Джек Марс

Un’esca per Zero


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suonavano infuriate, minacciose e pericolose allo stesso tempo.

      Quando ebbe il coraggio di guardare di nuovo, la barca pirata, poiché ormai si era convinto che fossero davvero dei pirati, si era avvicinata ancora di più e aveva rallentato, posizionandosi perpendicolarmente alla prua della Glimmer e rendendole impossibile avanzare.

      "Inversione, adesso!" Kim urlò non appena le porte si richiusero sopra l'arma.

      L'uomo alla console mise una mano sull'acceleratore e, quasi contemporaneamente, un singolo, forte sparo fece sobbalzare Eun-ho. La testa del pilota scattò a destra mentre una nuvola di nebbia rossa si posava sul mare alle sue spalle.

      Il tedesco abbassò la pistola. Il silenzio e l'incredulità del momento che seguì fu schiacciante; l'uomo alla console cadde sul pontile. I pirati guardavano. I colleghi di Eun-ho rimasero assolutamente immobili. Le loro gambe si erano improvvisamente fatte di pietra.

      E in quel momento, il tedesco si voltò e sparò immediatamente un secondo colpo sulla fronte di Kim.

      Questo scosse tutto l'equipaggio. In molti gridarono. Due si precipitarono in avanti, Sun e un altro uomo, Bong, se Eun-ho ricordava correttamente il suo nome. Raggiunsero il tedesco ma lui si limitò a torcere il corpo e, senza nemmeno puntare la pistola, alzò il gomito. Questo colpì il naso di Sun con uno scricchiolio nauseante, sollevando spruzzi di sangue che raggiunsero il viso di Eun-ho. Con la stessa morbidezza con cui aveva sfoderato l'arma, il tedesco si girò la pistola nel palmo, facendola roteare e colpendo Bong con l’impugnatura della pistola proprio dietro la mascella.

      Le gambe di Eun-ho si trasformarono in gelatina e le sue ginocchia si piegarono, facendolo cadere sul pontile. Risuonarono altri due colpi in rapida successione, e sebbene avesse già chiuso gli occhi, sentì distintamente il suono di due corpi che cadevano.

      Si sentì un fragore d’acqua, e poi un altro: colleghi che avevano scelto di lanciarsi dal ponte. Eun-ho, scosso dal terrore, sapeva che anche quella scelta li avrebbe portati alla morte. Nel freddo Pacifico sarebbero morti in meno di un minuto.

      Questi non erano gli scoppi acuti delle armi automatiche; erano singoli colpi sparati della pistola nera. I pirati non stavano sparando; stavano aspettando. Stavano aspettando che finisse per poter prendere possesso dell'arma. Il tedesco li aveva traditi. L'uomo che era stato responsabile della loro incolumità era stato la loro rovina.

      Quando finalmente Eun-ho raccolse il coraggio e riaprì gli occhi, il pontile della Glimmer era pieno di sangue. Quattro dei pirati africani si trovavano ora a bordo, e gettarono da una parte i corpi dei suoi compagni.

      Il tedesco era in piedi accanto a lui, teneva la pistola nella mano sinistra, come se fosse un semplice accessorio.

      "Perché?" Chiese Eun-ho, o almeno ci provò. Ma tutto ciò che gli uscì alla gola non fu altro che un sibilo.

      "Sei solo un ragazzo," mormorò il tedesco a bassa voce, con l'accento che Eun-ho aveva erroneamente supposto olandese. "Ma spesso i ragazzi sono quelli che soffrono di più in queste situazioni".

      Eun-ho non poté fare a meno di sussultare leggermente quando l'uomo premette la canna della pistola contro la sua tempia. Chiuse di nuovo gli occhi. L'aria era fredda, ma il sole del mattino scaldava gli scaldava piacevolmente il viso.

      CAPITOLO UNO

      Mentre il sole tramontava sulla prateria, Zero giaceva a pancia in giù nel cumulo di neve, sperando di essere abbastanza in basso e lontano dalla capanna da non essere. Maledisse l’ingenuità di essersi vestito di chiaro; la giacca sintetica foderata in pile era beige, piuttosto simile al bianco, in teoria, ma indubbiamente riconoscibile sulla neve candida. Il passamontagna sul viso era nero perché – beh, perché era difficile trovarne uno che non fosse nero, soprattutto all’ultimo momento.

      Si portò di nuovo il monoculare all'occhio e osservò la capanna in lontananza. Ancora nessun movimento. Ma era certo che quello fosse il posto giusto; piuttosto si stava chiedendo se il suo obbiettivo in quel momento si trovasse all'interno oppure no.

