che tu riesca ancora a dormire da sola.”
Mackenzie sorrise. Erano quasi tre mesi che dormivano nello stesso letto. “Parla per te” gli disse di rimando. “Io ho un addetto alla reception particolarmente anziano che mi ha spogliata con gli occhi prima.”
“Usate delle precauzioni” scherzò Ellington ridendo. “Buonanotte.”
Mackenzie chiuse la telefonata e si spogliò, restando in biancheria intima. Dormì sulle coperte, non fidandosi delle lenzuola di un motel di Belton. Credeva che le ci sarebbe voluta un’eternità a prendere sonno, ma prima che la solitudine e la tranquillità del paese fuori dalla finestra avessero modo di inquietarla, il sonno la agguantò, tirandola a sé.
***
Il suo orologio biologico la svegliò alle 5:45, ma lei lo ignorò e tornò a chiudere gli occhi. Non aveva un vero e proprio piano per quella giornata e comunque non ricordava l’ultima volta in cui si era concessa di indugiare a letto. Riuscì a riaddormentarsi e quando si destò nuovamente, erano le 7:28. Scese dal letto, si fece la doccia e si vestì. Alle otto era fuori dalla porta, in cerca di un caffè.
Si fermò in una piccola tavola calda, che era lì da che avesse memoria, e ordinò una tazza di caffè e dei salatini. Quando era alle superiori ci veniva con gli amici e rimanevano a sorseggiare frullati fino alla chiusura, alle nove di sera. Il locale adesso sembrava un tugurio, una macchia sui suoi ricordi dell’adolescenza.
Il caffè era buono e forte, proprio la carica che le serviva per avventurarsi lungo la Highway 6, diretta verso il luogo in cui aveva vissuto. Quando fu vicina, si accorse di ricordare senza difficoltà l’ultima volta che c’era stata. Era stato in compagnia di Kirk Peterson, l’investigatore privato e ora travagliato, che era incappato nel caso di suo padre quando Jimmy Scotts era stato ucciso.
Così, quando imboccò una laterale e iniziò a intravedersi la casa, non fu così sorpresa da quello che vide. Il tetto fatiscente sembrava sul punto di far crollare l’intera parete posteriore. Il giardino era invaso dalle erbacce e il porticato sembrava uscito dritto da un film horror.
Anche l’abitazione dei vicini era disabitata. Sembrava calzante che al di là delle case non ci fosse nulla tranne la foresta. Forse un giorno gli alberi sarebbero avanzati inghiottendo quelle vecchie abitazioni.
Non mi dispiacerebbe affatto, pensò Mackenzie.
Parcheggiò l’auto in quello che restava del vialetto d’ingresso e uscì. Con l’autostrada alle spalle e il bosco davanti a sé, quel luogo appariva silenzioso e sereno. Sentiva gli uccelli cinguettare tra gli alberi e il ticchettio del motore dell’auto che si raffreddava. Si incamminò fino alla porta d’ingresso. Nel vederla sfondata, sorrise. Ricordava di averla buttata giù quando era stata lì con Peterson. E ricordava anche il distorto senso di soddisfazione che ne aveva tratto.
All’interno tutto era esattamente come un anno prima. Non c’erano mobili, né oggetti personali. A parte le crepe nei muri, la muffa sulla moquette e l’odore di vecchio, non c’era niente lì per lei. Niente di nuovo.
Allora che accidenti ci faccio qui?
Conosceva la risposta. Era lì perché sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista. Dopo quel viaggio, non si sarebbe più concessa di farsi turbare da quella dannata casa. Né nei ricordi, né nei sogni e certamente non nel suo futuro.
Attraversò la casa lentamente, soffermandosi in ogni stanza. Il salotto dove lei e sua sorella Stephanie guardavano I Simpson e si erano appassionate quasi al limite della fissazione con X-Files. La cucina, dove la madre raramente aveva preparato piatti gustosi, se si escludevano le lasagne precotte di cui aveva trovato la ricetta su una confezione di pasta. La sua camera da letto, dove aveva baciato per la prima volta un ragazzo e dove per la prima volta si era lasciata spogliare da un ragazzo. Sulle pareti c’erano zone rettangolari dove la pittura non era scolorita come il resto del muro: era dove teneva i poster dei Nine Inch Nails, dei Nirvana e di PJ Harvey.
Il bagno, dove aveva pianto dopo aver avuto il suo primo ciclo. La piccola stanza adibita a lavanderia, dove aveva cercato di rimuovere l’odore di birra che si era rovesciata sulla camicetta dopo essere rincasata a tarda notte quando aveva quindici anni.
