Данте Алигьери

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке


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stormo e far lor mostra,

      e talvolta partir per loro scampo;

      4 corridor vidi per la terra vostra,

      o Aretini, e vidi gir gualdane,

      fedir torneamenti e correr giostra;

      7 quando con trombe, e quando con campane,

      con tamburi e con cenni di castella,

      e con cose nostrali e con istrane;

      10 né già con sì diversa cennamella

      cavalier vidi muover né pedoni,

      né nave a segno di terra o di stella.

      13 Noi andavam con li diece demoni.

      Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa

      coi santi, e in taverna coi ghiottoni.

      16 Pur a la pegola era la mia ’ntesa,

      per veder de la bolgia ogne contegno

      e de la gente ch’entro v’era incesa.

      19 Come i dalfini, quando fanno segno

      a’ marinar con l’arco de la schiena

      che s’argomentin di campar lor legno,

      22 talor così, ad alleggiar la pena,

      mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso

      e nascondea in men che non balena.

      25 E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso

      stanno i ranocchi pur col muso fuori,

      sì che celano i piedi e l’altro grosso,

      28 sì stavan d’ogne parte i peccatori;

      ma come s’appressava Barbariccia,

      così si ritraén sotto i bollori.

      31 I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,

      uno aspettar così, com’ elli ’ncontra

      ch’una rana rimane e l’altra spiccia;

      34 e Graffiacan, che li era più di contra,

      li arruncigliò le ’mpegolate chiome

      e trassel sù, che mi parve una lontra.

      37 I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,

      sì li notai quando fuorono eletti,

      e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.

      40 «O Rubicante, fa che tu li metti

      li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,

      gridavan tutti insieme i maladetti.

      43 E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,

      che tu sappi chi è lo sciagurato

      venuto a man de li avversari suoi».

      46 Lo duca mio li s’accostò allato;

      domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:

      «I’ fui del regno di Navarra nato.

      49 Mia madre a servo d’un segnor mi puose,

      che m’avea generato d’un ribaldo,

      distruggitor di sé e di sue cose.

      52 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;

      quivi mi misi a far baratteria,

      di ch’io rendo ragione in questo caldo».

      55 E Ciriatto, a cui di bocca uscia

      d’ogne parte una sanna come a porco,

      li fé sentir come l’una sdruscia.

      58 Tra male gatte era venuto ’l sorco;

      ma Barbariccia il chiuse con le braccia

      e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».

      61 E al maestro mio volse la faccia;

      «Domanda», disse, «ancor, se più disii

      saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia».

      64 Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii

      conosci tu alcun che sia latino

      sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,

      67 poco è, da un che fu di là vicino.

      Così foss’ io ancor con lui coperto,

      ch’i’ non temerei unghia né uncino!».

      70 E Libicocco «Troppo avem sofferto»,

      disse; e preseli ’l braccio col runciglio,

      sì che, stracciando, ne portò un lacerto.

      73 Draghignazzo anco i volle dar di piglio

      giuso a le gambe; onde ’l decurio loro

      si volse intorno intorno con mal piglio.

      76 Quand’ elli un poco rappaciati fuoro,

      a lui, ch’ancor mirava sua ferita,

      domandò ’l duca mio sanza dimoro:

      79 «Chi fu colui da cui mala partita

      di’ che facesti per venire a proda?».

      Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,

      82 quel di Gallura, vasel d’ogne froda,

      ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,

      e fé sì lor, che ciascun se ne loda.

      85 Danar si tolse e lasciolli di piano,

      sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche

      barattier fu non picciol, ma sovrano.

      88 Usa con esso donno Michel Zanche

      di Logodoro; e a dir di Sardigna

      le lingue lor non si sentono stanche.

      91 Omè, vedete l’altro che digrigna;

      i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello

      non s’apparecchi a grattarmi la tigna».

      94 E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello

      che stralunava li occhi per fedire,

      disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!».

      97 «Se voi volete vedere o udire»,

      ricominciò lo spaurato appresso,

      «Toschi o Lombardi, io ne farò venire;

      100 ma stieno i Malebranche un poco in cesso,

      sì ch’ei non teman de le lor vendette;

      e io, seggendo in questo loco stesso,

      103 per un ch’io son, ne farò venir sette

      quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso

      di fare allor che fori alcun si mette».

      106 Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,

      crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia

      ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».

      109 Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,

      rispuose: «Malizioso son io troppo,

      quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia».

      112 Alichin non si tenne e, di rintoppo

      a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,

      io non ti verrò dietro di gualoppo,

      115 ma batterò sovra la pece l’ali.

      Lascisi