una debole luce.
No, non è casa sua, pensò. Sembra un magazzino... ma che cavolo... è il mio magazzino?
Ed era proprio così. Quella realizzazione le piombò addosso con più violenza dell’impatto del pavimento contro la sua testa. Adesso aveva praticamente l’assoluta certezza che sarebbe morta.
L’uomo la guardò quasi con affetto. Le sorrise di nuovo, e stavolta non c’era niente di bello in lui. Adesso sembrava un mostro.
Si allontanò e aprì una porta che emise un rumore meccanico; poi, senza degnarla di un altro sguardo, se la richiuse alle spalle.
Al buio, Claire chiuse gli occhi e gridò attraverso il bavaglio. La sua voce le vibrò nella testa con tale intensità che pensò avrebbe finito per spaccarle il cranio in due. Lanciò un grido muto fino a sentire il sapore del sangue in bocca, poi, poco dopo, l’oscurità scese nuovamente su di lei.
CAPITOLO UNO
La vita di Mackenzie White si era trasformata in qualcosa che non si sarebbe mai immaginata. Non le era mai importato di vestire alla moda o di essere popolare. Nonostante fosse notevolmente bella secondo la maggior parte delle persone, non era mai stata una di quelle che suo padre amava definire “ragazze spocchiose”.
Eppure, era proprio così che si sentiva negli ultimi tempi. Diede la colpa ai preparativi per il matrimonio, a tutti quegli assaggi di torte e alle riviste specializzate. Svolazzava da una potenziale location all’altra, ordinava inviti elaborati, non riusciva a decidersi sul menù: insomma, in tutta la sua vita non si era mai sentita tanto vicina allo stereotipo femminile.
Proprio per questo, provò una sensazione di tranquillità quando prese in mano la familiare nove millimetri. Era come ritrovare un vecchio amico che conosceva la sua vera natura. Mackenzie sorrise ed entrò nella nuova area di simulazione e tiro del Bureau. Basata sulla stessa idea della famigerata Hogan’s Alley – un centro di addestramento progettato per avere l’aspetto di un comune quartiere urbano e utilizzata dall’FBI fin dalla fine degli anni ’80 – la nuova arena vantava attrezzature all’avanguardia e nuovi ostacoli, che quasi nessuno tra gli agenti e i tirocinanti aveva ancora avuto modo di provare. Una delle novità era costituita da bersagli robotizzati dotati di luci a infrarossi che funzionavano come il gioco laser tag. Se Mackenzie non avesse abbattuto il bersaglio abbastanza velocemente, il laser l’avrebbe colpita, facendo scattare un allarme sul giubbotto che indossava.
Le tornò in mente che Ellington l’aveva definita la versione del Bureau di American Ninja Warrior. Per come la vedeva Mackenzie, non ci era andato poi così lontano. Alzò lo sguardo verso la luce rossa nell'angolo dell’ingresso, in attesa. Appena divenne verde, Mackenzie non perse un solo istante.
Entrò nell’arena e subito si mise a cercare bersagli. Il modo in cui quel luogo era stato allestito ricordava un videogioco, con i bersagli che spuntavano da ogni angolo, da dietro ostacoli e persino dal soffitto. Erano agganciati a bracci robotizzati che restavano invisibili e, a quanto aveva capito Mackenzie, non lanciavano mai i bersagli nella stessa sequenza. Questo significava che quella, che era per lei la seconda volta, sarebbe stata una sessione completamente nuova e diversa dalla precedente.
Aveva fatto appena due passi, quando un bersaglio spuntò fuori da dietro una cassa posizionata strategicamente. Mackenzie lo abbatté con un colpo della sua nove millimetri, poi immediatamente proseguì in cerca di altri. Stavolta ne spuntò uno dal soffitto, ed era piccolo come una palla da softball. Mackenzie piazzò un proiettile esattamente al centro, e nello stesso istante un altro bersaglio si avvicinò da destra. Abbattuto anche quello, proseguì nella stanza.
Dire che trovava tutto quello catartico era un eufemismo. Anche se non era infastidita dai preparativi per le nozze, né dalla direzione che stava prendendo la sua vita, trovava comunque liberatorio potersi muovere seguendo l’istinto in reazione a situazioni intense. Ormai erano quattro mesi che Mackenzie non prendeva parte ad un caso attivo; si era invece concentrata sulle ultime pratiche riguardanti il caso di suo padre e, naturalmente, sull’imminente matrimonio con Ellington.
