Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco


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non altro che un semplice favore per un caro e vecchio amico, era stato quello di portare le vesti al loro arrivo, niente più. Aggregarsi nel viaggio verso Fati non era stato previsto e dopo aver accompagnato l'astro in quella casa, si sarebbe dovuto fermare nella città per conto suo.

      Non era tenuto a far altro se non tornarsene nel suo piccolo regno ma questa volta, la posta in gioco era decisamente alta. Purtroppo, annoverava l'intera Costellazione.

      «Mai ho trovato più onore e coraggio che in te, piccolo amico. Sarebbe un privilegio condividere questa missione al tuo fianco».

      Aura restò in disparte, quello che stava accadendo la riempì di gioia.

      Santos ora aveva un compagno che, per quanto piccolo, mostrava coraggio e personalità.

      In quell'istante, carico di sentimento, i due compagni si scambiarono una simbolica quanto importante stretta di mano, sancendo così la loro alleanza.

      «Amici miei, custodi, poco più di un anno ci divide dalla visione oscura. Il vostro sarà un cammino tortuoso e pieno di ostacoli ed è per questo che le vostre anime non dovranno mai vacillare.», ufficializzò il patto Aura guardandoli orgogliosa.

      Per quanto lungo, un anno sembrò poco per poter preparare il giovane terrestre a compiere il proprio destino ma, spinti l'uno dalla forza dell'altro, non si scoraggiarono fiduciosi delle proprie capacità.

      «Inizieremo l’addestramento non appena riprenderà le forze!», stabilì così l’astro posando lo sguardo su Jack.

      Con un fisico così esile, prepararlo ad affrontare creature potenti e senza scrupoli non sarebbe stato facile ma le qualità per farlo, di certo, non gli mancavano.

      Boris, consapevole del buon senso dell'amico, annuì. Orgoglioso e deciso a essere un prezioso aiuto si massaggiò la folta barba.

      13

      I raggi del sole erano già caldi. Infastidito dalla luce, Jack aprì gli occhi.

      Stordito, si guardò intorno. Tonde pareti turchesi, non troppo alte, terminavano in un affascinante soffitto a cupola sul quale, dipinto perfettamente, un cielo di un blu profondo ne era padrone.

      Il semplice arredamento, raffinato e dal tocco femminile, rendeva il tutto caloroso e familiare.

      Un grazioso tavolino bianco dalle gambe intrecciate poggiava sotto un’enorme finestra alla sua sinistra. Filtrando tra le lunghe tende color panna, i raggi del sole entravano delicati.

      Dove si trovava?

      Nella sua mente, frammenti d'immagini sfocate e incomprensibili.

      Si voltò.

      Alla sua destra, una credenza dalla grande specchiera dominava dall’alto l’intera stanza e nel guardare la propria immagine riflessa nello specchio, si sentì vuoto e prosciugato da ogni energia.

      A stento si riconobbe. Il volto pallido e scavato e i capelli arruffati lo sconvolsero.

      Dell'atletico ragazzo, ormai nessuna traccia.

      Se solo pochi giorni lo avevano ridotto in quelle condizioni come avrebbe potuto affrontare quell'infausto destino?

      Cercò di scacciare via quella pessimistica idea alzando gli occhi al cielo.

      Il soffitto presentava molteplici oggetti appesi a piccole e luccicanti catene e nel vederli, ignaro di cosa fossero, si perse tra i loro colori sgargianti riuscendo così ad alleviare la forte emicrania.

      Il tempo che passò non riuscì a quantificarlo ma, ripresosi dall'incanto dei riflessi variopinti, levò con delicatezza le candide coperte che lo avevano avvolto. Provò ad alzarsi.

      Riuscì a malapena a mettersi diritto sulle gambe prima che una lancinante fitta al petto, seguita da forti vertigini, lo costrinse con decisione a sprofondare nuovamente nel soffice materasso.

      Non capì.

      Cosa gli era successo e dove si trovava?

      Di Santos, lo strano individuo che lo aveva trascinato in quel luogo, neanche l'ombra.

      Che lo avesse abbandonato definitivamente?

