La bocca di Jenn si spalancò leggermente.
Sapeva che “balena” nello slang del personale ferroviario, indicava un macchinista.
Ma che cosa diavolo stava succedendo qui?
“L’avete messo in prigione?” lei chiese.
Powell disse: “Non abbiamo avuto molta scelta.”
Il capotreno più anziano aggiunse: “Quel pover’uomo, lui non parlerà con nessuno. Le sole parole che ha detto da quando è successo sono: “Rinchiudetemi.” Ha continuato a ripeterlo e ripeterlo.”
Il capo della polizia locale si giustificò: “Ed è per questo che l’abbiamo rinchiuso. Sembrava la scelta migliore al momento.”
Jenn era sul punto di esplodere per la rabbia.
Chiese: “Avete richiesto la presenza di uno psicologo per farlo parlare con lui?”
Il vice capo della ferrovia disse: “Abbiamo chiesto l’intervento di uno psicologo dell’azienda da Chicago. Sono le regole dell’azienda. Non sappiamo quando arriverà.”
Riley sembrava davvero stupita ora.
“Senza dubbio, il macchinista non dovrebbe sentirsi in colpa per l’accaduto” osservò.
L’assistente sembrò sorpreso.
“Certo” disse. “Non è stata colpa sua, ma non riesce a farne a meno. Era il responsabile ai comandi. E’ quello che si è sentito più inutile. Lo sta logorando. Odio che sia rinchiuso in quel modo. Ho provato davvero a parlargli, ma non mi guarda nemmeno negli occhi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare qualcosa al riguardo. Non dovremmo aspettare immobili che un dannato strizzacervelli della ferrovia arrivi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare subito qualcosa. Una buona balena come lui merita di meglio.”
La rabbia di Jenn si acuì.
Si rivolse a Cullen: “Beh, non potete lasciarlo in quella cella da solo. Non m’importa se insiste a restare da solo. Non può fargli bene. Qualcuno deve andare da lui.”
Tutti i presenti la guardarono.
Jenn esitò, poi aggiunse: “Portatemi alla cella. Voglio vederlo.”
Riley la guardò e disse: “Jenn, non credo che sia una buona idea.”
Ma Jenn la ignorò.
“Come si chiama?” chiese ai due ferrovieri.
Boynton disse: “Brock Putnam.”
“Portatemi da lui” ripetè. “Subito.”
Il Capo Powell guidò Jenn fuori dalla sala degli interrogatori e proseguì lungo il corridoio. Mentre proseguivano, Jenn si chiese se Riley potesse avere ragione.
Forse questa non è una buona idea.
Dopotutto, sapeva che l’empatia non era tra le sue migliori qualità di agente. Tendeva ad essere ottusa e schietta, anche quando era necessario un tocco più morbido. Di certo, non era dotata della capacità di Riley di dimostrarsi compassionevole nei momenti appropriati. E, se la stessa Riley non si sentiva all’altezza di quel compito, perché Jenn credeva di doversi assumere tale responsabilità?
Ma non riusciva a fare a meno di pensare …
Qualcuno deve parlare con lui.
Powell la guidò attraverso le file di celle, tutte con porte solide e minuscole finestre.
Infine le chiese: “Vuole che venga dentro con lei?”
“No” Jenn rispose. “Preferisco farlo da sola.”
Powell aprì la porta di una delle celle, e Jenn entrò.
L’uomo lasciò la porta aperta ma si allontanò.
Un individuo di poco più di trent’anni era seduto ad un’estremità della branda, lo sguardo fisso il muro. Indossava una t-shirt e un cappellino da baseball, con la visiera sulla nuca.
Restando sulla porta, Jenn esordì dolcemente …
“Signor Putnam? Brock? Mi chiamo Jenn Roston, e sono dell’FBI. Sono terribilmente dispiaciuta per quanto è successo. Mi chiedevo soltanto se volesse … parlare.”
Putnam non mostrò alcun segno di averla ascoltata.
Sembrava particolarmente determinato a non entrare in contatto visivo con lei, o con chiunque altro, Jenn ne era sicura.
E, dalla ricerca che lei aveva condotto, sapeva esattamente il motivo per cui l’uomo si sentiva in quel modo.
Lei deglutì, mentre un nodo d’ansia le colmava la gola.
Sarebbe stato molto più difficile di quanto aveva immaginato.
CAPITOLO SETTE
Riley continuò a fissare la porta; si sentiva a disagio, da quando Jenn aveva lasciato la stanza. Bill stava interrogando il capotreno e il suo assistente, ma lei era solo preoccupata di come Jenn si stesse occupando del macchinista.
Era certa che l’uomo stesse probabilmente vivendo un momento terribile. Non le piaceva l’idea di rimanere in attesa di uno psicologo ferroviario, probabilmente un leccapiedi ufficiale che si sarebbe preoccupato più del benessere dell’azienda che di quello del macchinista. Ma che altro potevano fare?
E la giovane agente rischiava di peggiorare la situazione ... Riley non aveva mai notato alcun segnale di particolari doti di Jenn nella gestione delle persone.
Se Jenn avesse peggiorato la situazione dell’uomo, questo avrebbe potuto influire sul suo stesso morale? Aveva già preso in considerazione di lasciare l’FBI, per via delle pressioni della sua ex-madre adottiva, un’incallita criminale.
Nonostante le preoccupazioni, Riley riuscì ad ascoltare ciò che stavano dicendo nella stanza.
Bill disse a Stine: “Lei ha detto di aver visto questo genere di cosa prima. Intende omicidi sui binari ferroviari?”
“Oh, no” Stine rispose. “Omicidi simili sono eventi davvero rari. Ma persone che vengono uccise sui binari ... è molto più comune di quanto possa immaginare. Ci sono diverse centinaia di vittime all’anno, alcune delle quali sono semplicemente stupidi in cerca di brividi, ma molti sono suicidi. Nell’ambiente, li chiamiamo “oltrepassanti””.
L’uomo più giovane si agitò nervosamente nella sedia e disse: “Di certo, non voglio vedere nulla del genere, di nuovo. Ma da quello che Arlo mi dice … beh, immagino che faccia parte del lavoro.”
Bill disse al capotreno: “Di certo non c’era nulla che il macchinista potesse fare?”.
Arlo Stine scosse la testa.
“Assolutamente. Aveva già rallentato il treno fino a trentacinque miglia orarie per la curva imminente. Nonostante questo, non c’era modo di fermare una locomotiva diesel, con dieci vagoni merci dietro, in tempo per salvare la donna. Non si possono violare le leggi della fisica e fermare diverse migliaia di tonnellate di acciaio in movimento su due piedi. Lasci che glielo spieghi …”
L’uomo cominciò a parlare della meccanica della frenata. Era un discorso altamente tecnico, e non era di alcun interesse o utilità per Riley o Bill. Ma Riley sapeva che sarebbe stato meglio lasciare che Stine continuasse a parlare, per il suo stesso bene e non certo per quello di altri.
Nel frattempo, Riley si ritrovò ancora a guardare verso la porta, chiedendosi come stesse procedendo l’interrogatorio del macchinista.
*
Jenn si era fermata accanto al letto, vicino alla schiena di Brock Putnam, che osservava il muro in silenzio.
In quel momento, la donna si rese conto di non avere alcuna idea di che cosa dire o fare.
Ma, dalla ricerca che aveva condotto