Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco


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origini e vivere quasi nell’ombra e nella riservatezza. Odiava quei dogmi ma non poteva far altro se non distaccarsi civilmente seguendo l’onda delle sue sorelle che avevano deciso, per svariati motivi, di abbracciare il nuovo stile di vita straniero.

      Il carro svoltò per l’ennesima volta in una piccola via dagli alti palazzi, ritrovandosi così in un’enorme piazza circolare.

      Perso nei suoi pensieri, Jack non si era accorto del lungo tragitto e solo il forte tremore, provocato dallo scontro della ruota con una pietra, lo riportò alla realtà.

      «Siamo nel secondo distretto, il centro della città delle ninfe» gli spiegò Boris appollaiato comodamente tra le provviste alle sue spalle.

      Mostrarsi sapiente e pronto a ogni spiegazione, un piacere irresistibile per il suo sconfinato ego.

      Anche la grande piazza, come tutte le altre, nel centro presentava una fontana e inevitabilmente, Jack ne rimase incantato.

      Quattro ninfe, scolpite nella roccia e alte una decina di metri, poggiavano le nude schiene su un alto albero marmoreo dalle sfumature verdastre.

      Ogni singolo dettaglio, notevolmente minuzioso, la rendevano la più bella fontana mai vista.

      Con le braccia sollevate verso il cielo, le ninfe reggevano grosse ampolle dalle quali, brillante e cristallina, l’acqua sgorgava allegra. I giochi di luci e di ombre che si creavano sotto i raggi del sole, frutto di uno studio senza eguali.

      «Alza lo sguardo giovanotto!» gli suggerì Boris visibilmente compiaciuto.

      Jack ubbidì e nei suoi occhi, lo stupore crebbe togliendogli il fiato.

      Oltre la piazza, dopo una fila di piccoli palazzi, in lontananza imponenti torri azzurre alte un centinaio di metri si ergevano dominando la città e per quanto stupenda, la fontana passò subito nel dimenticatoio.

      Le aveva viste varcati i cancelli nel primo distretto ma nel ritrovarcisi così vicino, si sentì minuscolo in confronto, quasi indifeso e fuori posto.

      «Cristallo azzurro di Abram.» spiegò il folletto fiero più che mai.

      Santos, fino a quel momento rimasto in silenzio, sorrise dando un leggero colpo di redini ai due piccoli cavalli. Vedere il ragazzo distratto e sempre più vicino a Boris lo tranquillizzò.

      Con gli occhi luccicanti, Jack si voltò verso il piccolo compagno in cerca di ulteriori spiegazioni.

      «Queste torri sono costruite interamente in cristallo e sono le sedi del comune. Da qui, vengono governati i primi tre distretti».

      Si affrettò il folletto quasi non aspettasse altro.

      Jack non rispose e, colmo di emozioni, si lasciò sprofondare con la schiena nel sottile sedile perso verso l'orizzonte.

      «Come vedi sono sei e ovviamente, non è un caso!».

      La voce del piccolo amico, il giusto sfondo a quella meraviglia.

      «Costruite insieme alle fondamenta dei tre distretti delle ninfe, sono un omaggio alle sei divinità primordiali creatrici dei mondi e dei loro abitanti!».

      Disposte circolarmente, quattro formavano gli angoli laterali di un pentagono mentre la quinta, leggermente più grande, chiudeva la geometria in punta. Al centro, quella più alta e imponente di tutte, fulcro reale del complesso.

      «Potrai sicuramente capire che quella centrale rappresenta Ashar, padre indiscusso del creato e davanti, a indicargli il giusto cammino, c’è la saggia e potente Venia. A proteggerli, le altre quattro formidabili divinità».

      I colori diversi, con i quali i pinnacoli più alti delle torri erano dipinti, lo aiutarono subito a capire la spiegazione e senza accorgersene, s'incantò sul rosso brillante della torre centrale.

      Un improvviso richiamo, la dilatazione delle pupille e il battito del cuore più veloce lo estraniarono per alcuni secondi da tutto.

      Santos se ne accorse all'istante. Veloce lo colpì con una gomitata nelle costole.

