Naomi Bellina

Fuori Dal Comune


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      “Va bene, ti lascerò sola. Non provare ad andartene, ci sarà una guardia fuori dalla tua porta.”

      “E dove diavolo dovrei andare?”

      La donna sussultò. “Voi umani imprecate davvero troppo. Non è da signora. Tornerò a prenderti a breve. Tieniti pronta.”

      Da signora un cavolo. Aspettate che mi arrabbi sul serio, e ragazzi vi faccio vedere io cos’è da signora. Star sapeva che il suo linguaggio tendeva a farsi grezzo quando era spaventata e arrabbiata, e in quel momento lo era parecchio, entrambe le cose.

      Diede una rapida occhiata in giro per la stanza ma non si attardò. Non dubitava che la strana donna sarebbe tornata presto e l’avrebbe condotta di fretta da ‘Sua Maestà’, a qualunque punto fosse dei preparativi. La donna elfo era chiaramente sotto pressione e stressata, e Star aveva notato un barlume di paura nei suoi occhi.

      Prendendo alcuni respiri, si calmò. L’intera faccenda era o un’allucinazione o un sogno, e in entrambi gli scenari non c’era motivo di farsi prendere dal panico perché avrebbe smesso di vedere cose strane o si sarebbe svegliata a breve.

      L’orribile idea di essere stata rapita si annidava in fondo alla sua mente, ma mise da parte quel pensiero per timore di soccombere al panico conclamato. Perché qualcuno dovrebbe rapirla? E sul serio, costumi da elfo? No, tutto questo era il prodotto della sua iperattiva immaginazione, o forse uno di quei flashback ritardati da droga di cui era stata avvisata quand’era adolescente.

      Curiosando nella stanza, scoprì un piccolo armadio e quello che sembrava essere un vaso da notte nascosto dietro a una tenda. Sollevata, Star fece uso dello strano aggeggio, poi annusò l’acqua nella brocca sul tavolo. L’odore era normale, e ad un piccolo sorso sapeva di buono, quindi ne trangugiò una tazza. Poi si tolse i vestiti, immerse le dita di un piede per controllare l’acqua ed entrò nella vasca. Usando la spugna che aveva trovato, si strofinò rapidamente e si era appena asciugata e messa l’abito quando la donna elfo entrò.

      “Oh bene, misura perfetta. Hai un aspetto decoroso. Siediti qui, ti faccio i capelli,” disse Vesta, indicando la specchiera.

      Star si mosse con esitazione nel vestito. Raramente indossava gonne lunghe ed era preoccupata di inciampare nei suoi piedi con quell’abito lungo fino al pavimento. Questo indumento, comunque, era fatto di un materiale leggero e arioso. La stoffa si muoveva con lei, e dopo alcuni giri e volteggi di prova, non aveva più timore di inciampare. Probabilmente riesco anche a correre con questo addosso, se devo.

      Vesta era accigliata e batteva il piede. “Vieni, siediti, non abbiamo tempo per queste sciocchezze.”

      Star si sedette. “Per favore, dimmi cosa sta succedendo. Sono stata collaborativa, no?” chiese con la sua voce più dolce, quella che usava per rabbonire bambini testardi e genitori arrabbiati.

      “La conversazione dovrà aspettare, parleremo più tardi. Ora dobbiamo prepararti e andare a cena puntuali. Per gli dei, i tuoi capelli sono un disastro. Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto un buon taglio?”

      La donna lavorò velocemente e con efficienza, e Star si meravigliò dell’elaborato chignon che realizzò in pochi attimi. Star non faceva molto di più che lavare i suoi capelli leggermente ondulati la sera, per poi bagnarli e raccoglierli con un fermaglio la mattina. Quando era necessario si faceva dare una spuntata in un posto senza appuntamento, e a pensarci bene, l’ultima di quelle volte era capitata molto tempo prima. Non aveva proprio fatto molto, a livello di manutenzione personale, dall’Evento.

      “Almeno dimmi il tuo nome. È Vesta, giusto? Ti dico il mio, è Star.”

      “Conosco il tuo nome,” disse la donna. Fece cenno a Star di girarsi e cominciò ad applicare velocemente il trucco. Dopo un altro attimo si addolcì. “Sì, il mio nome è Vesta. Ma dovresti parlarmi solo se necessario.”

      Come se io volessi avere una lunga e intima conversazione con te, acida stronza. Ovviamente la donna non voleva parlare, ma Star, abituata a carpire informazioni da alunni di quarta, si mise al lavoro.