      Forse si era sbagliato nel crederlo il salvatore e, una volta accortosi dell'errore, se ne era subito liberato.

      Il respiro aumentò. Agitato, chiuse gli occhi cercando di portare alla luce ogni cosa.

      Dopo una manciata di minuti, nel buio dei suoi ricordi, come lampi balenarono improvvisamente alcune immagini sfocate, anticipate però da un’innaturale voce metallica. Dei brividi gli percorsero la schiena facendolo tremare, poi nulla.

      «Finalmente hai riaperto gli occhi», apparve Santos sul ciglio della porta di fronte a lui.

      «Avevo chiesto a Boris di tirare le tende per permetterti di riposare ancora un po’ ma, a quanto vedo, se n'è scordato», continuò non ricevendo alcuna risposta.

      Vedere il maestro lo bloccò e avvolto da strani sentimenti, un sorriso gli illuminò il volto.

      Non lo aveva abbandonato ma era lì a prendersi cura di lui.

      Si sentì uno stupido nell'aver dubitato e imbarazzato arrossì di gioia.

      «Vedo che sei di buon umore» osservò il maestro ricambiandogli il sorriso.

      Senza pensarci, Jack provò nuovamente ad alzarsi ottenendo però lo stesso e dolorante risultato.

      «Hai dormito per due giorni Zeno. Non ti preoccupare, i dolori che senti sono normali. Il tuo corpo è stato sottoposto a uno sforzo che in pochi avrebbero superato».

      Nella sua mente, un’infinità di domande.

      «Rilassati e riposa ancora se ne senti il bisogno. Partiremo quando sarai pronto».

      Jack annuì, desideroso di rimettersi il prima possibile.

      «Se hai fame troverai del cibo sul tavolo in cucina». Santos svanì nel buio del piccolo corridoio richiudendosi la porta alle spalle.

      Era stato un colloquio veloce e sintetico ma vitale per farlo riprendere emotivamente. Jack restò per qualche minuto a fissare il cielo dalla finestra ammirandone ogni dettaglio.

      Azzurro, calmo e con qualche grossa e morbida nuvola sparsa qua e là, lo tranquillizzò. In quel posto così lontano, tutto sembrava avvolto da un'aura particolare e con lo sguardo fisso nel manto celeste, trovò la pace.

      Quello, un momento importante per la sua crescita. Finalmente, per la prima volta, stava accettando la sua situazione pronto a viverla concretamente nonostante l'enorme paura.

      Quando decise di alzarsi, le vertigini lo colpirono nuovamente ma con meno intensità. Con stupore, riuscì ad attraversare la stanza.

      Superato il piccolo corridoio nella penombra, raggiunse la cucina.

      Sulle pareti turchesi, all’altezza degli occhi, lunghe file di candele fluttuanti illuminavano l’arredamento.

      Molto più spaziosa e priva di finestre, lasciò il giovane spaesato. Due credenze, piene di ampolle dalle svariate misure contenenti ambigui liquidi dai mille colori, riempivano la parete alla sua destra. La fila di candele deviava il suo percorso alzandosi per superarle, creando così strani giochi di ombre. Accanto alla parete opposta, un meraviglioso tavolo rotondo dalle accurate decorazioni incise nel legno coperto da una soffice tovaglia bianca. Su di essa, poggiavano una piccola tazza di tè e un cestello con dei biscotti. L’odore gli invase le narici. Appena sfornati e ancora fumanti, i dolci lo riportarono indietro nel tempo quando, a pochi anni, passava i pomeriggi a casa dell’adorata nonna ormai scomparsa. Quello, un ricordo al quale era molto legato. L’anziana donna, ogni pomeriggio gli preparava la merenda con amore per poi portarlo al parco a giocare fino all’arrivo della madre.

      Affamato, si sedette e cominciò a mangiare con foga. In pochi secondi, della ventina di biscotti rimasero solo più le briciole. Con la bocca impastata, si scolò l'intera tazza bollente ustionandosi la lingua.

      «Sono felice che ti siano piaciuti» disse una voce femminile alle sue spalle.

      Il cuore gli sobbalzò. Quella voce, sensuale, penetrante e metallica,