Emilio Salgari

La favorita del Mahdi


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greco, che stava allungando le braccia verso l'araba, si arrestò.

      —Allàh ybàrek fik, (Iddio ti benedica) disse Fathma, alzando le mani verso Abd-el-Kerim.

      Si gettò la carabina ad armacollo, s'avvolse nel suo bianco taub e s'allontanò con passo rapido, con andatura fiera e maestosa facendo tintinnare graziosamente le numerose anella che ornavano le sue braccia.

      —Per Allàh! esclamò Notis quasi con collera. Non ho mai trovato in vita mia un'almea simile. Da quando una donna che va a danzare pegli accampamenti, torce il viso per una parola melata?

      —Ti sorprende forse? chiese Abd-el-Kerim, con un tono di voce sotto il quale sentivasi una leggiera vibrazione ironica.

      —E sfido io!

      —Fathma, non è un'almea comune.

      —E nondimeno s'abbandonò fra le tue braccia. Ah! Abd-el-Kerim tu sei fortunato.

      —Perchè?

      —Avrei pagato mille piastre per sentirmela pur io adagiata sulle mie ginocchia, colla sua testolina appoggiata sul mio petto.

      —Sei pazzo, Notis. Saresti per caso innamorato morto di lei?

      —Non ti pare che sia bella?

      —Più bella di tutte le donne che vidi da venticinque anni a oggi.

      —Anche più bella di mia sorella Elenka?…

      L'arabo preso alla sprovveduta si turbò e non rispose.

      —Ah! fe' il greco ironicamente. Elenka adunque la trovi inferiore a quell'almea, tu, l'innamorato, il fidanzato di mia sorella.

      —Tu discorri senza riflettere, disse Abd-el-Kerim, rimettendosi prontamente, come vuoi che io, che adoro Elenka, trovi che un'altra donna, che non mi interessa nè punto nè poco, la sorpassi in bellezza! Hai torto di dubitare di me.

      —Sono pazzo, amico mio, lo so, a dubitare di te. Orsù, riparliamo di

       Fathma.

      —Come vuoi Notis.

      —Sai innanzi a tutto chi è e da dove venga?

      —L'ignoro. So che chiamasi Fathma e nulla di più. E perchè queste domande.

      —Perchè sono innamorato cotto di quella bella danzatrice.

      —Di già? Corri come un mahari dei più rapidi, disse l'arabo sforzandosi a far parer calma la sua voce che invece tremavagli.

      —Sento qui, nel cuore, una fiamma che comincia ad ardere. È fiamma d'amore, e temo che prenderà fra non molto proporzioni gigantesche.

      L'arabo alzò Le spalle e cercò di sorridere, ma senza riuscirvi.

      —Se non vi eri tu, ti giuro, Abd-el-Kerim, che avrei stampato sulle sue piccole labbra un gran bacio. Ma la ritroverò e sola.

      Una fiamma balenò negli occhi di Abd-el-Kerim, ma una fiamma d'ira e di sdegno. La sua fronte s'increspò e le sue mani si posarono sui calci del revolver.

      —Sta in guardia, Notis! diss'egli con accento cupo.

      —Credi che io abbia paura di una donna?

      —Chi sa! Potrebbe darsi che su quella donna brillasse una scimitarra!

      Il greco rimase di stucco, guardandolo cogli occhi stravolti. Mai aveva udito parlare Abd-el-Kerim con quel tono cupo e minaccioso e in quel modo. Credette di aver compreso male.

      —Una scimitarra, hai tu detto? chiese egli.

      —Sì, e la scimitarra di un uomo che ha il braccio di ferro.

      —Avrei forse un rivale? Abd-el-Kerim, tu sai qualche cosa e cerchi nascondermelo.

      —Non so nulla.

      —Tieni a mente che io amo di già Fathma come tu ami Elenka, e forse io l'amo più ancora di te.

      —Zitto, Notis, non parliamone più. È tardi, e io ho sonno.

      —Eh! per Allàh! Vorrai bene dirmi qualche cosa prima.

