agli onori che ti spetterebbero se il driving-hook si trovasse.»
«Li cedo a te, quegli onori; io ne ho avuti abbastanza.»
Il monaco cadde in ginocchio dinanzi al puram, esclamando:
«Tu sei l’uomo più generoso che io abbia conosciuto sulla terra. Che cosa potrò fare per te?»
«Salvare Lakon-tay e stornare dal suo capo la collera del re. Non voglio che quel prode cada in disgrazia,» disse il Cambogiano, fingendo una profonda commozione.
«In qual modo?»
«Consigliare il re a mandare Lakon-tay in cerca del driving-hook. Se egli lo trova, come spero, perché anch’io non dubito che Sommona Kodom m’abbia indicato il luogo dove è sepolto, la sua riabilitazione sarà completa.»
«Oh, uomo generoso! Tu sei il più leale e il più cavalleresco puram del regno!» esclamò il talapoino.
«Va’, un palanchino t’aspetta alla porta della mia casa ed il re a quest’ora non deve essersi ancora coricato. Conto su di te e sulla tua segretezza, sancrato.»
Capitolo VI. La cremazione del S’hen-mheng
I tam-tam del palazzo reale avevano appunto battuto le quattro del pomeriggio, quando il medico entrò nella elegante phe di Lakon-tay.
Aveva l’aspetto d’un uomo assai preoccupato, e la sua ampia fronte era solcata da una profonda ruga, indizio che un profondo pensiero lo turbava.
Sul pianerottolo della scala Len-Pra, più leggiadra del solito, con un giubbettino di seta bianca tutto fronzoli e ricami d’oro, i calzoni ampi di seta azzurra che le scendevano fino sotto il ginocchio, e una superba peonia color del fuoco piantata sul pettine d’oro che le reggeva i nerissimi capelli, lo aspettava.
Dalla veranda lo aveva veduto uscire dalla sua palazzina e si era affrettata a muovergli incontro.
Il giovane scorgendola trasalì, e fissò sulla bella fanciulla uno sguardo ardente. La ruga era improvvisamente scomparsa dalla sua fronte e anche la preoccupazione dal suo animo.
«Mi aspettavate, Len-Pra?» chiese l’europeo, con una certa commozione.
«Sì, signor straniero,» rispose la fanciulla con voce dolce, mentre un rapido fremito agitava le sue mani, che già il dottore teneva fra le sue.
«Vostro padre?»
«È già alzato. Quanto siete abili voi, uomini dell’occidente: nulla vi è impossibile.»
«Bah! Un semplice antidoto.»
«Venite, signor uomo bianco.»
Attraversarono la veranda ed entrarono nella stanza del generale.
Lakon-tay, che pareva ormai completamente guarito, se ne stava seduto su un divanetto di seta gialla, chiacchierando col fido Feng.
«Buone nuove, dottore?» chiese, alzandosi senza fare alcun sforzo.
«Ho finito or ora di esaminare il sangue vomitato da quel povero elefante.»
«Avete potuto vederlo?»
«Il re me ne ha accordato il permesso. Voi sapete che Phra-Bard-Somdh nulla nega agli europei che sono nei suoi stati.»
«È vero,» rispose il generale. «Egli li apprezza come si meritano.»
Il dottore fissò per alcuni istanti il generale, poi disse con voce grave:
«I vostri sospetti non erano infondati: il S’hen-mheng è stato ucciso da un potente veleno, somministratogli da qualche vostro nemico.»
«Come avete potuto accertarvene?»
«Esaminando ed analizzando un po’ di sangue che mi avevano concesso di raccogliere. Vi ho trovato delle tracce di veleni potenti.»
«Siete ben sicuro, dottore, di non esservi ingannato?»
«Noi medici europei possediamo oggi mezzi sufficienti per scoprire, anche in un po’ di sangue, la traccia di un veleno.
Se avessi potuto avere anche gl’intestini del S’hen-mheng, avrei potuto conoscere più esattamente quali specie di veleni sono stati somministrati dai vostri nemici.»
«Voi tutto sapete e tutto potete,» disse il generale. «Non mi avete salvato dalla morte? I nostri medici sarebbero stati impotenti a compiere un simile miracolo.»
Fece cenno a Len-Pra ed a Feng di lasciarli soli, poi, rivolgendosi al dottore, che pareva fosse ricaduto nelle sue preoccupazioni, gli chiese con una certa ansietà:
«Avete appreso nulla delle intenzioni del re a mio riguardo?»
«Brutte nuove,» disse il dottore. «Voi dovete avere dei nemici potenti che esigono la vostra completa rovina. Ho saputo che il re è furibondo per la morte dell’ultimo S’hen-mheng.»
«Che cosa mi consigliate di fare?» chiese Lakon-tay, con voce cupa.
«Lottare sempre per la vostra riabilitazione.»
«Se io facessi una denuncia al re sull’avvelenamento del S’hen-mheng?»
«Chi vi crederebbe?»
«È vero,» rispose il generale.
«Anche se io appoggiassi la vostra denuncia, vi tratterebbero da pazzo o da visionario.»
«Che cosa farà il re?»
«Lo ignoro, ma temo che la vostra disgrazia, per ora, sia completa. Anche il popolo v’incolpa della morte del S’hen-mheng.»
«Sarebbe stato meglio che voi mi aveste lasciato morire,» disse Lakon-tay, facendo un gesto di sconforto supremo.
«E Len-Pra?»
«Sì, è vero; perdonate, signore; sono stato ingrato, pronunciando quelle parole in vostra presenza.»
Il quel momento un colpo di tam-tam echeggiò nella via, ripercuotendosi sulla veranda.
Qualcuno, certo qualche personaggio importante a giudicarlo dalla violenza del colpo, aveva percosso la lastra di bronzo sospesa sulla porta della phe.
Lakon-tay trasalì.
«Chi può essere?»
«Un paggio del re,» disse in quel momento Feng, entrando. «Ha recato per voi, mio signore, questo messaggio.»
Nelle mani teneva un cartone di dimensioni enormi, d’un metro quadrato per lo meno, come usano i Cinesi, con delle lettere monumentali tracciate in oro. Ai due lati superiori erano disegnati due elefanti ed a quelli inferiori due figure che rappresentavano Sommona Kodom.
«Un messaggio del re!» esclamò il generale, facendosi scuro in viso. «Annuncia la mia disgrazia?»
«Leggete,» disse il dottore.
«È un invito per assistere alla cremazione del S’hen-mheng,» disse Lakon-tay.
«Che la collera del re si sia calmata?» chiese il medico.
«Comincio a crederlo, giacché m’invita a prendere posto nella tribuna reale, assieme a mia figlia ed al portatore della mia scatola.
Dottore, verrete con me, è vero? Già Len-Pra non ama assistere alle cremazioni.»
«Quando si farà?»
«Fra due ore, al tramonto del sole.»
«È uno spettacolo che merita di essere veduto,» rispose l’europeo. «Accetto il vostro gentile invito. Che il re voglia parlarvi?»
«Vedremo, signore. Questo messaggio reale mi pare di buon augurio,» disse Lakon-tay, il cui viso si era rasserenato. «Dottore, andate a prendere il tè con Len-Pra. Mia figlia è felice quando vi vede; la sua riconoscenza verso di voi che mi avete salvato non morrà mai nel suo cuore.»
Un’ora dopo, Lakon-tay, che aveva indossato il costume di gala tutto in seta gialla a fiori e ricamata in oro, stretto alla cintura da una larga fascia che reggeva la catana, e l’italiano lasciavano la phe su due palanchini