Джек Марс

Un’esca per Zero


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l'intelligenza artificiale, persino le bevande energetiche, prima di diventare realtà, erano oggetti che facevano parte di sogni apparentemente irrealizzabili.

      Era stato raccomandato dal suo mentore, il dottor Lee dell'Università di Seoul, e per i primi mesi Eun-ho non aveva quasi idea di cosa di quale fosse l’obbiettivo del suo lavoro: gli era stato dato semplicemente il valore del carico e poteva immaginare, per la natura stessa della sua ricerca, che si trattasse di un'arma. Alla fine il suo progetto dovette essere messo in atto e furono convocati i vari ingegneri che compongono i vertici top-secret.

      In seguito Eun-ho avrebbe scoperto che solo due uomini erano stati messi al corrente dei dettagli fin dall'inizio: un generale del Ministero della Difesa Nazionale e un politico di alto rango vicino al Presidente della Corea del Sud. Eun-ho non aveva incontrato nessuno di questi uomini; non erano nemmeno tra i dodici uomini dell’equipaggio, di cui Eun-ho faceva parte, che si trovava a bordo della Glimmer durante il suo primo viaggio.

      Una piccola parte di lui rimpiangeva il non aver potuto godere di tale privilegio.

      Quasi tre ore prima erano partiti dalla costa sud-occidentale, in un orario che alcuni avrebbero definito tarda sera, altri primissima mattina. Finché si trovava nel porto, la Glimmer era stata custodita in un canale sotterraneo su un tratto di spiaggia rocciosa circondato da segnali di pericolo che avvertivano i viaggiatori che l'area era disseminata di mine inesplose dalla guerra (il che, ovviamente, non era vero). Durante la notte, i dodici erano saliti a bordo di quell'incredibile nave e l'avevano sapientemente pilotata nel cuore dell'Oceano Pacifico del Nord, mantenendo una velocità ridotta per i primi ottanta chilometri. La Glimmer era davvero impossibile da rilevare, ma non erano disposti a correre il rischio di destare sospetto alla sorveglianza satellitare degli Stati Uniti o delle spie dei loro vicini a nord, il paese che ancora si faceva chiamare Choson.

      Eun-ho aveva anche un altro lieve rimpianto e non si trattava dell'ora o delle circostanze della partenza, ma piuttosto del periodo dell'anno; all'inizio di febbraio le temperature erano piuttosto basse, e trovarsi in mezzo all'oceano non aiutava. Il vento scivolava sullo scafo aerodinamico della nave e si abbatteva su di lui. Qualche spruzzo occasionale dell'acqua gelida dell'oceano gli faceva dolere le guance. I motori interni erano incredibilmente silenziosi, poco più che una vibrazione sotto i suoi piedi, sebbene il silenzio potesse essere parzialmente dovuto al cappuccio del suo parka lanuginoso, tirato su sopra la testa e avvolto strettamente intorno al suo viso.

      E sebbene i motori fossero per lo più silenziosi, l'intero equipaggio era rimasto serio e in silenzio, come se l'escursione richiedesse una sorta di riverenza. Tra loro c'erano ricercatori, esperti, dottori di varie scienze che Eun-ho non riusciva nemmeno a immaginare e in merito a cui non era autorizzato a fare domande. I membri dell'equipaggio non erano nemmeno a conoscenza dell'identità degli altri; Eun-ho era conosciuto dai suoi undici compagni solo come "Park", la cui pronuncia anglicizzata lo faceva rabbrividire ogni volta. Nella sua lingua madre, il suo nome si pronunciava "Bahk".

      Tuttavia, non si era mai preso la briga di correggerli.

      Alla sua sinistra, sulla panca imbottita vicino alla poppa della Glimmer c'era un uomo a lui noto come Sun, un collega ricercatore coreano che Eun-ho avrebbe facilmente scambiato per un falegname o un altro tipo di artigiano per via delle sue mani dalle nocche callose. Alla sua destra c'era un europeo con una mascella quadrata ben rasata e capelli biondi perfettamente pettinati e così pregni di gel che nemmeno il vento gelido riusciva a spettinarli. Era difficile immaginare l'età dell'europeo, ma poteva aggirarsi tra i trenta e i quarant'anni. Parlava molto raramente e sempre a voce bassa. Eun-ho avrebbe detto che fosse olandese.

      Ma la cosa più notevole dell'aspetto europeo era la pistola angolare che gli pendeva al fianco, nera opaca e stretta in una fondina di nylon dello stesso colore. Nonostante fosse seduto quasi letteralmente su una delle armi più potenti e rivoluzionarie del mondo, la vista della pistola addosso a quell'uomo era in qualche modo ancora più inquietante.

