dire, aiutare la gente a svelare gli imbrogli? Non è che io creda in quelle cose.”
“Sono contenta che tu abbia trovato un modo per esprimerti, ma…”
“… Ma cosa?” Mia stava rovistando nei cassetti, da dove tirò la roba da mettersi per andare al lavoro e che gettò sul letto.
“Beh, anche Jeffy pensa che sia strano. Lo chiama il tuo ‘strano hobby’.”
Fra tutte le opinioni che Mia avrebbe potuto prendere in considerazione, quella di Jeffrey era tra le ultime della lista. Non poteva spiegare con precisione perché. Non c’era un motivo specifico. Era solo che in lui vedeva qualcosa che non andava. Brynn descriveva suo marito come sicuro, energico e ambizioso. Quelle caratteristiche assumevano invece, nella considerazione di Mia, la connotazione di arrogante, iperattivo e spietato. Si infilò nel bagno, fece scorrere l’acqua e uscì dalla sua tuta, lasciando la porta mezza aperta mentre si faceva la doccia, in modo da poter continuare a parlare con la sorella. E questo era il momento giusto per dirle che il pubblico del suo podcast stava salendo in maniera regolare.
“Non è solo un hobby, Brynn. Ho più di settantamila ascoltatori.” Non poté fare a meno di provare uno slancio di orgoglio.
“Bello. Sono tanti?”
“Per una produzione indipendente? Certo! Ho addirittura degli sponsor!”
“Uh-huh.”
Sapeva che Brynn non aveva intenzione di fare l’antipatica, ma in qualche modo i suoi sentimenti ne rimasero comunque feriti. Il podcast era sempre stato un problema per la sua famiglia. Questa era gente che ancora mandava lettere in formato cartaceo, all’interno di buste con impresso sopra lo stemma dei Middleton, che assomigliava a una bestia alata che afferrava uno scudo raffigurante un unicorno. Ogni anno a Natale, Mia riceveva una risma di carta pergamena color crema con l’emblema. C’era una scatola nello scaffale più alto del suo armadio che era piena di quella roba. Mia si asciugò e si avvolse un asciugamano attorno al corpo. Meglio cambiare argomento prima che le cose degenerassero.
“Mi sembri un po’ stressata. Va tutto bene con Jeff?” A Mia poteva anche non fregare niente di suo cognato, ma aveva a cuore Brynn e la sua felicità.
“Oh, lui sta bene. A dire il vero, è di questo che ti devo parlare.”
“Cosa c’è?”
Mia passò una mano sullo specchio per asciugare l’alone di vapore e iniziò a passarsi un pettine a denti larghi in mezzo ai suoi ricci scuri e aggrovigliati. Le passò per la mente un ricordo del suo padre naturale. Erano sul lungomare a Ocean City in una luminosa giornata estiva. Frank Bold le aveva appena comprato un cono gelato alla fragola e cioccolato.
Suo padre le aveva scostato un ciuffo di capelli dalla guancia. “Sei mai stata sulla ruota panoramica, piccina? Si vede il mondo intero da lassù.”
Mia chiuse gli occhi con forza e si aggrappò al bordo del lavandino fino a che il ricordo non si dissolse. Pensare al suo vero papà aveva sempre un retrogusto dolceamaro. Buffo come il passato potesse rimanere così vivido. Poteva praticamente sentire il calore del sole e il sapore di sale nell’aria. All’improvviso fu di nuovo nel momento presente, e suo padre tornò ad essere solo un ricordo.
“Mimi? Hai sentito quello che ho appena detto?
“Scusa, puoi ripetere?”
“È successa una cosa. Un cambiamento imprevisto.”
“Che genere di cambiamento?”
“Sai, tipo un cambiamento che non ti aspetti.”
Mia si levò l’asciugamano e si vestì senza tante pretese: un paio di jeans puliti e una camicetta bianca.
“Perché non ceniamo insieme domani e magari mi racconti di cosa si tratta?” le suggerì, infilandosi la camicia nei pantaloni.
“… Io… penso proprio che dovrei dirtelo adesso,” disse Brynn, rigirandosi nervosamente l’anello nuziale sul dito.
