Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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deve!… Io sono pronta a dirvi tutto… Ma voi dovete promettermi che lo risparmierete. Egli è innocente!…

      — Proseguite!…

      — C’è poco da dire! In albergo mi feci annunziare col nome di Jeremiah Shanahan… Giorgio Crestansen doveva attenderlo e lo avrebbe ricevuto… Infatti, mi fecero salire… Una volta in camera sua, la cosa fu facile… Egli non mi conosceva e non sospettò, credette a quel che io gli dicevo di essere stata mandata da Jeremiah… Gli parlai di laggiù… gli parlai di Olivier O’Brien… Lui, come gli altri due, lo credevano vivo!… Noi soltanto sapevamo che Olivier era morto! Morto di crepacuore!… Colsi un momento in cui Crestansen s’era voltato, per saltargli alle spalle e mettergli il fazzoletto inzuppato di cloroformio sotto il naso… Il resto… il resto venne dopo…

      — Ah! – fece il commissario. Non poté dir altro. Vedeva il piccolo grumo di sangue sul petto del morto…

      — Lo composi sul letto e me ne andai. Erano le nove e un quarto… In un quarto d’ora, avevo potuto compiere la prima parte del mio dovere… con l’aiuto di Dio!…

      — Non nominate Iddio! – scattò De Vincenzi.

      — Egli ha permesso che l’infamia compiuta dai tre uomini non rimanesse impunita… Egli mi ha dato le forze per condurre a bene la mia impresa di giustizia!…

      Una pazza lucida!… Le parole che pronunciava erano pervase da una tale profonda convinzione!…

      — E Giobbe Tuama?

      — Uscita dall’Hôtel d’Inghilterra tornai al Presbiterio, sapevo che Giacomo era assente. Passai per la porta di via Sant’Orsola e potei raggiungere la mia camera, senza esser veduta da Matteo. Ma il vecchio si trovava in cucina, quando andai nella stanza del Pastore, per nascondere il cappello di paglia, gli occhiali e la barba, e li vide… Gli dovetti raccontare una storia e mi feci promettere che non avrebbe mai detto ad alcuno di averli veduti e di sapere dove fossero… D’altronde, io non ho creduto che la mia azione sarebbe stata scoperta e che la polizia avrebbe potuto dubitare del Pastore!…

      — E Giobbe Tuama? – ripeté quasi con violenza De Vincenzi: adesso, anche lui voleva far presto. Si sentiva oppresso. Le ombre degli angoli ingigantivano e lo sopraffacevano.

      — Appena qui, decisi di non fermarmi. Avevo abbattuto il primo, la mia opera doveva continuare, doveva esser compiuta in quella stessa notte! Sapevo dove trovare Jeremiah… sapevo anche che era in compagnia di Beniamino O’Garrich… Non sapevo, naturalmente, che Jeremiah sarebbe rimasto solo e mi avrebbe offerto il modo di sopprimerlo silenziosamente… Ero pronta a tutto… La mia determinazione era quella di ucciderli entrambi a colpi di rivoltella… Mi avrebbero arrestata; ma io di questo non mi preoccupavo… non mi sarei mai preoccupata… Ma Giacomo tornò al Presbiterio e io dovetti attendere ch’egli fosse salito nella sua camera, che si fosse coricato… Arrivai in Piazza Mercanti che la piazza era buia e quasi deserta… Dei due che ero andata a trovare, c’era soltanto Jeremiah… che parlava con uno sconosciuto… Attesi; rimase solo. Stava accanto al banco. Mi avvicinai e gli dissi che il Pastore voleva parlargli subito… Lui non aveva mai saputo chi fossi realmente io… come io, in tutti questi anni che lo vedevo e lo conoscevo col nome di Giobbe Tuama, non avevo saputo che fosse stato lui l’uomo che aveva spezzato la vita di mio fratello, per sposarne la moglie… È stata mia cognata a rivelarmelo, quando per caso si è incontrata con lui… pochi giorni or sono… Anche Giacomo non conosceva il carnefice di suo padre…

      — Sì… Io non sapevo che quel mostro fosse venuto proprio qui… e appartenesse alla Chiesa di mio figlio!… Iddio lo ha voluto!…

      — Mentre si chinava per prendere il cappello sotto il banco, lo afferrai al collo e strinsi… Non mandò neppure un gemito… Quando lo lasciai, era morto… Gli misi le mani in croce sul petto e me ne andai… Nessuno mi aveva veduta!…

      — E l’orologio? Perché gli avete tolto l’orologio?

