Морган Райс

La Legge Delle Regine


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squarciò l’aria e improvvisamente gli occhi del supervisore si aprirono di scatto e la sua stretta si sciolse attorno a Dario. Dario, ansimante e confuso, sollevò lo sguardo chiedendosi perché l’avesse lasciato andare. Poi vide Loti dietro all’uomo che gli teneva le catene strette attorno al collo stringendo con tutte le sue forze.

      Dario barcollò indietro, cercando di riprendere fiato e guardò il supervisore barcollare per poi portarsi le mani dietro le spalle, afferrare Loti e scaraventarla in avanti. Loti atterrò sulla schiena con un colpo violento a terra, gridando.

      Il supervisore fece un passo avanti, sollevò una gamba intenzionato a colpirla in faccia con lo stivale. Dario vide che stava per spaccarle la testa. Il supervisore era ora a più di tre metri da lui, troppo distante perché Dario potesse raggiungerlo in tempo.

      “NO!” gridò Dario.

      Dario rifletté velocemente: prese la spade, fece un passo avanti e con un veloce movimento la lanciò.

      La spada volò in aria, roteando su se stesse, e Dario la fissò rapito mentre la punta si conficcava nell’armatura del supervisore e lo trafiggeva al cuore.

      L’uomo strabuzzò nuovamente gli occhi e Dario lo vide barcollare e cadere in ginocchio, poi con la faccia a terra.

      Loti si rimise velocemente in piedi e Dario corse al suo fianco. Le mise un braccio rassicurante attorno alle spalle, riconoscente a lei e sollevato che stesse bene.

      Improvvisamente un fischio secco tagliò l’aria. Dario si voltò e vide il supervisore a terra portarsi una mano alla bocca e fischiare di nuovo, un’ultima volta, prima di morire.

      Un ruggito terribile infranse il silenzio e il terreno tremò.

      Dario guardò oltre e fu scioccato dal vedere la zerta che improvvisamente si lanciava contro di loro. Correva infuriata, abbassando le corna affilate. Dario e Loti si scambiarono un’occhiata, sapendo che non avevano nessun luogo dove fuggire. Nel giro di pochi istanti sarebbero morti entrambi.

      Dario su guardò attorno riflettendo velocemente e vide accanto a loro una ripida salita piena di rocce e massi sul versante della montagna. Dario sollevò una mano con il palmo ben aperto e mise l’altro braccio attorno a Loti tenendola stretta. Non voleva usare i suoi poteri, ma sapeva che ora non aveva altra scelta se voleva vivere.

      Sentì un profondo calore scorrergli dentro, un potere che poteva a malapena controllare, e guardò la luce che scaturiva dalla mano aperta e si dirigeva verso il versante del monte. Si udì un rombo inizialmente graduale, poi sempre più forte e Dario guardò i massi che iniziavano a cadere lungo la discesa sollevando polvere.

      Una valanga di massi si abbatté sulla zerta ricoprendola prima che potesse raggiungerli. Si sollevò un enorme nuvolone di polvere, si udì un rumore tremendo e poi, alla fine, tutti fu di nuovo silenzioso.

      Dario rimase fermo lì, fermo, mentre solo il silenzio e la polvere vorticavano al sole, capendo a malapena ciò che aveva appena fatto. Si voltò e vide Loti che lo guardava, vide un’espressione di orrore sul suo volto e capì che ogni cosa era cambiata. Aveva svelato il suo segreto e ora non c’era modo di tornare indietro.

      CAPITOLO SETTE

      Thor sedeva dritto sul bordo della piccolo barca con le gambe incrociate, la mani appoggiate sulle cosce, la schiena rivolta agli altri fissando quel freddo mare crudele. Aveva gli occhi rossi per il pianto e non voleva che gli altri lo vedessero in quello stato. Aveva esaurito le lacrime da tempo, ma i suoi occhi erano ancora arrossati e ora guardava verso l’orizzonte, frastornato, interrogandosi sui misteri della vita.

      Come poteva aver ricevuto un figlio solo per poi esserne privato? Come poteva scomparire così qualcuno che amava così tanto, portato via senza avviso e senza possibilità di ritorno?

      Thor aveva la sensazione che la vita fosse troppo crudele e spietata. Dov’era la giustizia in tutto questo? Perché suo figlio non poteva tornare da lui?

