e un paio di scarpe” disse alla figlia. “Ma non lasciare questa stanza — non ancora.”
Riley tornò nella propria camera e prese il telefono dal comodino. Digitò il numero della linea diretta dell’Unità d’Analisi Comportamentale. Non appena sentì una voce in linea, sibilò: “Sono l’Agente Speciale Riley Paige. Qualcuno si è introdotto in casa mia. Potrebbe essere ancora qui. Ho bisogno di supporto prima possibile.” Pensò per un secondo, poi aggiunse: “E mandate la scientifica.”
“Provvediamo immediatamente” fu la secca risposta.
Riley interruppe la telefonata, e uscì di nuovo nel corridoio. Ad eccezione delle due camere da letto e del corridoio, la casa era ancora buia. Peterson poteva essere ovunque, nascosto, in attesa di attaccare. Quell’uomo l’aveva colta di sorpresa una volta ed era quasi morta per mano sua.
Riley iniziò ad ispezionare la casa con efficienza professionale: man mano che avanzava, accendeva le luci, tenendo sempre la pistola pronta a sparare, puntava la torcia in ogni angolo buio ed ispezionava ogni mobile.
Infine, alzò lo sguardo al soffitto del corridoio.
La botola sopra di lei portava alla soffitta ma occorreva abbassare la scala che conduceva al suo interno. Avrebbe osato salire lassù a dare un’occhiata?
In quel momento, Riley sentì le sirene delle auto della polizia e sospirò di sollievo.
L’Agenzia doveva aver allertato la polizia locale, il quartier generale era a più di un’ora di distanza da casa sua.
Andò in bagno, indossò un paio di scarpe e la vestaglia, poi tornò in camera di April.
“Vieni con me. E stammi vicina” le raccomandò
Sempre con la pistola in pugno, Riley passò il braccio sinistro intorno alle spalle della figlia. La povera ragazza tremava per la paura.
Riley la condusse alla porta d’ingresso, e l’aprì nel momento in cui numerosi agenti di polizia, in uniforme, si stavano avvicinando al marciapiede.
Il comandante entrò in casa, con la pistola in mano. “Qual è il problema?” chiese.
“C’era qualcuno in casa” Riley rispose. “Potrebbe essere ancora dentro.”
Il poliziotto guardò la pistola che lei aveva in mano, con imbarazzo.
“Sono dell’FBI” disse Riley, rispondendo alla domanda che ancora non era stata formulata. “Gli agenti del BAU saranno qui presto. Ho già perquisito la casa, tranne la soffitta.” Aggiunse, facendo un cenno alle sue spalle. “C’è una botola nel soffitto, lì nel corridoio.”
Il poliziotto chiamò: “Bowers, Wright, venite qui e andate a controllare la soffitta. Gli altri cerchino fuori, sul retro e davanti alla casa.”
Bowers e Wright andarono dritti nel corridoio e tirarono giù la scala. Entrambi impugnavano le pistole. Uno aspettò in fondo alla scala, mentre l’altro salì in alto e accese la luce. In pochi momenti, l’uomo sparì nella soffitta.
Presto, si sentì gridare: “Non c’è nessuno qui.”
Riley avrebbe voluto sentirsi sollevata alla notizia. Ma la verità era che aveva sperato con tutta se stessa che Peterson fosse stato lì. Avrebbero potuto arrestarlo lì, immediatamente — o, meglio ancora, ucciderlo. Dubitava molto che si trovasse in cortile o sul retro.
“Ha una cantina?” chiese il capo.
“No, solo un tunnel di servizio” Riley rispose.
Il poliziotto chiamò fuori: “Benson, Pratt, controllate sotto la casa.”
April, spaventatissima, era ancora aggrappata alla madre.
“Che cosa succede, mamma?” chiese.
Riley esitò. Per anni, aveva evitato di raccontare ad April il brutto del suo lavoro.
Ma di recente si era resa conto di essere diventata iperprotettiva. Perciò, aveva raccontato alla figlia di come fosse stata imprigionata da Peterson e delle sofferenze che aveva subito — o, almeno, le aveva confidato quello che aveva pensato April fosse in grado di gestire.
Le aveva anche rivelato che dubitava della morte di quell’uomo.
Ma che cosa avrebbe dovuto dire ad April ora? Non lo sapeva.
Prima che Riley riuscisse a formulare una risposta, April disse: “E’ Peterson, non è vero?”
Riley strinse forte sua figlia, provando a nascondere il tremore che avvolgeva tutto il corpo della ragazza.
“Lui è ancora vivo.”
Capitolo 2
Un’ora dopo, la casa di Riley era ancora affollata da persone in divisa o munite dei cartellini identificativi dell’FBI. Gli agenti federali, armati di tutto punto, e gli uomini della scientifica stavano lavorando gomito a gomito con la polizia.
“Raccogliete quei ciottoli sul letto” Craig Huang ordinò. “Dovranno essere esaminati per verificare se conservino traccia di impronte o del DNA.”
In un primo momento Riley era rimasta delusa dal fatto che fosse stato Huang ad essere in servizio. Il collega era molto giovane e l’unica esperienza di lavoro con lui non era andata bene.
Ma dovette ricredersi, constatando che stava impartendo ordini ragionevoli e organizzando l’analisi della scena del crimine in modo efficace. Huang stava migliorando nel suo lavoro.
La scientifica era già al lavoro, perlustrando ogni centimetro della casa e passando il pennello per raccogliere le impronte. Gli altri agenti erano spariti nel buio sul retro della casa, nel tentativo di individuare tracce di pneumatici o orme dirette verso il bosco.
Una volta che tutto sembrò avviato, Huang condusse Riley lontano dagli altri, in cucina. Si sedettero a tavola ed April si unì a loro, ancora molto scossa.
“Allora, che cosa ne pensi?” Huang chiese a Riley. “Abbiamo qualche possibilità di trovarlo?”
Riley sospirò scoraggiata.
“No, temo che se ne sia andato da un bel po’. Deve essere stato qui questa sera, prima che mia figlia e io tornassimo a casa.”
Proprio allora, un’agente entrò dal cortile sul retro della casa. La donna indossava una giacca Kevlar, aveva carnagione, capelli e occhi scuri e sembrava ancora più giovane di Huang.
“Agent Huang, ho trovato qualcosa” disse rispettosamente. “Graffi sulla serratura della porta sul retro. Sembra che qualcuno l’abbia forzata.”
“Ottimo lavoro, Vargas” Huang commentò. “Ora sappiamo come ha fatto ad entrare. Potresti restare con Riley e sua figlia per un po’?”
Il volto della giovane s’illuminò per la gioia.
“Ne sarei felice” rispose immediatamente.
Si sedette al tavolo, e Huang lasciò la cucina per unirsi agli altri.
“Agente Paige, sono l’Agente María de la Luz Vargas Ramírez.” Un grande sorriso le comparve sul volto. “Lo so, è uno scioglilingua. E’ un’usanza messicana. Mi chiamano Lucy Vargas.”
“Sono felice che tu sia qui, Agente Vargas” Riley disse.
“Solo Lucy, per favore.”
La giovane donna restò in silenzio per un istante, continuando a guardare Riley. Infine, non riuscì a trattenersi: “Agente Paige, spero di non sembrare fuori luogo nel dirle questo, ma … è un vero onore incontrarla. Seguo il suo lavoro sin da quando ho iniziato a studiare. Tutto quello che ha fatto finora è davvero grandioso.”
“Grazie” Riley disse.
Lucy sorrise con ammirazione. “Voglio dire, il modo in cui ha chiuso il caso Peterson— tutta la storia è strepitosa.”
Riley