E poi, in fondo al corridoio, ecco la camera dei suoi genitori, la camera che popolava i suoi incubi da troppo tempo ormai. La porta era aperta, come un invito ad entrare. Mackenzie però non lo fece; rimase invece sulla soglia, con le braccia conserte, e guardò dentro. Con la luce del sole che filtrava attraverso le finestre crepate e impolverate, la stanza aveva quasi un che di etereo. Sarebbe stato facile lasciarsi suggestionare e credere che quel luogo fosse infestato, oppure maledetto. Ma Mackenzie sapeva che nessuna delle due cose era vera. In quella stanza era morto un uomo e il suo sangue era ancora sulla moquette; ma lo stesso era vero per innumerevoli altre camere nel mondo. E quella non era più speciale delle altre, quindi perché doveva avere tutto quel potere su di lei?
Credi pure di essere dura e tenace, disse una parte più saggia di lei. Ma se non risolvi il caso stavolta, questa camera ti perseguiterà per sempre. Faresti prima a richiuderti qui dentro e buttare la chiave.
Mackenzie si allontanò dalla porta per uscire di casa. Raggiunse il retro della casa, dove si trovava l’unico ingresso per lo scantinato. La porta era imbarcata e fu semplice aprirla. Appena mise piede all’interno per poco non gridò alla vista di un serpente verde che strisciava in un angolo. Rise tra sé poi entrò nell’ambiente polveroso. C’era un tanfo di terra vecchia e decomposizione. Era un luogo dimenticato con polvere e ragnatele ovunque. Polvere, muffa e marciume. Era difficile immaginare che quello era il posto in cui un tempo era eccitata di avventurarsi quando era tempo di tirare fuori la sua bici in primavera per fare dei giri in cortile. Era lì che suo padre teneva il tosaerba e il decespugliatore e sua madre i barattoli di vetro vuoti per conserve e marmellate.
Sopraffatta dai ricordi e dall’odore rancido, Mackenzie tornò fuori. Andò alla macchina, ma non riuscì ancora ad andarsene. Come uno spettro annoiato, tornò ancora una volta dentro casa. Ancora una volta percorse il corridoio che portava alla camera dei suoi genitori.
Mentre osservava la stanza, lentamente iniziò a capire la strada che avrebbe dovuto intraprendere. La sera prima ci era andata vicina, mentre raggiungeva Belton. Non c’era niente per lei in quella vecchia stanza vuota, se non macabri ricordi. Se voleva fare progressi concreti col caso, avrebbe dovuto mettersi a scavare un po’.
Sarebbe dovuta tornare a girare le strade di cui, da ragazzina, temeva non si sarebbe mai liberata.
***
Dopo aver ottenuto un posto nella Polizia di Stato, a ventitré anni, si era distaccata così tanto da Belton che col passare degli anni non ricordava quasi nulla del paesino. Non aveva idea di quali attività fossero ancora aperte. E non aveva idea di chi fosse morto e chi invece avesse raggiunto la vecchiaia.
Certo, mancava da Belton solo da poco più di dieci anni, ma si sa che in una piccola cittadina come quella bastava anche soltanto un anno a causare cambiamenti drastici, che si trattasse dell’economia, delle case o dei decessi. D’altra parte sapeva anche che le piccole città tendevano a mantenere le proprie radici ben salde nelle tradizioni. Per questo motivo Mackenzie si diresse in un negozio di attrezzature agricole al confine orientale della città.
Il negozio si chiamava Atkins Farm and Tractor Supply e un tempo, molto prima che Mackenzie nascesse, era stato il principale centro d’affari della città. O almeno così le aveva raccontato il padre. Adesso invece era l’ombra di se stesso. Quando Mackenzie era piccola, era lì che gli agricoltori potevano trovare semi di ogni sorta; come la maggior parte dei negozi del Nebraska, era specializzato in granoturco. Vendeva anche piccoli attrezzi agricoli, accessori e oggetti per la casa.
Quando entrò nel negozio, quindici minuti dopo essersi allontanata dalla porta della camera in cui era morto suo padre, Mackenzie si sentì quasi triste per i proprietari. L’intera parte posteriore del negozio, dove un tempo si trovavano le attrezzature e i semi, era stata smantellata. Adesso lì c’era solo un vecchio tavolo da biliardo. Il negozio offriva ancora semi, ma