come si meritano.
– E conosceremo le cause che li hanno indotti a sollevarsi.
– Oh! – esclamò ad un tratto Yanez, che aveva volti gli sguardi verso la foce del fiume. – Vi è qualcuno che pare voglia dirigersi verso di noi.
Un piccolo canotto, munito d’una vela, era sbucato dietro gli isolotti che ingombravano la foce del fiume ed aveva puntato la prora verso la Marianna.
Un solo uomo lo montava, ma era così lontano ancora da non poter distinguere se era un malese o un dayako.
– Chi può essere costui? – si chiese Yanez, che non lo perdeva di vista. – Guarda, Sambigliong, non ti sembra indeciso sulla sua manovra? Ora si dirige verso gli isolotti, ora se ne allontana per gettarsi verso le scogliere corallifere.
– Si direbbe che cerchi d’ingannare qualcuno sulla sua vera rotta, signor Yanez, – rispose Sambigliong. – Che sia sorvegliato e che cerchi d’ingannarli?
– Pare anche a me, – rispose l’europeo. – Va’a prendermi un cannocchiale e fa’ caricare una spingarda a palla. Se si cercherà d’intralciare la manovra di quell’uomo, il quale evidentemente mira a raggiungerci, faremo fuoco.
Un momento dopo puntava l’istrumento sul piccolo canotto che allora si trovava a non meno di due miglia e che aveva finalmente abbandonato le isolette della foce, per spingersi risolutamente verso la Marianna.
Ad un tratto gli sfuggì un grido:
– Tangusa!
– Quello che Tremal-Naik aveva condotto con sè da Mompracem e che aveva innalzato alla carica di fattore?
– Sì, Sambigliong.
– Finalmente sapremo qualche cosa su questa insurrezione, se è veramente lui, – disse il dayako.
– Non m’inganno: lo vedo benissimo. Oh!
– Che cosa avete, signore?
– Vedo una scialuppa montata da una dozzina di dayaki che mi pare voglia dare la caccia a Tangusa. Guarda verso l’ultima isola: la vedi?
Sambigliong aguzzò gli sguardi e vide infatti un’imbarcazione stretta e molto lunga, lasciare la foce del fiume e slanciarsi velocemente verso il mare, sotto la spinta di otto remi poderosamente manovrati.
– Sì, signor Yanez, danno la caccia al fattore di Tremal-Naik, – disse.
– Hai fatto caricare una spingarda?
– Tutte e quattro.
– Benissimo: aspettiamo un momento.
Il piccolo canotto che aveva il vento in favore, filava diritto verso la Marianna con sufficiente velocità, nondimeno non pareva che potesse gareggiare colla scialuppa. L’uomo che la montava, accortosi di essere seguìto, aveva legata la barra del timone ed aveva preso due remi per accelerare maggiormente la corsa.
Ad un tratto, una nuvoletta di fumo s’alzò sopra la prora della scialuppa, poi una detonazione giunse fino a bordo della Marianna.
– Fanno fuoco su Tangusa, signor Yanez, – disse Sambigliong.
– Ebbene mio caro, io mostrerò a quei furfanti come tirano i portoghesi, – rispose l’europeo colla sua solita calma.
Gettò via la sigaretta che stava fumando, si fece largo fra i marinai che avevano invaso il castello di prora attirati da quello sparo e s’accostò alla prima spingarda di babordo, puntandola sulla scialuppa.
La caccia continuava furiosa ed il piccolo canotto, nonostante gli sforzi disperati dell’uomo che lo montava, perdeva via.
Un altro colpo di fucile era partito da parte degli inseguitori e senza miglior successo, essendo generalmente i dayaki più abili nel maneggio delle loro cerbottane che delle armi da fuoco, non conoscendo l’alzo.
Yanez, calmo, impassibile mirava sempre.
– È sulla linea, – mormorò dopo qualche minuto.
Fece contemporaneamente fuoco. La lunga e grossa canna s’infiammò con un rombo strano che si ripercosse perfino sotto gli alberi che coprivano le sponde della baia.