In quello stesso periodo aveva anche ottenuto una specie di promozione. Era ancora sotto McGrath e doveva fare rapporto direttamente a lui, ma era anche diventata il suo agente di riferimento. Era anche parte del motivo per cui non lavorava attivamente su nessun caso da quasi quattro mesi: McGrath era ancora intento a decidere quale dovesse essere il suo ruolo tra gli agenti che erano sotto la sua ala.
Mackenzie proseguì la sessione di allenamento quasi come un automa programmato specificamente per quello. I suoi movimenti erano fluidi e rapidi, la mira infallibile, e correva da una parte all’altra senza esitazioni. Se non altro, quei quattro mesi in cui era rimasta bloccata alla scrivania l’avevano motivata ancora di più a intraprendere quel tipo di allenamenti. Una volta tornata sul campo, aveva tutta l’intenzione di essere un agente migliore di quella che era quando aveva risolto il caso di suo padre.
Giunse in fondo all’arena senza quasi accorgersi di aver finito. Sulla parete davanti a sé trovò una grande porta metallica. Quando oltrepassò la linea gialla sul pavimento, la porta si richiuse. Entrò quindi in uno stanzino dove si trovavano un tavolo e un monitor sulla parete. Sullo schermo c’erano i suoi risultati: diciassette bersagli abbattuti su diciassette. Nove colpi erano centri perfetti. La valutazione complessiva della sua sessione era ottantanove percento; il cinque percento in più rispetto alla volta precedente e il nove percento in più rispetto ai centodiciannove risultati ottenuti dagli altri agenti e tirocinanti.
Devo fare più pratica, pensò uscendo e dirigendosi verso lo spogliatoio. Prima di cambiarsi, prese il cellulare dallo zaino e vide un messaggio di Ellington.
La mamma ha appena chiamato. Arriverà un po’ in anticipo. Mi dispiace...
Mackenzie sospirò profondamente. Quel giorno, lei ed Ellington avevano in programma di andare a vedere una possibile sala per il ricevimento, e avevano deciso di invitare la madre di lui. Mackenzie l’avrebbe incontrata per la prima volta e si sentiva di nuovo una ragazzina del liceo che sperava di passare l’esame di una madre protettiva e amorevole.
Divertente, pensò Mackenzie. Eccezionalmente abile con la pistola, nervi d’acciaio... ma ho ancora paura di incontrare la mia futura suocera.
Tutte quelle questioni di vita casalinga iniziavano a darle sui nervi. Ciononostante, mentre si cambiava, avvertì un moto d’eccitazione. Stavano per vedere la sala che aveva scelto lei. Poi, fra sei settimane, si sarebbero sposati. Iniziava a sentirsi emozionata. Con un sorriso stampato in viso, si avviò verso casa.
***
A quanto pareva, Ellington era nervoso almeno quanto Mackenzie per quell’incontro. Entrando in casa, lo trovò in cucina che camminava avanti e indietro. Non sembrava esattamente preoccupato, ma i suoi movimenti tradivano una certa tensione nervosa.
“Sembri spaventato” commentò Mackenzie, accomodandosi su uno sgabello.
“Mi è appena venuto in mente che oggi sono due settimane esatte da quando le pratiche del mio divorzio sono state chiuse. Tu, io e praticamente ogni altro essere razionale sa che queste cose vanno per le lunghe per via della burocrazia. Ma mia madre... ti assicuro che non si farà sfuggire l’occasione di farmelo notare nel momento meno opportuno.”
“Sai, in teoria dovresti farmi venire voglia di incontrarla, non farmela passare” disse Mackenzie.
“Lo so. Di solito è una persona adorabile, ma a volte... insomma, quando vuole sa essere una stronza.”
Mackenzie si alzò e andò ad abbracciarlo. “È suo diritto in quanto donna. Ce l’abbiamo tutte, sai.”
“Certo che lo so” replicò lui con un sorrisino, quindi le diede un bacio sulle labbra. “Allora... ti senti pronta?”
“Vediamo: ho preso assassini, fatto inseguimenti al cardiopalma, guardato nella canna di innumerevoli pistole... No, direi che non sono pronta. Sono terrorizzata.”
“Allora saremo terrorizzati insieme.”