Данте Алигьери

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке


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Vedi Tiresia, che mutò sembiante

      quando di maschio femmina divenne,

      cangiandosi le membra tutte quante;

      43 e prima, poi, ribatter li convenne

      li duo serpenti avvolti, con la verga,

      che riavesse le maschili penne.

      46 Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,

      che ne’ monti di Luni, dove ronca

      lo Carrarese che di sotto alberga,

      49 ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca

      per sua dimora; onde a guardar le stelle

      e ’l mar non li era la veduta tronca.

      52 E quella che ricuopre le mammelle,

      che tu non vedi, con le trecce sciolte,

      e ha di là ogne pilosa pelle,

      55 Manto fu, che cercò per terre molte;

      poscia si puose là dove nacqu’ io;

      onde un poco mi piace che m’ascolte.

      58 Poscia che ’l padre suo di vita uscìo

      e venne serva la città di Baco,

      questa gran tempo per lo mondo gio.

      61 Suso in Italia bella giace un laco,

      a piè de l’Alpe che serra Lamagna

      sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.

      64 Per mille fonti, credo, e più si bagna

      tra Garda e Val Camonica e Pennino

      de l’acqua che nel detto laco stagna.

      67 Loco è nel mezzo là dove ’l trentino

      pastore e quel di Brescia e ’l veronese

      segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.

      70 Siede Peschiera, bello e forte arnese

      da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,

      ove la riva ’ntorno più discese.

      73 Ivi convien che tutto quanto caschi

      ciò che ’n grembo a Benaco star non può,

      e fassi fiume giù per verdi paschi.

      76 Tosto che l’acqua a correr mette co,

      non più Benaco, ma Mencio si chiama

      fino a Governol, dove cade in Po.

      79 Non molto ha corso, ch’el trova una lama,

      ne la qual si distende e la ’mpaluda;

      e suol di state talor esser grama.

      82 Quindi passando la vergine cruda

      vide terra, nel mezzo del pantano,

      sanza coltura e d’abitanti nuda.

      85 Lì, per fuggire ogne consorzio umano,

      ristette con suoi servi a far sue arti,

      e visse, e vi lasciò suo corpo vano.

      88 Li uomini poi che ’ntorno erano sparti

      s’accolsero a quel loco, ch’era forte

      per lo pantan ch’avea da tutte parti.

      91 Fer la città sovra quell’ ossa morte;

      e per colei che ’l loco prima elesse,

      Mantua l’appellar sanz’ altra sorte.

      94 Già fuor le genti sue dentro più spesse,

      prima che la mattia da Casalodi

      da Pinamonte inganno ricevesse.

      97 Però t’assenno che, se tu mai odi

      originar la mia terra altrimenti,

      la verità nulla menzogna frodi».

      100 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti

      mi son sì certi e prendon sì mia fede,

      che li altri mi sarien carboni spenti.

      103 Ma dimmi, de la gente che procede,

      se tu ne vedi alcun degno di nota;

      ché solo a ciò la mia mente rifiede».

      106 Allor mi disse: «Quel che da la gota

      porge la barba in su le spalle brune,

      fu – quando Grecia fu di maschi vòta,

      109 sì ch’a pena rimaser per le cune -

      augure, e diede ’l punto con Calcanta

      in Aulide a tagliar la prima fune.

      112 Euripilo ebbe nome, e così ’l canta

      l’alta mia tragedìa in alcun loco:

      ben lo sai tu che la sai tutta quanta.

      115 Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,

      Michele Scotto fu, che veramente

      de le magiche frode seppe ’l gioco.

      118 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,

      ch’avere inteso al cuoio e a lo spago

      ora vorrebbe, ma tardi si pente.

      121 Vedi le triste che lasciaron l’ago,

      la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;

      fecer malie con erbe e con imago.

      124 Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine

      d’amendue li emisperi e tocca l’onda

      sotto Sobilia Caino e le spine;

      127 e già iernotte fu la luna tonda:

      ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque

      alcuna volta per la selva fonda».

      130 Sì mi parlava, e andavamo introcque.

      Canto XXI

      Così di ponte in ponte, altro parlando

      che la mia comedìa cantar non cura,

      venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando

      4 restammo per veder l’altra fessura

      di Malebolge e li altri pianti vani;

      e vidila mirabilmente oscura.

      7 Quale ne l’arzanà de’ Viniziani

      bolle l’inverno la tenace pece

      a rimpalmare i legni lor non sani,

      10 ché navicar non ponno – in quella vece

      chi fa suo legno novo e chi ristoppa

      le coste a quel che più viaggi fece;

      13 chi ribatte da proda e chi da poppa;

      altri fa remi e altri volge sarte;

      chi terzeruolo e artimon rintoppa – :

      16 tal, non per foco ma per divin’ arte,

      bollia là giuso una pegola spessa,

      che ’nviscava la ripa d’ogne parte.

      19 I’ vedea lei, ma non vedea in essa

      mai che le bolle che ’l bollor levava,

      e gonfiar tutta, e riseder compressa.

      22 Mentr’ io là giù fisamente mirava,

      lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,

      mi trasse a sé del loco dov’ io stava.

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