      —Non mi caverai una parola di bocca nemmeno colle tenaglie. Buona notte, amico mio. Vado a dormire nella mia tenda e tu va nella tua che trovasi a pochi passi da quella del pascià.

      L'arabo non aggiunse una sillaba di più e lasciò lì Notis, dileguandosi fra le tenebre col suo mahari.

      —Un rivale! esclamò il greco con mal repressa ira. E chi potrebbe mai essere?

      Rimase un istante lì, pensieroso, cupo, tormentando l'impugnatura della scimitarra, poi si cacciò in mezzo alle tende e ai fasci dei moschetti, traendosi dietro il suo animale. Dopo dieci minuti s'arrestava dinanzi alla sua tenda, sulla cui entrata russava un nubiano colossale del più bel nero.

      Lo svegliò, gli affidò il mahari e si gettò sulla coperta, dopo aver acceso un sigaretto. Il suo pensiero volò subito dietro all'almea.

      —Ho un bel dire che quell'adorabile creatura diverrà mia, mormorò egli, ma ho certi timori dei quali, mi pare che io dovrei tener conto. Non so, ma Abd-el-Kerim mi ha parlato in una certa maniera, con un tono così grave, così strano che mi dà da pensare seriamente. Se non fossi sicuro che egli ama alla pazzia Elenka, quasi, quasi, direi che egli parlava con rabbia, che parlava come fosse mio rivale.

      «Come mai egli mi ha parlato di una scimitarra che brilla su Fathma? Ciò vuol dire che vi è qualcuno che veglia sull'almea, è chiaro, chiarissimo. E chi potrebbe mai essere quest'uomo? Che abbia egli spifferato questa minaccia per indurmi a starmene lontano da quella donna?

      «Se è vero questo, hai sbagliato Abd-el-Kerim. Gli occhi di Fathma si sono impressi nel mio cuore in modo tale, che nessun altro amore sarebbe capace di velarli. Vi è una fiamma che arde nel mio petto, fiamma appena accesa e che è di già immane!…

      Egli si levò a sedere e guardò attorno. Gli parve vedere ovunque degli occhi fiammeggianti che lo fissassero: gli occhi dell'almea. Scattò in piedi come spinto da una molla, staccando la sua carabina.

      —Egli mi ha parlato di un rivale, diss'egli con ira. Andrò ad assicurarmene e guai a lui, se lo trovo ronzare nei dintorni della casupola!…

      Saltò via il nubiano che era tornato ad addormentarsi, e uscì con passo silenzioso. Si guardò attorno sospettosamente, ma non vide che i soldati di guardia che vigilavano accanto ai fuochi. Tese gli orecchi, ma non udì che il fragoroso russar dei negri che dormivano sotto le tende e il sibilo del vento che agitava gli stendardi infioccati.

      —Tutti dormono, mormorò egli. A noi due, o mio incognito rivale!

      Attraversò il campo e s'arrestò alle prime capanne di Hossanieh. Si gettò a terra per non esser visto da alcuno, e si mise a strisciare lentamente, senza fare più rumore di un serpente, tenendosi nascosto dietro le macchie di mimose. Ben presto si trovò nei pressi della casupola di Fathma, un'abitazione col tetto di paglia e le pareti di legno fiancheggiata da una rekùba, sorta di tettoia sostenuta da pali, sotto la quale si riposano ordinariamente i cammelli ed i viaggiatori.

      Si alzò e guardò attentamente dinanzi, di dietro, a dritta e a manca, ma non vide anima viva ronzare all'intorno. Alzò gli occhi verso le finestre, ma le vide oscure e socchiuse. Respirò.

      —Che mi abbia ingannato? E con quale scopo? mormorò.

      Fece il giro della casupola per due o tre volte, e stava per allontanarsi, quando vide un'ombra che moveva verso quella volta. Impallidì e afferrò rapidamente la carabina.

      —Il rivale! esclamò egli con voce sorda.

      Esitò, poi si cacciò sotto la rekùba e guadagnò, senz'essere stato scoperto, una macchia di leguminose arborescenti nascondendovisi nel mezzo.

      —Chi sei? chi sei