Блейк Пирс

Prima Che Aneli


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aveva già l’impressione di essere sposata con Ellington. Sapeva tutto di lui. Si era abituata al suo leggero russare e persino alla sua predilezione per la musica glam metal anni ’80. Inoltre, adorava le spruzzate di grigio che Ellington iniziava a mostrare sulle tempie.

      Insieme avevano passato l’inferno; i casi più difficili Mackenzie li aveva affrontati con lui al suo fianco. Ecco perché era certa che fossero più che pronti per il matrimonio e tutto quello che comportava, suocera lunatica inclusa.

      “Devo proprio chiedertelo” disse Mackenzie entrando in auto. “Ti senti più leggero adesso che il divorzio è chiuso e ti sei tolto quel peso dalle spalle?”

      “Assolutamente. Era un macigno, direi.”

      “Forse avremmo dovuto invitare la tua ex moglie al matrimonio? Credo che tua madre lo avrebbe apprezzato.”

      “Giuro che un giorno riderò alle tue battute. Davvero.”

      “Lo spero bene” ribatté Mackenzie. “Sarà una convivenza noiosa se non imparerai a riconoscere il mio genio comico.”

      Ellington allungò la mano per stringere quella di Mackenzie e le sorrise raggiante, come se fossero una coppia che si era appena innamorata. Poi mise in moto e si avviarono verso quello che Mackenzie era quasi sicura sarebbe stato il luogo in cui si sarebbero sposati. Entrambi erano talmente al settimo cielo che gli sembrava quasi di vedere il loro futuro oltre il parabrezza, luminoso e brillante.

      CAPITOLO DUE

      Quinn Tuck aveva un semplice sogno: vendere il contenuto di alcuni di quei magazzini a qualche stupido, come quelli che vedeva nel reality Affari al Buio. Quello che faceva gli fruttava guadagni niente male: ogni mese portava a casa quasi seimila dollari al mese per i depositi che gestiva. E, da quando aveva estinto il mutuo sulla sua casa l’anno prima, era riuscito a risparmiare quel tanto che bastava per portare sua moglie a Parigi – cosa di cui lei non aveva mai smesso di parlare da quando avevano iniziato a uscire insieme venticinque anni prima.

      A dirla tutta, gli sarebbe piaciuto vendere tutta la casa e traslocare altrove. Magari in Wyoming, uno stato che non interessava a molti, ma che era al tempo stesso molto bello e anche economico. Sua moglie però non ci sarebbe mai voluta andare, anche se sarebbe stata ben felice se lui avesse lasciato il giro d’affari dei magazzini.

      Innanzitutto, i clienti erano quasi tutti dei coglioni snob. Del resto, erano persone che avevano così tanti oggetti da non sapere dove metterli e dover prendere in affitto dello spazio extra. In secondo luogo, sua moglie non avrebbe certo sentito la mancanza di tutti quegli affittuari pignoli che lo disturbavano di sabato per le cose più stupide. Quella mattina a telefonargli era stata un’anziana donna che aveva in affitto due unità, sostenendo di aver avvertito un odore disgustoso provenire dal magazzino di fianco al suo.

      Solitamente, Quinn avrebbe detto che sarebbe andato a controllare, per poi invece non fare niente. Ma quella era una situazione complicata. Due anni prima aveva ricevuto una lamentela simile; aveva aspettato tre giorni prima di andare a controllare, per poi scoprire che un procione era riuscito a intrufolarsi in uno dei box senza più uscire. Quando Quinn l’aveva trovato, era gonfio e morto da almeno una settimana.

      Ecco perché, quel sabato mattina, si era recato al deposito dove si trovavano i magazzini, invece di restarsene a letto a cercare di convincere la moglie a fare sesso con lui con la promessa di quel viaggio a Parigi.

      Quinn scese dal suo camion e si avviò tra i magazzini. Ogni blocco conteneva sei unità, tutte delle stesse dimensioni. Raggiunto il terzo blocco, si accorse che la signora non aveva affatto esagerato. Percepiva già un lezzo terribile, a due box di distanza. Tirò fuori il mazzo di chiavi e cercò fino a trovare quella del numero 35.

      Giunto alla porta, aveva quasi paura di aprirla. La puzza era davvero tremenda. Cominciò a chiedersi se qualcuno ci avesse accidentalmente chiuso dentro il proprio cane, e nessuno l’avesse sentito abbaiare. Quell’immagine spazzò via dalla sua mente ogni residuo pensiero sui suoi programmi con la moglie.