      Jack si riprese subito e massaggiandosi il fianco, lo guardò spaesato. Quei pochi secondi, confusi più che mai.

      «Scusami, non me ne sono accorto!», mentì l'astro sorridendogli e alzando le spalle.

      Non poteva permettere in alcun modo che il giovane terrestre si perdesse con la mente, doveva tenerlo saldo alla realtà.

      Non sapeva esattamente come affrontare il suo potere ma di certo, lasciarlo nei meandri della sua anima non era d'aiuto.

      Confuso, Jack riportò lo sguardo verso le torri di cristallo alte quasi fino alle nuvole.

      Quello, un chiaro segno della ricerca costante di un contatto da parte delle ninfe con i propri creatori.

      Il carro oltrepassò l’ampia piazza per poi rituffarsi negli stretti vicoli e le strade, quasi deserte, si snodarono una dopo l'altra serpentando tra i piccoli edifici. Gli altri due distretti furono la fotocopia del primo, e il lento e costante tremolio della piccola carrozza accompagnò il sonno del giovane.

      14

      «Guarda dove vai!» urlò adirato un individuo incappucciato scostandosi goffamente.

      «Mi scusi», si affrettò Santos fermando di colpo i cavalli con un'energica tirata delle briglie.

      Il diverbio e il brusco arresto, lo svegliarono di soprassalto. Ancora con gli occhi pesanti, Jack si voltò verso il suo maestro.

      «Tranquillo, va tutto bene», lo tranquillizzò l'astro poggiandogli un mano sulla spalla.

      Dopo un lungo sbadiglio e un contorto allungamento delle braccia, il giovane si riprese dallo scomodo riposo.

      Davanti a lui, fra i palazzi, alte mura tagliavano la città.

      «Siamo arrivati nel quarto distretto. D'ora in poi, stai attento e non parlare con nessuno.», si premunì Santos ordinando nuovamente ai due piccoli cavalli di riprendere la marcia.

      Jack annuì rannicchiandosi nel suo asfissiante mantello.

      Per quanto gli avesse provocato un fastidioso mal di schiena, il riposo lo aveva rigenerato. In un miscuglio di ansia e curiosità, sospirò profondamente.

      «Fammi spazio giovanotto!», lo spintonò Boris arrampicandosi sulla sua ruvida cappa.

      «È meglio che stia nell’ombra anche io», così dicendo, si riposizionò nella tasca interna strizzandogli l’occhio in segno di complicità.

      A pochi metri, un grosso arco univa le due spesse mura permettendo così il passaggio ai numerosi e quotidiani visitatori.

      Alte una decina di metri, segnavano il confine tra i distretti abitati dalle ninfe e quelli del mercato. La chiave di volta raffigurava, scolpita nella roccia, una grossa testa di leone, simbolo che da sempre accompagnava i mercanti di Abram. Dal centro dell’arco, accoglieva con le fauci spalancate gli stranieri mettendoli in guardia su quel che potevano trovare all’interno. Con i mercanti di Fati, di certo non c’era da scherzare. Provenienti da antiche discendenze di commercianti, i cento fondatori avevano costruito la città con determinazione difendendola da ogni pericolo e allontanando gli ospiti indesiderati armi alla mano. Ottimi venditori, abili truffatori e criminali incalliti, questi erano i profili dei padroni della città.

      Superate le mura, tutto mutò improvvisamente.

      Su entrambi i lati del viale, lunghe file di bancarelle apparvero a perdita d'occhio in uno sfondo caratteristico e caotico.

      Mercanti dai più strani lineamenti urlavano elogiando le proprie merci nel tentativo di attirare nuovi clienti con ogni stratagemma. Dalle deserte e strette vie dei distretti delle ninfe, in pochi metri, i tre compagni si ritrovarono in un ingorgo d'individui inimmaginabile.

      Jack, con i timpani doloranti a causa dell'assordante vociare e con il naso tappato dall'aria pesante mista a sabbia, si sentì immediatamente mancare.

      Con gli occhi frenetici e pieni di immagini, si voltò verso l'arco confuso fortemente.

      Prima di attraversarlo, aveva solo visto un lungo viale totalmente deserto e ritrovarsi