in cui i più grandi saggi e studiosi erano anche grandi narratori: coloro che oggi sarebbero chiamati “comunicatori”. In altre parole, come umani ci sviluppiamo socialmente attraverso storie, che danno forma al nostro cervello e ci aiutano ad integrare meglio le informazioni dall’esterno.
In tante ricerche è stato osservato come i bambini hanno una predilezione per il volto umano contro qualsiasi altro oggetto che appare loro. Osservare il volto serve non solo per identificare la persona ma anche per riconoscere le sue emozioni, poiché attraverso le varie espressioni del viso siamo in grado di interpretare ciò che prova in quel momento.
Lo sviluppo del linguaggio avviene in seguito, con l’accrescimento delle strutture grammaticali del linguaggio stesso e l’apprendimento è favorito da brevi narrazioni. Le prime storie hanno una struttura semplice che ci aiuta a maturare idee ed emozioni, nonché ad accettare la nozione di tempo, cioè a comprendere che alcune cose accadono prima e altre dopo.
I primi approcci alla conoscenza ci accompagnano per il resto della vita e i grandi oratori e i bravi maestri restano impressi nella nostra memoria. I loro racconti, reali o fittizi, forniscono una guida per nuove scoperte, per nuove emozioni … che progrediscono proprio fin dove l’oratore vuole arrivare.
La narrazione è sempre stata abbinata ad un tempo e ad uno spazio peculiare, che ha reso l’atto narrativo un momento speciale in grado di aiutarci a dare risposte a molte delle nostre domande, nonché a dare senso alla nostra esistenza.
Oggi le nostre vite sono segnate dalla fretta e dalla velocità. Stephen Bertman (Cfr. Bertman, 1998) per spiegare il nostro stile di vita, ha coniato le espressioni «cultura dell’adesso» e «cultura della fretta». Tali espressioni aiutano a comprendere la natura della condizione umana nella “modernità liquida”, dove il significato del tempo viene rinegoziato (Cfr. Bauman, 2002).
Senza entrare in questo affascinante tema, vogliamo limitarci ad indicare che oggi il tempo libero è “sfuggente” e lo spazio di condivisione e di ascolto dell’altro si assottiglia sempre di più.
Tuttavia c’è sempre tempo per una buona storia! La narrazione continua ad offrici momenti di grande emozione, ci incanta e ci consente di rallentare. Si tratta di un momento “speciale” dove si creano legami fra l’ordinario e l’eccezionale, fra la realtà e la fantasia.
Infatti, tutti raccontiamo storie (in forma individuale o collettiva) e con esse ci raccontiamo, chi meglio e chi meno bene. Descriviamo/favoleggiamo la nostra vita, le nostre emozioni e anche ciò che vorremmo fare, essere o diventare.
Si narra intorno al fuoco, davanti al cielo stellato, al buio, in macchina, in aula. Lo facciamo in presenza, a voce, per iscritto, tramite immagini; sui social media, nel web (in diretta, in differita, etc). Utilizziamo Instagram, FB, Linked-In, Tik-tok, YouTube, siti d’incontro, etc.
Sulla base di quanto esplicitato, va notato che qui vogliamo mettere in evidenza l’importanza di restituire tempo e spazio alla narrazione, perché essa rappresenta per gli uomini uno mezzo efficace di esprimere le proprie emozioni.
In definitiva il discorso che trasmettiamo è sempre colmo di emozioni. In altre parole, amiamo, desideriamo, odiamo o siamo indifferenti a situazioni o persone ed è per questo che ci esprimiamo, trasformando così il discorso in qualcosa di più di una semplice descrizione dei fatti, arricchendolo e dandogli “colore” e contenuto emotivo.
Sono questi dialoghi esterni e “interni” che determineranno ampiamente la nostra motivazione, vale a dire, il motore che ci porterà ad agire in un certo modo, per ottenere ciò che ci piace o allontanarci da ciò che non ci piace, e tutto in base a ciò che “ci raccontiamo”. Ad esempio, se la nostra narrativa è negativa sulle nostre capacità, di tipo depressivo, nonostante i buoni “propositi” per raggiungere una meta, non ci proveremo nemmeno.