      — Gli era caduto dalla tasca e lo raccolsi da terra… macchinalmente…

      — E questa sera… variando ancora una volta modo e mezzo criminosi… avete avvelenato Beniamino O’Garrich!…

      — Iddio lo ha voluto – rispose, ripetendo come un’eco le parole di sua cognata. – Ero salita per tutt’altra ragione…

      — Volevate trovare e far sparire qualcosa, che avevate cercato invano nei cassetti di quella scrivania!

      — Sì. Sapevo oramai che voi sospettavate Giacomo… Mio nipote stasera, dopo l’incidente del cane, che doveva avervi rivelato i legami che correvano tra lui e… sua madre e sua sorella, aveva dubitato della verità… e, fingendo d’essere stato aggredito alla sua volta, aveva voluto distogliere i vostri sospetti da questa casa… Povero Giacomo!…

      — Beniamino O’Garrich era il terzo uomo condannato dal vostro odio!

      — Non dite odio!… – esclamò con forza Dorotea Winckers Shanahan. – Voi non sapete che cosa quei tre avevano commesso… Beniamino aveva sete… Quando sono entrata nella cucina, sorgendo davanti a lui dalla botola, mi chiese un bicchier d’acqua… Io avevo con me una dose di atropina cristallizzata… Doveva servire a far cessare di colpo ogni mia sofferenza nel caso che la mia azione fosse stata scoperta… Mi sono sacrificata! Ho rinunciato a salvarmi dalla condanna che mi attende, pur di veder completata la vendetta!…

      — Ma perché?… Perché tutto quest’odio?… Che cosa avevano fatto quei tre uomini?…

      Si sentì il rumore della porta di strada che si apriva, il suono di passi affrettati pel corridoio. Sani apparve sulla soglia.

      — Mi avete promesso di risparmiare Giacomo! – supplicò Virginia Worth.

      La madre si era voltata e guardava con occhi ardenti verso la porta.

      La risposta all’ultima domanda del commissario, egli non doveva averla che il giorno dopo, perquisendo a fondo ogni stanza e ogni mobile del Presbiterio.

      Quella sera, fece condurre a San Fedele Virginia Worth e lasciò madre e figlio soli nella Chiesa, a ogni uscita della quale aveva messo un agente.

      Miss Lolly, fuggita dal Presbiterio era corsa a casa e fu lì che Cruni, mandatovi da De Vincenzi, la trovò. Appena seppe che suo fratello era vivo ed era innocente, corse a raggiungerlo.

      De Vincenzi fece ritorno al suo ufficio di San Fedele e trascorse la notte a leggere. Cercava di non pensare alle ore terribili che aveva vissute, dal momento in cui, in Piazza Mercanti, aveva assistito alla scoperta del cadavere di Giobbe Tuama… Una sequela di delitti orribili… in un’atmosfera di follia!…

      Poteva un essere umano compiere freddamente una simile atroce vendetta?…

      Cercava di non pensare al dramma, De Vincenzi, e non ci riusciva!…

      Quale, dunque, era la colpa di quei tre uomini?

      Il giorno dopo, fra le carte del Pastore, trovò un ritratto di Oliver O’Brien e qualche ritaglio di giornale americano.

      E la verità di quell’altro dramma lontano gli apparve. I particolari, che non erano nei giornali, gli vennero rivelati da Dorotea Winckers Shanahan, che era stata la moglie di Olivier O’Brien e che aveva divorziato da lui, quando il Tribunale di Detroit lo ebbe condannato a venti anni di reclusione, per appropriazione indebita continuata e per truffa ai danni della Società per il commercio dei brillanti, di cui era consigliere delegato.

      O’Brien era innocente. Jeremiah Shanahan, venuto nel Michigan dal Transvaal con Giorgio Crestansen e Beniamino O’Garrich, aveva fondato con O’Brien la società. Molto probabilmente nulla sarebbe avvenuto, se Jeremiah non si fosse innamorato della moglie di O’Brien e non avesse ordito, d’accordo coi suoi due complici – essi erano legati fra loro a filo doppio da precedenti azioni delittuose compiute a Pretoria – il più infame dei piani criminosi, per toglier di mezzo per sempre colui che egli considerava come un ostacolo all’appagamento della