nei giovani, magari sono un po’ rimbambiti fisicamente e nella scaltrezza, ma hanno una
marcia in più, una mente più flessibile e immediata.
Va bene buttarsi giù dai muretti o direttamente in mare dal pontile del porto con le bici ma a tutto c'è un limite.
Certo di cose stupide ne facevamo, come quella volta in cui rimanemmo soli in casa in spiaggia da un amico.
Arrivati a sera la fame cominciava a farsi sentire, così Pietro, mio amico di infanzia, mi offrì la cena preparata da lui.
Orrore culinario, aveva versato un pacco di biscotti dentro una ciotola in cui aveva tagliato a fette un'anguria e li aveva lasciati a macerare per un paio d’ore. Non li mangiammo naturalmente. Fortunatamente,
arrivò una luce, proveniente dal giardino in comune con i vicini, che ci abbagliò. Facevano festa e quando ci videro da soli ci invitarono a mangiare con loro.
In compenso ho un bellissimo ricordo della mattina seguente. Andammo, alle cinque o alle sei, a fare il bagno nudi sugli scogli in riva al mare. Fu una sfida, toglierci il costume e incastrarlo in immersione da qualche parte in fondo a quel tratto di mare per poi recuperarlo in una seconda immersione.
Abbiamo smesso solamente quando avvicinandosi l’orario di arrivo dei bagnanti, una signora ci scorse mentre passeggiava sugli scogli, ci vollero due sguardi per capire, con il primo pensò si stesse sbagliando, poi però non credendo ai suoi occhi, sconvolta scappò via.
Altre follie affollavano le nostre giornate, come quella con Pollicino, il soprannome era dovuto ai suoi pollici non proprio della misura giusta. Girovagavamo con la sua vespa, mentre degli amici ci inseguivano con i motorini. Giravamo per le viuzze nei dintorni dei paesi, quando, ad un tratto, ci trovammo davanti ad una rampa naturale in terra battuta.
Pensavamo portasse ad una via adiacente così, senza pensarci troppo, decidemmo di saltare, senza prevedere che dall’altro lato della rampa ci fosse il vuoto. Fortunatamente per noi, dava sulla spiaggia dove precipitammo infossando le ruote, il pianale della vespa miracolosamente ci tenne in piedi. I bagnanti, al rumore del nostro arrivo, si spaventarono e ci guardarono basiti. Noi ridevamo a crepapelle e facendo finta di niente, come se fosse stata nostra intenzione arrivare in spiaggia in quel modo, ci sdraiammo a prendere il sole e ad aspettare. Quando gli amici ci trovarono, ci volle un’ora per trascinare il vespino fuori dalla sabbia.
Quando ero ragazzo, dal balcone di casa mia, oltre a poter ammirare il vulcano e la costa sino al piccolo rilievo di Castelmola dove si inserisce Taormina e il suo splendido mare, potevo godere dei profumi di un bellissimo frutteto, pieno di limoni e alberi da pesca.
Ricordo il profumo delle pesche bagnate dal sole e il loro sapore legnoso, dovuto al fatto che le mangiavamo ancora un po’ verdi, prima che la raccolta ce le portasse via.
Spesso mi ero messo a osservarlo dall’alto, ma non avevo mai notato un raro albero di ciliegie. Doveva essere nascosto in qualche angolo, perché lo trovammo per caso in uno di quei pomeriggi durante i quali andavamo a zonzo senza meta. Girovagando ci trovammo, di fronte al bellissimo albero, così, senza esitare, salimmo sui rami più alti e ci sedemmo a godere il sapore dei frutti.
Improvvisamente sentimmo i passi di due uomini proprio nelle vicinane, ci nascondemmo al meglio dietro le foglie e fortunatamente non ci videro. Ma fu un cattivo presagio, perché non ci salvammo quando fummo invitati a mangiare da delle amiche che abitavano a S. Alfio, un paese in alto sul vulcano.
Ricordo ancora lo schifo, fecero la pasta con la salsa in brik dolciastra, una novità a quei tempi, e ci offrirono del vino in brik, altra delizia, in più aggiunsero alla pasta lo zucchero al posto del sale. Finito il pranzetto le abbandonammo, la noia ci stava uccidendo, ancora le femminucce non erano il nostro primo pensiero. Invece di aspettare che la madre delle nostre ospiti tornasse e ci riaccompagnasse a casa, decidemmo di correre giù in discesa per i 16,5 km di tornanti. Arrivati sfiniti a tre quarti di strada ci imbattemmo in una piantagione di ciliegie affacciata sulla strada. Le potevano cogliere senza entrarci e noi non ci facemmo sfuggire l’occasione. Seduti sul muretto circostante iniziammo a mangiarne qualcuna, tutta quella scarpinata ci aveva fatto venire fame. Ad un certo momento, si accostò a noi una macchina, da cui scese un panzone con aria sorridente che si avvicinò al mio amico. Sembrava volesse dirgli qualcosa, invece era una strategia per non farci fuggire, arrivato a tiro, partì da quella sua manona un muffittuni (in dialetto uno schiaffo a mano piena), di cui sento ancora l’eco a pensarci, e poi si lanciò invano su di me. Vista la scena mi tuffai all’indietro dal muretto stile parkour dentro il giardino e scappai.
Questa volta era andata male “non può mica andare sempre bene” comunque non ho capito perché per due ciliegie se la sia presa tanto, sicuramente non era il caso di rimanere e chiederglielo e con il mio amico riprendemmo la strada di casa.
Altra reazione esagerata mi accadde sempre in sua compagnia. Stavamo aspettando Settimo quando sorse un'urgenza impellente. Per fare presto saltammo una recinzione in una vecchia costruzione abbandonata e andammo a fare pipì proprio a ridosso di un muro scorticato. Al che sentimmo una voce gridare:
“ALTOLA!”
Ci girammo e ci trovammo di fronte un tizio con le gambe larghe che ci puntava la pistola tipo Starsky & Hutch nella favolosa serie.
Penso lo avesse sognato una vita, lui, una guardia giurata, incastrare due criminali con l’oggetto in mano. Aveva un’aria soddisfatta e ridicola allo stesso tempo. A certe persone non si dovrebbe affidare una pistola. Fortunatamente lo lasciammo andare dopo che la mise via (si perché in verità volevamo picchiarlo per avercela puntata contro). Era la guardia dello stabile.
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