Dall’altra parte, le storie offrono una varietà di significati per far fronte alla vita, in grado di aiutare le persone a distogliere lo sguardo dalla paura. Infatti, il tempo e lo spazio narrativo possono offrire agli individui nuove occasioni di espressione di sé, di incontro con l’altro, di apertura verso il nuovo, dove i pregiudizi si possono smorzare e i conflitti/malintesi si possono risolvere.
L’intelligenza emotiva dà alla persona la capacità di modificare il proprio discorso interiore su ciò che è accaduto, sta accadendo o accadrà, in un modo che ci rende più facile accettare le situazioni che si verificano, soprattutto quando il risultato non dipende da noi.
Come si evidenzierà più avanti, una persona con una intelligenza emotiva sviluppata sarà in grado di superare più facilmente i traumi sperimentati, anche grazie al ricorso alla terapia, la quale può agire sulla modifica del dialogo “interno” rispetto ai fatti accaduti (situazioni che hanno messo in pericolo la persona) e che possono influenzare la sua vita in forma significativa. Grazie a questa ristrutturazione del discorso interno la persona può condurre una vita “più normale”, superando situazioni traumatiche.
Questo accade perché quando articoliamo un discorso narrativo, mettiamo in atto importanti meccanismi di riflessione, poiché in molte situazioni si tratta di mettere a confronto i nostri pensieri, al fine di esprimerli adeguatamente su aspetti a cui potremmo anche non aver pensato.
Per esempio, se qualcuno ci chiede qual è la nostra posizione riguardo il conflitto arabo-israeliano, fino ad allora potremmo non esserci fermati a riflettere su di esso, oppure non avere una posizione chiara. Tuttavia, quando rispondiamo prendiamo una posizione e tale risposta determinerà successivamente le decisioni future al riguardo, perché la maggior parte delle volte si predilige il mantenimento di una certa coerenza interna. Quindi, se abbiamo detto che siamo d’accordo con la politica di Israele nel caso degli insediamenti, probabilmente applaudiamo ai tentativi di pace che si stanno verificando al riguardo; contrariamente, se crediamo che la causa della Palestina abbia una base storica, sosterremo quei movimenti che cercano di liberare i palestinesi dall’occupazione. Tutto dipende, in parte, da una decisione in un determinato momento generato da una narrazione interna che governerà il nostro comportamento futuro.
Di fatto lo storytelling è un mezzo tramite il quale cerchiamo di mettere in ordine e di dare un senso ai nostri pensieri, alle nostre esperienze quotidiane, alle nostre storie e memorie.
È ormai chiaro che lanarrazionenon è di competenza esclusiva di scrittori professionisti (romanzieri, storici, giornalisti). Sono tante le modalità narrative per raffigurare eventi reali o fittizi, attraverso metafore, parole, immagini, suoni, canzoni. Questa attività trova riscontro non solo in tante antiche testimonianze dell’uomo ma anche nella comunicazione quotidiana odierna.
Inoltre, va notato che di fronte a situazioni incerte, inaspettate, le storie possono offrire speranze, possono dare un senso agli avvenimenti, oppure semplicemente far scaturire curiosità. Come afferma Storr, i narratori “creano momento di cambiamento inaspettato che catturano l’attenzione dei loro personaggi e, di riflesso, quella del lettore e dello spettatore”. “Gli uomini hanno una sete di conoscenza insaziabile. I narratori sanno fare leva proprio su questi istinti creando dei mondi, ma guardandosi bene di rivelare al lettore quello che c’è da sapere”. (Storr, 2020, p. 3 e p. 7)
L’interesse per una storia altrui può aumentare soprattutto in momenti di cambiamento nelle nostre vite. Poiché lo storytelling si nutre del capitale narrativo, del vissuto personale e o di gruppo e, di conseguenza, rappresenta uno strumento valido per costruire spazi trasformativi e anche di comunicazione efficaci, carichi di senso, emozioni e fantasia!
Finora abbiamo parlato di “emozione” ma non abbiamo ancora definito cosa intendiamo per questo concetto. Nel prossimo capitolo verranno delineate le sue caratteristiche così come si approfondirà sul perché è così importante dare spazio alle emozioni.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bauman, Z. (2002). Modernità liquida. Laterza: Roma.
Bettelheim, B. (2003). Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Milano: Feltrinelli.
Bruner, J. (1988). La mente a più dimensioni. Roma: Laterza.
Bertman,