrini e la grossa borsa nera fra le mani…

      In quella vastissima sala, rischiarata dalla luce smorta e rossigna delle due lampadine alte al soffitto, con tutte quelle ombre negli angoli, sui muri, la confessione lanciata con voce ferma, a capo eretto, come una sfida, dalle due donne risuonava particolarmente drammatica, dava i brividi.

      De Vincenzi tacque qualche istante. Gli occorse un violento sforzo su di sé, per poter continuare. Oramai, bisognava arrivare alla fine… Virginia Worth lo fissava, attendendo. La cognata le si era messa al fianco, quasi volesse dividere con lei la responsabilità schiacciante dei suoi atti criminosi.

      Dicevano la verità – tutta la verità – o tentavano in quel modo di coprire Giacomo Down?

      Questo era il problema, che attanagliava lo spirito e la ragione del commissario.

      Una donna aveva commesso quei tre assassinii e due di essi li aveva commessi con abilità diabolica, con ferocia inaudita!… Ma se anche il terzo era stato perpetrato dalla medesima persona, come spiegare ch’essa aveva voluto in quel modo quasi deliberatamente tradirsi, compromettendo il piano predisposto? Poiché, insomma, la morte di Beniamino O’Garrich sembrava piuttosto l’atto di un folle o il gesto disperato di chi vuol compiere la propria vendetta ad ogni costo, senza preoccuparsi delle conseguenze.

      — Proprio voi, Virginia Worth, avete ucciso Giobbe Tuama e Giorgio Crestansen?

      — Sì! Ve l’ho detto… Li ho uccisi io. E se Giacomo non avesse subito dubitato del mio atto e non avesse voluto giuocare con voi al più furbo, per allontanare ogni vostro sospetto da me… voi non avreste scoperto mai chi li aveva uccisi!… Avevo tutto calcolato, io!… Tutto predisposto! Quando ho saputo che Crestansen si trovava a Milano…

      — Come lo avete saputo?

      — L’ho visto e riconosciuto, coi miei occhi!… Sapevo che mia cognata s’era messa alle calcagna di suo marito da due giorni e che aveva nella borsa una rivoltella carica… Volevo evitare che lei compisse la sua vendetta scioccamente, abbattendolo in un luogo pubblico, per farsi poi inevitabilmente arrestare…

      — Lo avevo seguito ai giardini e lui mi vide! Salì sulla carrozzella delle caprette, per salvarsi!…

      Non c’era sarcasmo nelle sue parole e il volto era rimasto immobile.

      Virginia s’era voltata ad ascoltarla e assentì, poi riprese:

      — Per questo, quando fu aperta la Fiera e io fui sicura che Jeremiah non si sarebbe mosso per due giorni da Piazza Mercanti, mi misi a spiarlo… Nel pomeriggio del sabato, lo vidi allontanarsi dal banco in compagnia di un uomo e riconobbi in costui Giorgio Crestansen… Era Iddio che lo mandava!… Lo seguii e seppi che abitava all’Hôtel d’Inghilterra… Allora, decisi di agire la sera stessa… Alle nove andai in albergo… Avevo indossato un abito nero di Giacomo… mi ero messi la barba e gli occhiali… Quelli… Li avete trovati!… Anche se non li aveste trovati, d’altronde, avrei confessato, perché sapevo oramai che eravate pronto ad accusare Giacomo e temevo che Lolly avesse potuto confermare il vostro sospetto, fornirvi persino la prova che vi mancava, con qualche sua parola sconsiderata, lei che non sapeva nulla e che poteva credere che fosse stato suo fratello a compiere la vendetta che tutti noi avevamo giurato di compiere!…

      Si fermò, come se volesse riprender forza. Quando aveva parlato di suo nipote s’era accalorata, la voce le si era fatta