      Zero avrebbe preferito avere un miglior vantaggio. Era solo vagamente consapevole della situazione in cui avrebbe potuto trovarsi, e non era per niente bella. Aveva degli abiti sulla schiena per difendersi dal freddo. Aveva il monoculare. Aveva una pistola, una piccola Walther PPK d'argento con una canna lunga otto centimetri e una capacità di sei colpi. Molti credevano che PP stesse per "pistola tascabile", dal momento che era così facile nasconderla, ma in realtà stava per Polizeipistole, letteralmente, "pistola della polizia", eppure, lui ne stava realmente nascondendo una, precisamente nella tasca destra della giacca.

      Zero non aveva radio, rilevatori di movimento, dispositivi di ascolto, nemmeno un telefono. La CIA avrebbe potuto rintracciarlo usando il suo telefono… o forse, peggio ancora, sua figlia Maya avrebbe potuto rintracciarlo. Non aveva creduto nemmeno un po' alla storia che avesse un appuntamento con un ortopedico in California per la ferita traumatica alla mano di un paio di anni prima. Come al solito, aveva ragione.

      Zero non si trovava in California. Non era nemmeno negli Stati Uniti. Si trovava, invece, sepolto per metà in un banco di neve nell'angolo nord-orientale della provincia canadese del Saskatchewan. Dovendo ricorrere a mappe cartacee, aveva solo una vaga idea di dove si trovasse. Il paesaggio era poco più che una larga distesa di praterie a perdita d'occhio, interrotta soltanto occasionalmente da cumuli di neve e da qualche albero spoglio.

      E, naturalmente, la capanna.

      Si trovava a circa cinquecento metri di distanza dalla sua posizione attuale, e non era altro che un prefabbricato a un piano che non sembrava né vecchio né moderno. Aveva all'incirca le dimensioni e la forma di un rimorchio a diciotto ruote (Zero ipotizzava che fosse arrivata lì proprio in quel modo) ed era stata appoggiata senza tante cerimonie su una base di blocchi di cemento, alcuni dei quali sembravano essersi stabilizzati da quando il peso della cabina era aumentato, facendo sì che l'edificio giacesse inclinato di un angolo di circa tre gradi rispetto al terreno.

      Sul lato orientale, Zero poteva vedere una cisterna di acciaio inossidabile, che probabilmente raccoglieva neve sciolta e acqua. Anche a quella distanza riusciva a sentire il debole rombo di un generatore diesel, sebbene non potesse vederlo dalla sua posizione. Ed erano chiaramente visibili due piccoli pannelli solari sul tetto. L'edificio era autosufficiente e quasi completamente nascosto.

      Quasi completamente, altrimenti non sarebbe mai riuscito a trovarlo.

      Dopo quelle che sembrarono ore, il sole finalmente svanì dietro l'orizzonte, oscurando la pianura a sufficienza e dando a Zero la possibilità di muoversi. Ne fu contento, perché con il calare della notte la temperatura era scesa ulteriormente e il freddo stava diventando insopportabile, anche nonostante le precauzioni che aveva preso per difendersi dal freddo. Nel Saskatchewan settentrionale a febbraio, il clima era tutt'altro che mite.

      Prima di avviarsi con cautela verso la casa, fece un rapido esercizio mentale. Aveva iniziato a farlo ogni giorno, e poi quasi ogni ora, in modo automatico, per assicurarsi che la sua memoria non stesse perdendo colpi. Prima pensò alle sue figlie, Maya e Sara, rispettivamente di diciotto e sedici anni. Rievocò mentalmente i loro nomi, i loro volti, la loro età, il suono delle loro risate. Poi pensò a Maria Johansson, alla sua cascata di capelli biondi e ai suoi occhi grigio ardesia che in qualche modo riuscivano a sembrare cupi e luminosi allo stesso tempo. E infine, pensò a Kate, sua moglie defunta.

      "Kate". Mormorò il suo nome ad alta voce, come fosse una preghiera, un "amen" che conclude un momento di raccoglimento; il suo nome era la prima cosa che aveva dimenticato quando i suoi vuoti di memoria si sono verificati per la prima volta. Ricordava il suo nome. Ricordava il suo volto. Il suo profumo, la sua risata e il suo respiro stizzito quando era irritata. Ricordava che era stata assassinata da un ex agente della CIA di nome John Watson, un uomo che Zero aveva considerato amico. Un uomo che era fuggito e si era nascosto dopo che Zero gli aveva risparmiato la vita.

      Poi si mosse, lentamente e con cautela, dirigendosi verso la casa, piano piano, misurando ogni passo. Non poteva evitare di lasciare tracce sulla neve, ma almeno poteva evitare di far rumore camminando.

      L'esercizio, il "test mentale", come lo chiamava lui, non serviva solo a verificare che la sua memoria non fosse