      Con una smorfia di disgusto per il fetore, Quinn inserì la chiave nella serratura dell’unità 35. Una volta udito lo scatto, Quinn la tolse e sollevò la saracinesca.

      La puzza lo investì con tale violenza da farlo arretrare di qualche passo, minacciando di farlo vomitare. Quinn si coprì bocca e naso con una mano, quindi fece un passo in avanti.

      Ma non ne fece altri. Riusciva a vedere l’origine del fetore anche restando fuori dal container.

      C’era un cadavere per terra. Era vicino alla porta, a pochi passi dagli oggetti ammassati sul retro: scatoloni, armadietti, cassette del latte piene di oggetti di ogni genere.

      Il corpo apparteneva ad una ragazza che sembrava poco più che ventenne. Quinn non vedeva ferite evidenti su di lei, ma era sdraiata in una pozza di sangue, ormai secco sul pavimento di cemento.

      La ragazza era pallida come un lenzuolo e gli occhi erano spalancati e immobili. Per un istante, Quinn ebbe l’impressione che lo stesse fissando.

      Quinn sentì un grido risalirgli la gola. Allontanandosi prima di perdere il controllo, prese il cellulare dalla tasca e compose il 911. Non era nemmeno sicuro che fosse il numero giusto da chiamare per una situazione del genere, ma era l’unico che gli era venuto in mente.

      Quando l’operatore rispose, Quinn stava cercando di voltarsi dall’altra parte, ma era come se non riuscisse a distogliere lo sguardo da quella scena raccapricciante; così rimase con gli occhi fissi in quelli della ragazza morta.

      CAPITOLO TRE

      Né Mackenzie né Ellington volevano un matrimonio in grande. Ellington sosteneva di averne avuto abbastanza delle cerimonie sfarzose dopo il primo matrimonio, ma al tempo stesso voleva che Mackenzie avesse tutto ciò che desiderava. Mackenzie, dal canto suo, aveva gusti semplici. Le sarebbe bastata una chiesa. Niente campane, niente colombe, niente addobbi esagerati.

      Poi però, poco dopo il fidanzamento, il padre di Ellington li aveva chiamati per congratularsi e informarli che non avrebbe partecipato ad una cerimonia dove c’era anche la madre di Ellington. Il padre di Ellington non era mai stato una presenza costante nella sua vita, ma aveva voluto compensare la sua assenza alle nozze contattando un facoltoso amico a Washington e prenotando la Meridian House per la cerimonia. Era stato un regalo quasi osceno, ma aveva anche risolto la questione di quando sposarsi. La data era quattro mesi dopo il fidanzamento, grazie alla prenotazione del padre di Ellington per una data precisa: il 5 settembre.

      E, anche se mancavano ancora due mesi e mezzo, a Mackenzie sembrava più vicina che mai, lì nei giardini della Meridian House. La giornata era perfetta e il luogo era estremamente curato.

      Lo sposerei qui domani stesso, potendo, pensò. Di norma, Mackenzie non cedeva a quel genere di impulsi femminili, ma l’idea di sposarsi lì le sembrava entusiasmante e romantica. Adorava quei giardini e l’aria di antico che trasudava da essi.

      Mentre contemplava il posto, Ellington si avvicinò da dietro e le cinse la vita. “E così... è il posto giusto.”

      “Sì. Dobbiamo ringraziare tuo padre. Di nuovo. Oppure potremmo annullare l’invito a tua madre così potrebbe venire lui.”

      “Mi sa che è troppo tardi per quello” commentò Ellington. “Eccola, è lei quella che cammina sul marciapiede a destra.”

      Mackenzie guardò in quella direzione e vide una signora con cui gli anni erano stati particolarmente clementi. Indossava occhiali da sole neri che le davano un aspetto incredibilmente giovanile e anche sofisticato, al punto da risultare quasi irritante. Quando individuò Mackenzie ed Ellington, in piedi vicino ad un’aiuola fiorita, si sbracciò con un po’ troppo entusiasmo.

      “Sembra dolce” disse Mackenzie.

      “Come le caramelle. Ma se ne mangi troppe, ti fanno marcire i denti.” Mackenzie non riuscì a trattenere una risatina a quelle parole, mentre la madre di Ellington