      “Vesta, dove mi trovo e chi sei tu? Dai, questo puoi dirmelo. Lo scoprirò abbastanza presto comunque, no? Quell’elfo... Voglio dire, quell’uomo laggiù in giardino, ha detto che mi avrebbe spiegato. Mi piacerebbe davvero saperlo. Sono spaventata.” Le lacrime che si formarono negli occhi di Star erano autentiche – lei era spaventata.

      “Oh, non piangere, ti rovinerai il trucco. Molto bene. Sei su Porrima e noi siamo folletti. E questo è tutto ciò che posso dire per il momento.”

      Star rifletté su questa informazione. Poteva la sua stressata, depressa piccola mente piena di caffeina inventarsi qualcosa di così bizzarro? Aveva veramente fatto un giro dal dottore, ottenuto una ricetta e preso un po’ troppe pillole della felicità? Non era possibile che ciò stesse succedendo davvero, ma decise di mantenere la calma e andare avanti col piano. “Okay, Vesta, se sono su un altro pianeta, com’è possibile che io possa capire te e viceversa? Spiegamelo. E com’è che qui posso respirare aria e bere acqua?”

      Vesta sospirò. “Abbiamo un programma di traduzione che abbina le nostre parole. È molto tecnico, quindi non chiedermi di spiegarlo – non è il mio campo. Siamo in un ambiente controllato – i tecnici hanno creato una miscela d’aria che è adatta a chiunque venga qui. Abbiamo anche formulato dell’acqua che combacia con quella a cui siete abituati. Basta parlare. Devo farti le labbra.”

      Una volta che Star fu acconciata per la soddisfazione di Vesta, le donne si diressero fuori dalla porta e tornarono indietro giù per la scala a chiocciola fino al giardino. Vesta si diede un’occhiata intorno e si lasciò sfuggire un pesante sospiro.

      “Dov’è quel Roven? In ritardo come al solito. Aspetta qui.” Vesta si avviò a passo svelto lungo uno dei sentieri.

      Star esaminò il giardino più da vicino. Fiori e piante crescevano ovunque e un profumo di agrumi le riempiva le narici. Le fontane gorgogliavano, creando un suono piacevole e melodico. Delle panchine erano allineate lungo il perimetro del grande spazio aperto e sentieri lastricati conducevano nel fitto fogliame sui bordi. Il giardino sarebbe stato un ambiente piuttosto tranquillo se non fosse stato per le guardie con le lance ben appuntite posizionate nelle vicinanze. Guardando in alto, Star osservò un cielo rosso pallido con due oggetti luminosi nel mezzo. Prese fiato e sentì il suo cuore saltare un battito. Santo cielo, poteva veramente trovarsi su un altro pianeta? Impossibile.

      Delle voci attirarono la sua attenzione su uno dei sentieri e lei vide arrivare l’umano scortato dalle guardie, ancora con le armi spianate. Lo portarono fino a dov’era lei e poi se ne andarono senza una parola.

      “Di nuovo salve. Stai bene? Perché hai le mani legate?” chiese Star, sollevata di vedere lo sconosciuto. Chiunque fosse, sembrava relativamente calmo, e ora che poteva vederlo più da vicino, sicuramente umano, e assolutamente sexy.

      “Sto bene, almeno credo. Non so cosa stia succedendo. Mi stavo comportando bene, mettendomi questa stupida tunica e la calzamaglia, quando una guardia è venuta nella mia stanza e mi ha legato le mani.”

      “Forse posso sciogliere i nodi. Vieni un po’ più vicino e gira la schiena verso di me. Non credo che le guardie se ne accorgeranno se non ci muoviamo troppo.”

      “Grazie, ma penso di averli già quasi allentati. Continua a coprirmi le spalle. Il mio nome è Adam Henderson, comunque. E tu chi saresti?”

      “Star. Star Lite.” Fece un debole sorriso alla risatina che sentì. “I miei genitori erano... creativi.”

      “Immagino. Okay, ecco fatto.” Adam mosse le mani, afferrò le sue e diede loro una stretta. “Qualche idea su cosa stia succedendo?”

      La forza e il calore delle mani di Adam erano magnificamente confortanti, e Star desiderava tenerle strette e non lasciarle più andare. Anche se era stata con lui solo pochi minuti, c’era qualcosa in quell’uomo che la attirava. Un brivido le scese lungo la spina dorsale, e una sensazione di calore si diffuse in tutto il suo corpo – in particolare fra le gambe, notò