respirò.
– Guardatevi da lui, signor conte – disse poi. – È un uomo pericoloso.
Il giovane batté una mano sulla guardia della spada.
– Quando al mio fianco sta questa lama, io non ho paura di tutti i capitani degli alabardieri di Spagna, di Francia o d’Italia! – disse.
– Marchesa, quando potrò rivedervi? Io devo chiedere a voi un’informazione che mi interessa.
– A me?
– Sí, marchesa.
– Allora domani farete colazione con me.
– Domani, – disse il conte, mentre sulla sua fronte passava come un’ombra – potrebbe essere troppo tardi.
– Contate di partire presto? Siete arrivato solamente stamane.
– È vero, marchesa: ma vi sono delle volte che non si può disporre del proprio tempo. Potrei rimanere, come potrei partire da un momento all’altro. Non vorrei andarmene però prima d’aver avuto un colloquio con voi.
– Non siete venuto per proteggere San Domingo da un attacco dei corsari della Tortue e dei bucanieri?
– Non posso rispondervi, marchesa.
– Eppure voi non dovete partire cosí presto. Sapete cavalcare, conte?
– Sí, marchesa.
– Domani ha luogo la corsa al gallo e desidererei che vi prendeste parte.
– Perché?
– La posta è un mio bacio che darò e riceverò dal vincitore.
Il conte de Miranda ebbe un leggero trasalimento.
– Checché accada, – disse poi – prenderò parte alla corsa. Buona sera marchesa; noi ci rivedremo, perché è necessario.
Baciò la mano alla bella vedova e uscí accompagnato da un valletto mulatto, il quale reggeva a stento un pesante doppiere d’argento. In quello stesso momento gli ultimi invitati lasciavano il magnifico palazzo di Montelimar.
CAPITOLO II. UN DUELLO TERRIBILE
– Il bacan tarda questa sera.
– Raddoppia la carica della pipa, mio caro Mendoza. Io vi ho cacciato dentro due dita e ora tira magnificamente. Che differenza ci trovi tu fra i gradini di questa chiesa e quelli del cassero o del castello di prora?
– Sulla Nuova Castiglia vi è almeno da bere, Martin.
– Piovono però anche delle bombe, Mendoza; e gli spagnuoli ne hanno di quelle non meno terribili delle nostre.
– Non dico il contrario, amico; tuttavia mi trovo sempre meglio lassú. Almeno vi sono cannoni per rispondere.
– E la tua draghinassa la conti per nulla? E le tue pistole sono forse cariche di tabacco? Tu brontoli sempre Mendoza, come un vero marinaio vecchio.
– Tu dirai peraltro, Martin, che se chiacchiero so anche lavorare bene di spada e di sciabola.
– Se cosí non fosse, il signor di Ventimiglia, il nipote del famoso Corsaro Nero, non ti avrebbe scelto per accompagnarlo.
– Tu hai sempre ragione, Martin. È finita la musica?
– Non l’odo piú.
– Allora il capitano non tarderà a giungere.
– Ricarica la pipa.
– Tira come un camino.
– Buttati giú e, se hai sonno, dormi. Faccio io il quarto.
– Tu vuoi burlarti di me, cannoniere. Un vecchio marinaio della Folgore, che ha servito il Corsaro Nero, addormentarsi quando il giovane conte di Ventimiglia corre qualche pericolo? Tu sei pazzo, Martin.
– Metti tre cariche di tabacco nella pipa.
– Anche dieci se vuoi, pur di tenere sempre aperti gli occhi per difendere il figlio del povero Corsaro Rosso.
– Taci, Mendoza. Qualcuno si avvicina.
I due uomini, che stavano seduti sulla gradinata della vecchia chiesa, si erano alzati di scatto, appoggiando le mani sulle pistole mezzo nascoste nelle fasce di lana rossa che cingevano i loro fianchi.
Erano due robustissimi uomini di età molto differente. Mentre colui che si chiamava Mendoza contava almeno una cinquantina d’anni, l’altro ne aveva appena la metà. Erano però di forme tozze ambedue, quantunque di statura quasi media, con petti e braccia enormi, e dorsi da bisonti, solidamente piantati.
Differivano solamente un po’ nella tinta della pelle. Mentre il primo era appena abbronzato, l’altro era nero e non aveva un pelo sul mento, né intorno alle labbra.
– Viene? – chiese il vecchio. – Tu hai gli occhi migliori dei miei. Non sono un selvaggio come te, io, mio caro Martin.
– Ecco un’offesa che non mi aspettavo da parte tua.
– Nega di essere parente di Belzebú. Si dice che il diavolo sia nero.
– Tu non l’hai mai veduto, Mendoza.
– E non ho neanche premura di fare la sua conoscenza, – rispose il vecchio. – Lo vedi?
– Un uomo si dirige verso di noi.
– Che sia il signor di Ventimiglia?
– Non sono un leopardo.
– Eppure tuo padre e tuo nonno conoscevano quelle bellissime bestie, vivendo nei loro paesi.
In quel momento si udí un leggero fischio, poi un uomo si diresse rapidamente verso la gradinata della vecchia chiesa.
– Il signor di Ventimiglia! – esclamarono i due marinai, alzandosi. Era infatti il conte de Miranda, o meglio di Ventimiglia, nipote del famoso Corsaro Nero, che s’avvicinava guardandosi di quando in quando dietro le spalle come se temesse di essere seguito da qualcuno.
– Buona sera, miei bravi – disse. – Quali nuove, Mendoza?
– Non troppo buone, signor conte – rispose il vecchio filibustiere.
– Non avete saputo nulla del cavaliere Barquisimeto?
– Abbiamo interrogato piú di venti persone e ne abbiamo ubriacate altrettante; ma nessuno ha saputo dirci dove si trova il segretario del marchese.
– Eppure mi hanno assicurato che deve trovarsi qui – disse il signor di Ventimiglia. – Egli solo può dirci i nomi di coloro che hanno pronunciato l’infame sentenza contro il Corsaro Rosso ed il Corsaro Verde e che li hanno fatti impiccare.
– Che quel furfante abbia fiutato il pericolo e abbia preso il largo? Voi sapete che gli spagnuoli hanno molte spie.
– È impossibile! La nostra fregata è creduta da tutti una nave spagnuola, spedita qui a proteggere la città contro una sorpresa da parte dei bucanieri e dei filibustieri – rispose il conte. – Se avessero avuto qualche sospetto, i galeoni e le caravelle che si trovavano qui ci avrebbero già dato battaglia. Avete notato nulla di insolito nel porto?
– No, signor conte. Le navi mercantili hanno caricato tutto il giorno zucchero e caffè, e quelle da guerra non hanno lasciato i loro ancoraggi – rispose Mendoza.
– Eppure non mi sento affatto tranquillo. Basterebbe la piú lieve imprudenza per farci bombardare dai forti e dalla flotta.
– Nessuno la commetterà, conte; l’equipaggio è sempre consegnato a bordo e ho fatto collocare delle sentinelle dinanzi alle due scale e perfino dentro le scialuppe.
– Malgrado ciò, io vorrei andarmene al piú presto. Questa commedia non può durare a lungo, e la mia impresa potrebbe finire qui. Ah, se potessi vedere la marchesa per dieci minuti soli, mi risparmierebbe la fatica di cercare quell’inafferrabile cavaliere. Deve ben sapere qualche cosa dell’infamia commessa da suo cognato.
Stette un momento silenzioso, poi soggiunse:
– Non