      Thor avrebbe dato qualsiasi cosa – qualsiasi cosa – avrebbe camminato attraverso il fuoco, avrebbe affrontato un milione di morti per riavere Guwayne indietro.

      Chiuse gli occhi e scosse la testa cercando di cancellare l’immagine di quel vulcano in fiamme, di quella culla vuota, del fuoco. Cercò di annullare l’idea di suo figlio morto così dolorosamente. Il suo cuore era infiammato di rabbia ma soprattutto di dolore. E di vergogna per non essere riuscito a raggiungerlo un po’ prima.

      Provava anche un profondo vuoto allo stomaco quando pensava al suo incontro con Gwendolyn per darle la notizia. Sicuramente non lo avrebbe più guardato in faccia. E non sarebbe mai più stata la stessa persona. Era come se tutta la vita di Thor gli fosse stata strappata via. Non sapeva come ricostruirla, come rimettere insieme i pezzi. Come si poteva, si chiedeva, trovare un altro motivo per vivere?

      Thor udì dei passi e sentì il peso di un corpo accanto a sé mentre la barca si spostava scricchiolando. Sollevò lo sguardo e fu sorpreso di vedere Conven che veniva a sedersi vicino a lui, guardando il mare. A Thor sembrava di non parlare con Conven da secoli, fin dalla morte del suo fratello gemello. Era contento di vederlo lì. Mentre lo guardava, percependo il dolore che traspariva dal suo volto, per la prima volta lo capì. Capì veramente.

      Conven non disse una parola. Non ce n’era bisogno. La sua presenza era sufficiente. Rimase seduto vicino a lui, due fratelli accomunati dal dolore.

      Rimasero entrambi seduti in silenzio a lungo, nessun rumore a disturbarli se non il soffio del vento e lo sciabordio delle onde che lambivano delicatamente la barca, quella barchetta che li stava trasportando nel mezzo del mare sconfinato nella loro impresa per trovare e salvare Guwayne che era stato portato via a tutti loro.

      Alla fine Conven prese la parola.

      “Non passa giorno che io non pensi a Conval,” disse con voce triste.

      Rimasero ancora a lungo in silenzio. Thor avrebbe voluto rispondere, ma non poteva, troppo commosso per parlare.

      Alla fine Conven aggiunse: “Soffro per te e Guwayne. Avrei voluto vederlo diventare un grande guerriero, come suo padre. So che lo sarebbe stato. La vita può essere tragica e crudele. Può dare solo per poi riprendere. Mi piacerebbe poterti dire che mi sono ripreso dal mio dolore, ma non è così.”

      Thor lo guardò. La brutale onestà di Conven in qualche modo gli dava un senso di pace.

      “Cosa ti tiene in vita?” gli chiese.

      Conven fissò l’acqua a lungo, poi sospirò.

      “Penso sia quello che Conval avrebbe voluto,” disse. “Avrebbe voluto che andassi avanti. E quindi vado avanti. Lo faccio per lui. Non per me. A volte viviamo la vita di altri. A volte non ci preoccupiamo abbastanza di vivere per noi stessi, quindi viviamo per loro. Ma mi sto rendendo conto che a volte potrebbe bastare.”

      Thor pensò a Guwayne, ora morto, e si chiese cosa avrebbe voluto suo figlio. Ovviamente avrebbe voluto che Thorgrin vivesse, si prendesse cura di sua madre, Gwendolyn. Seguendo la logica Thor sapeva che era così. Ma nel suo cuore questo era un concetto difficile da cogliere.

      Conven si schiarì la gola.

      “Viviamo per i nostri genitori,” disse. “Per i nostri fratelli. Per le nostre mogli, per figli e figlie. Viviamo per tutti gli altri. E a volte, quando la vita ti abate così tanto che non vuoi andare avanti, questo ti deve bastare.”

      “Non sono d’accordo,” disse una voce.

      Thor si voltò e vide Mati che si avvicinava venendosi a sedere accanto a loro. Mati guardò verso il mare, serio e fiero.

      “Penso ci sia un’altra cosa per cui viviamo,” aggiunse.

      “E cosa sarebbe?” chiese Conven.

      “La fede,” sospirò Mati. “Il mio popolo, gli uomini delle Isole Superiori, pregano quattro dei delle coste rocciose. Pregano gli dei dell’acqua, del vento, del cielo e delle rocce. Questi dei non hanno mai ascoltato