      "Scusi," chiese Eun-ho cercando di sovrastare il ruggito del vento. Il suo inglese era eccellente; lo studiava da quando aveva sette anni. "A cosa serve?"

      L'europeo lo guardò senza far trapelare emozioni. "Sicurezza".

      Ah. Allora non era olandese. Nel parlare a voce alta, come era necessario per via del vento, stressava particolarmente le consonanti e a Eun-ho parve di riconoscere un accento tedesco.

      Tuttavia, la risposta non era stata particolarmente soddisfacente. Che bisogno avevano di sicurezza in quel luogo, a quasi cinquecento chilometri a sud-est del Giappone? Nessuno sapeva che erano qui. Nessuno li stava cercando. La Glimmer era quasi invisibile.

      Forse, pensò Eun-ho, la pistola sarebbe servita nel caso in cui qualcuno tra noi cambiasse idea in merito alla spedizione. Si guardò attorno con noncuranza cercando di osservare le facce rosse e screpolate dei suoi colleghi. Qualcuno di loro avrebbe potuto cambiare idea dopo aver conosciuto il potere distruttivo dell'arma?

      Quasi come in risposta, il lamento dei motori si arrestò e la nave rallentò. Eun-ho sentì un brivido, questa volta non dovuto all'acqua gelida o al vento pungente. Il sole stava sorgendo, trasformando in azzurro l'acqua scura e riempiendo il cielo di riflessi rosati.

      "Signori". L'uomo che rispondeva al nome di Kim, solo Kim, in piedi vicino alla prua, si rivolse a tutti prima in coreano e poi in inglese, per coloro che non conoscevano la lingua. I suoi occhiali dalla montatura circolare e la stempiatura dei capelli lo rendevano particolarmente simile al classico stereotipo degli scienziati dei romanzi di fantascienza, quelli che costruivano. “Oggi è un giorno importante. È il culmine di due anni di duro lavoro collettivo. È un peccato che così poche persone possano essere presenti a questo evento. Ma state tranquilli, amici miei, il mondo ricorderà i vostri nomi".

      "Sempre che questa diavoleria funzioni", borbottò Sun sottovoce.

      Eun-ho trattenne a stento una risatina.

      "Cominciamo", disse Kim. Fece un cenno a un altro, che si trovava davanti a un complicato pannello di controllo per tre persone proprio dietro il timone della Glimmer, separato dal resto della nave da uno spesso scudo che Eun-ho sapeva essere a prova di proiettile. L'uomo spinse una chiave in una fessura, la girò e inserì una combinazione di quattro cifre sulla tastiera.

      Le porte di alluminio al centro della nave si sollevarono con un forte ronzio, aprendosi verso l'esterno come una coppia di porte Bilco. Il ronzio si fece ancora più forte quando venne attivato l'ascensore idraulico. In pochi istanti, l'arma si erse dalle viscere della Glimmer come una presenza angelica che si disvela. Era uno spettacolo bellissimo da vedere.

      Perfino i più istruiti sulla questione avrebbero sostenuto che un’arma al plasma non poteva essere altro che una congettura teorica, ai limiti della fantascienza, eppure loro ne avevano costruita una. Due anni di lavoro, giorno e notte, relazioni interpersonali sacrificate, vite e carriere dimenticate, alcune delle menti più brillanti del mondo orientale e occidentale e un investimento di denaro a dir poco esagerato avevano permesso di arrivare alla costruzione di un'arma che fino a poco tempo prima si pensava non sarebbe mai esistita.

      L'ascensore idraulico aveva portato l'arma tre metri più in alto rispetto allo scafo della Glimmer. Le due rotaie parallele, essenzialmente la "canna" dell'arma, erano lunghe sei metri e consistevano in una coppia di elettrodi ultra robusti lungo i quali un'armatura di particelle ionizzate simili a gas scivolava a una velocità pari a sette volte la velocità del suono. La distanza di tiro effettiva, secondo il modello, poteva andare dai duecentoquaranta ai trecentoventi chilometri.

      Le parole di Sun echeggiarono nella testa di Eun-ho. Sempre che questa diavoleria funzioni. Ovviamente, tutte le componenti dell'arma erano importanti, ma gli piaceva pensare che il suo lavoro sull'arma fosse probabilmente il più importante; dopo tutto, se l'arma non fosse riuscita a sparare il suo proiettile al plasma, sarebbe stata completamente inutile.

      Non era superstizioso, ma incrociò comunque le dita.

      "Tieni", borbottò Sun mentre gli porgeva un paio di spessi binocoli neri.

      Eun-ho li prese con un cenno del capo. “Dove?”

      Sun indicò ed Eun-ho guardò in quella direzione. Riusciva