Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco


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a sbattere gli zoccoli al suolo muovendo freneticamente la coda.

      Buttò fuori tutta l'aria presente nei polmoni e cercò inutilmente coraggio chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, afferrò le fragili redini in cuoio muovendole poi timidamente.

      Quel gesto, tanto nevrotico quanto inutile, non provocò nessun effetto. L'agitazione aumentò.

      «Dai ragazzi, partite…» balbettò non sapendo più che fare.

      Intorno a lui, tutto continuava come se nulla fosse. Miriadi di individui passavano da ogni parte schivando il carro senza neanche degnarlo di uno sguardo, quasi fosse invisibile.

      «Spostati da lì!» ripeté con decisione la voce alle sue spalle.

      Non poteva arrendersi, doveva trovare una soluzione.

      «Ce la posso fare!», così dicendo scosse nuovamente le redini con forza. Il risultato però fu il medesimo.

      I due ronzini, per quanto agitati, non si mossero, rimanendo fermi davanti a lui nel duro sterrato.

      «Ma è possibile che non vi accorgiate del pericolo, stupide bestie?», perse il controllo il giovane, urlando a perdifiato.

      Improvvisamente, quasi avessero sentito e capito le sue parole, i due cavalli scattarono velocemente in avanti, rompendo così l’imbragatura che li teneva legati al carro per poi scappare veloci tra la folla, creando un leggero scompiglio.

      Il piccolo e fragile calesse cadde al suolo vittima della gravità, facendo così capitolare Jack che cercando di atterrare in piedi, si slogò la caviglia destra rovinando poi con il viso sullo sterrato.

      Stordito e paralizzato dalla paura, riuscì a vedere solo più una sagoma scura sormontarlo.

      Era spacciato, ancora un passo e l’enorme zampa del rinoceronte lo avrebbe spappolato al suolo.

      Boris urlava, imprigionato nella tasca del mantello.

      Ma all'ultimo secondo, qualcuno afferrò con forza il giovane sollevandolo.

      Intorno a lui, tutto si offuscò. Gli occhi, ricoperti dalla terra filtrata nella rete del cappuccio, rossi e quasi del tutto chiusi.

      Dopo alcuni istanti, quando riuscì nuovamente a focalizzare le immagini, vide l'immensa zampa destra di uno dei due rinoceronti calpestare il loro piccolo carro, distruggendolo completamente.

      Dotate di una scarsa vista, le creature non si accorsero minimamente del minuscolo ostacolo, continuando la loro lunga e lenta marcia.

      Così com'erano apparsi, svanirono un centinaio di metri più avanti, svoltando in un altro grosso viale. Alle loro spalle, solo più i resti sbriciolati del calesse e delle loro ormai inutilizzabili provviste.

      La folla, scostatasi leggermente, si rituffò nella strada ignorando l'accaduto come se nulla fosse. Quelle, le dure regole del Gran Mercato. In quel luogo corrotto, ognuno pensava a se stesso e per i visitatori disattenti, non c'erano seconde possibilità.

      Nessuno, a parte il loro misterioso salvatore, si era fermato anche solo un istante per assistere o per capire quel che era successo.

      Jack, ancora confuso e seduto al suolo, provò a guardarsi intorno. Non si era accorto di nulla.

      L’urlo ai cavalli, la caduta, il dolore alla caviglia e poi quelle grosse mani che con forza lo avevano afferrato salvandogli la vita da una morte certa.

      Nel ripensare alle serie di raccomandazioni del suo maestro, si sentì mancare.

      Aveva disubbidito e anche se tutt'intorno apparentemente nessuno gli aveva prestato attenzione, il suo salvatore lo aveva fatto.

      Agitato, si voltò velocemente con la paura che qualcuno lo avesse scoperto. Si portò frenetico le mani alla testa per accertarsi che il cappuccio non si fosse sfilato.

      Con suo grande sollievo, la dura stoffa non si era mossa nella concitazione proteggendo così la sua identità.

      «Hai rischiato grosso straniero!».

      Quelle parole, un colpo al cuore.