Sul tribordo della scialuppa si vide alzarsi uno sprazzo d’acqua, poi si udirono in lontananza delle urla furiose.
– Presa, signor Yanez! – gridò Sambigliong.
– E fra poco affonderà, – rispose il portoghese.
I dayaki avevano interrotto l’inseguimento ed arrancavano disperatamente per raggiungere uno degli isolotti della foce, prima che la loro imbarcazione affondasse.
Lo squarcio prodotto dalla palla della spingarda, un buon proiettile di piombo misto a rame, del peso d’una libbra e mezzo, era così considerevole da non permettere di prolungare molto quella corsa.
Ed infatti i dayaki distavano ancora trecento passi dall’isolotto più vicino, quando la scialuppa, che si riempiva rapidamente d’acqua, mancò loro sotto i piedi, scomparendo.
Essendo i dayaki della costa tutti abilissimi nuotatori, perchè passano la maggior parte della loro esistenza in acqua al pari dei malesi e dei polinesiani, non vi era pericolo che si annegassero.
– Salvatevi pure, – disse Yanez. – Se tornerete alla carica vi scalderemo i dorsi con della buona mitraglia a base di chiodi.
Il piccolo canotto, liberato dai suoi inseguitori, mercè quel colpo fortunato, aveva ripresa la rotta verso la Marianna spinto dalla brezza che aumentava col calar del sole e ben presto si trovò nelle sue acque.
L’uomo che lo guidava era un giovane sulla trentina, dalla pelle giallastra, ed i lineamenti quasi europei, come se fosse nato da un incrocio di due razze, la caucasica e la malese; di statura piuttosto bassa e assai membruto; aveva il corpo avvolto in brandelli di tela bianca che gli fasciavano strettamente le braccia e le gambe e che apparivano qua e là macchiati di sangue.
– Che l’abbiano ferito? – si chiese Yanez. – Quel meticcio mi sembra assai sofferente. Ohe, gettate una scala e preparate qualche cordiale.
Mentre i suoi marinai eseguivano quegli ordini, il piccolo canotto, con un’ultima bordata, giunse sotto il fianco di tribordo del veliero.
– Sali presto! – gridò Yanez.
Il fattore di Tremal-Naik legò la piccola imbarcazione a una corda che gli era stata gettata, ammainò la vela, poi salì quasi con fatica la scala, comparendo sulla tolda.
Un grido di sorpresa ed insieme d’orrore era sfuggito al portoghese.
Tutto il corpo di quel disgraziato appariva crivellato come se avesse ricevuto parecchie scariche di pallini e da quelle innumerevoli, quantunque piccolissime ferite, uscivano goccioline di sangue.
– Per Giove! – esclamò Yanez, facendo un gesto di ribrezzo.
– Chi ti ha conciato in questo modo, mio povero Tangusa?
– Le formiche bianche, signor Yanez, – rispose il malese con voce strozzata facendo un’orribile smorfia strappatagli dal dolore acuto che lo tormentava.
– Le formiche bianche! – esclamò il portoghese. – Chi ti ha coperto il corpo di quei crudeli insetti così avidi di carne?
– I dayaki, signor Yanez.
– Ah! Miserabili! Passa nell’infermeria e fatti medicare, poi riprenderemo la conversazione. Dimmi solamente per ora se Tremal-Naik e Darma corrono un pericolo imminente.
– Il padrone ha formato un piccolo corpo di malesi e tenta di far fronte ai dayaki.
– Va bene, mettiti nelle mani di Kickatany che è un uomo che si intende di ferite, poi mi manderai a chiamare, mio povero Tangusa. Ora ho altro da fare.
Mentre il malese, aiutato da due marinai, scendeva nel quadro, Yanez aveva rivolto la sua attenzione verso lo sbocco del fiume dove erano comparse altre tre grosse scialuppe montate da numerosi equipaggi ed una doppia, munita di ponte sul quale si scorgeva uno di quei piccoli cannoni di ottone chiamati