“Va bene, Brynn, sputa il rospo.”
“Jeffy ha venduto il condominio. Devi traslocare.”
Le parole di Brynn le si schiantarono addosso. Mia smise di vestirsi e rimase a fissare la sorella, immobile. Non poteva credere alle proprie orecchie.
“Ma tu hai detto che potevo stare fino alla fine dell’anno.”
Brynn abbassò lo sguardo su pavimento. Le sue guance erano impallidite. Nonostante il Botox, una leggera ruga apparve sulla sua fronte, in un tentativo di cipiglio.
“Da quanto lo sai?” chiese Mia, tentando di contenere la rabbia. Era sconvolta dall’improvvisa notizia. “Dev’essere da un po’ che Jeffrey ha in programma questa cosa.”
“Pensavo… pensavo che fosse solo un’illusione. Avrei dovuto dirti che poteva succedere. Mi spiace, Mimi.”
Mia sospirò pesantemente. L’orologio digitale sul suo computer segnava le 7:45. Ecco fatto: game over. Il suo tempo per la registrazione era ufficialmente evaporato. Non era sicura di cosa la deludesse di più: aver mancato la scadenza o la notizia che la stavano sbattendo fuori di casa. A questo punto, sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a prendere il treno e arrivare al lavoro in orario.
Mandò un messaggio a Angie della O-Date. Casino tecnico. File pronto domani.
Sapeva che le probabilità che la sua misera scusa funzionasse erano molto scarne. Si rassegnò al fatto di aver probabilmente appena perso il suo solo sponsor. Poi si rivolse alla sorella.
“Cos’è successo al progetto di affittare gli appartamenti, di creare un flusso di reddito?” chiese Mia con tono gentile.
“È un affare multimilionario con un cliente d’oltreoceano. Parte dell’accordo prevede il pagamento in contanti, Mia. Contanti.”
“Quando è successa questa cosa?”
“Ho scoperto solo ieri sera che era definitivo. Sai quanto sa essere riservato Jeffy.”
Questo era decisamente vero, Mia lo sapeva. La tendenza di Jeffrey a nascondere le cose e l’insaziabile curiosità che invece contraddistingueva lei erano un caso più che eloquente di pessima intesa. Ogni volta che si trovava a ronzare attorno al cognato, Mia provava sempre un irrefrenabile impulso a guardare il suo telefono o il suo computer. Si chiese chi avesse trovato di così disposto a consegnargli in mano un mucchio di soldi. A volte era preoccupata per Brynn.
“Mi sento di schifo,” disse Brynn, mordendosi ancora il labbro. “So che avevo detto che potevi stare qui…”
Mia guardò la sorella. Si stava mostrando forte, ma la tensione della mandibola era evidente, come anche l’imbarazzo nei suoi occhi.
“Quanto tempo ho?”
“Jeffy dice due settimane. Ho cercato di farti dare più tempo.”
“Va bene. Non è colpa tua. Sei stata davvero buona con me, Brynn. Lo apprezzo,” disse Mia, ed era sincera. Del resto stava vivendo da un anno senza dover pagare l’affitto. Era fortunata e riconoscente, e non voleva che Brynn si sentisse male per questo. Ma dentro di sé era abbattuta. A quanto pareva non poteva più permettersi di lasciare che le cose andassero come volevano. Era arrivato il momento di parlare con il suo fidanzato riguardo al loro futuro.
CAPITOLO DUE
Nonostante tutti gli sforzi, Mia aveva perso il suo solito treno. Quando entrò di corsa attraverso le porte di vetro del Centro Farmaceutico, era in ritardo di dieci minuti. Andò dritta al controllo sicurezza, fece passare il badge sul lettore elettronico e scattò su per i gradini che portavano agli spogliatoi. La maggior parte dei componenti del gruppo di progetto erano già arrivati e avevano preso i loro incarichi, eccetto Nigel Ruiz, del reparto tossicologico.
“Ciao Nigel,” gli disse Mia, infilando lo zaino nel suo armadietto. Appese con cura il suo vestitino e si infilò il camice da laboratorio.
“Ehi, hai sentito?” chiese Nigel, legandosi dietro la testa i capelli rosso fuoco