      Terribilmente spaventato, Jack si voltò lentamente.

      Pochi passi più indietro, un enorme individuo dalla folta barba nera lo scrutava perplesso. Era il mercante che aveva dato vita alla lunga discussione con Boris e, dall'alto dei suoi due metri d'altezza, gli si avvicinò incuriosito.

      «Non sei di queste parti, vero?».

      Cosa poteva fare?

      Il non rispondere non aveva provocato l'effetto sperato. Al posto di allontanare il suo interlocutore, lo aveva avvicinato ancor di più.

      «Grazie…» balbettò chinando il capo con la paura di essere scoperto.

      «Io sono Gult, è un piacere», continuò il mercante.

      Il cappuccio che tanto lo soffocava e che aveva desiderato costantemente di strapparsi di dosso, improvvisamente sembrò trasparente.

      Paralizzato, Jack si limitò in un lieve movimento del capo.

      «Sei stato fortunato, in questa città nessuno dà retta a nessuno, a meno che tu non abbia qualcosa da vendere o sia intenzionato ad acquistare. In caso contrario, puoi anche morire nel bel mezzo della via senza che nessuno si fermi a soccorrerti.» gli urlò ridendo l’incrociato, alzando le spalle.

      «Grazie mille…» replicò il ragazzo non trovando altro da dire.

      «Siamo di poche parole, eh?».

      Jack provò ad alzarsi. Doveva spostarsi, andarsene lontano dalla curiosità dell’individuo. Era pericoloso.

      Non ebbe neanche il tempo di tirarsi su completamente che un forte dolore alla caviglia destra lo fece barcollare. Prima che potesse capitolare nuovamente al suolo, il mercante lo afferrò con destrezza.

      «Appoggiati a me, straniero, qui intralci il passaggio.»

      «Potrai stare dietro la mia bancarella fin quando non riuscirai a camminare meglio», concluse trascinandoselo e sorreggendolo da sotto le braccia.

      Cosa voleva da lui quel possente sconosciuto?

      Tutta quella gentilezza, fin troppo assurda per un luogo aspro come quello.

      Stretto nelle possenti e muscolose braccia, Jack non riuscì a muoversi. Impotente, si ritrovò in pochi secondi dietro al grosso banco seduto su uno sgabello intagliato nel legno.

      Riparata da un rudimentale gazebo a punta ricoperto da enormi teli dagli scuri colori, la bancarella presentò una protezione inaspettata e gradevole dalla confusione della strada.

      Seduto, lo guardò attentamente da sotto la rete del cappuccio. Con due spalle possenti e un fisico muscoloso, gli sembrò un vero e proprio guerriero e i lunghi e lisci capelli brizzolati, stretti in una coda spartana, ne marcarono ancor di più i duri tratti.

      Le basette, lunghe fino alle spalle, gli accarezzavano il collo, sul quale, minacciose, alcune vene pulsavano così energicamente che gli fu possibile vederle a occhio nudo.

      Vestito con un semplice pantalone nero e una maglietta bianca dalle maniche strappate, l’individuo emanava forza da ogni poro. I grossi stivali di cuoio e le lunghe collane arricchirono di dettagli la figura a cui Jack lo aveva associato.

      Ma a renderlo decisamente più minaccioso erano i simboli che gli ricoprivano la fronte e i polsi.

      Per quanto affascinanti, erano l’etichetta con la quale Gult aveva avuto a che fare fin dalla nascita. Ovunque andasse, ancor prima di presentarsi o di conoscere qualcuno, le sue origini lo anticipavano creando così negli altri molteplici e svariate reazioni.

      Nel ripensare al loro significato, il terrestre s'incupì provando a immaginare le difficoltà provate dal suo salvatore.

      La vita di un incrociato umano doveva essere tutt’altro che facile.

      Vendeva mantelli, numerosissimi mantelli dalle diverse tonalità. Alcuni erano rivestiti da splendide pellicce mentre altri, così fini da sembrare quasi finti.

      Jack iniziò a far scorrere lo sguardo da un angolo all’altro della bancarella rapito