all’aria gli affari, Dio mi aiuti, la denuncio. La denuncio fino a che di lei non rimarrà più niente. Chiaro?”
Adele lo fissò e scosse la testa. “È il resort che sta avvalorando la storia? Spingendo la gente a credere che si sia trattato dell’attacco di un orso?”
Il direttore la scrutò con circospezione. Le sue guance arrossate parevano avvampare sia di rabbia che di freddo. Fece un passo indietro e scrollò le spalle. “Noi diciamo solo quello che ci ha riportato la squadra di ricerca e salvataggio. L’indagine sta a voi. Ma piantatela di importunare i miei dipendenti e i miei clienti. Grazie.”
Si fece da parte e indicò la porta allungando con finta cortesia un braccio.
Adele guardò la mano dell’uomo. Per pura ripicca, voleva restare. In un angolo della sua testa stava pensando a cosa avrebbe fatto John. Probabilmente avrebbe ordinato qualcosa da bere proprio davanti al direttore, godendosi il rossore che imporporava sempre più il volto dell’uomo. Ma Adele non era John. Non era tipa da permettere al proprio orgoglio di decidere per lei. Il direttore non la voleva qui. Era maleducato, prepotente. Spaventato. Spaventato di perdere il suo lavoro. Un altro resort stava per aprire poco distante, ugualmente lussuoso, e forse era quello il motivo che l’aveva reso tanto nervoso.
C’erano un sacco di soldi coinvolti in posti come quelli. Più di quanto lei avrebbe mai pensato. E dove c’erano i soldi, c’era un movente.
Adele passò le dita sopra al bancone. Qualcosa nel legno freddo sotto ai suoi polpastrelli le fece spostare lo sguardo oltre il direttore, verso le finestre che si affacciavano sulle piste da sci.
Di nuovo, aveva solo dieci anni. Di nuovo, vide suo padre e sua madre seduti di fronte a lei in… una sala da pranzo? No, non una sala da pranzo. Un ristorante. Anche quello vicino alle piste. Ricordava che da bambina sciava. Nelle Alpi. Adele si fermò e si accigliò.
Bellissimi ricordi, ma disseminati di scene di rabbia. Litigi. Grida.
Rabbrividì, desiderando che quei pensieri svanissero.
Scosse la testa, come a voler cacciare via un’emicrania, e si alzò in piedi, allontanandosi dal bancone. Fece un cenno del capo in segno di ringraziamento alla barista e un rigido saluto con la mano al direttore. L’agente Marshall la seguì. Le due donne uscirono dal bar e scesero i gradini.
“Beh, è stato un momento vivace,” disse la Marshall sottovoce.
“Sì,” disse Adele. “Il direttore ha un velato interesse nel fermare le indagini.”
“Cosa pensi?” chiese la Marshall, ora sottovoce.
Adele fece ancora qualche passo, assicurandosi che nessuno dal bar potesse sentirle. “Mi sto chiedendo se ci sia dell’altro che possano aver coperto. Qualsiasi cosa. Ci sono in ballo un sacco di soldi qui.”
La Marshall si accigliò. “Non pensi che il direttore abbia qualcosa a che vedere con l’omicidio, vero?”
Adele sollevò le spalle. “Non posso esserne certa. Ci sono un sacco di sospetti qui. Il nostro lavoro è di sfoltire l’elenco.”
“Quella coppia svizzera in Francia? Nessuna notizia da quel fronte?”
Adele scosse la testa. “Non ho avuto modo di ragguagliarmi con gli investigatori.”
“Però li conosci, no? So che hai lavorato con in francesi in passato.”
“Sono in parte francese. Anche americana. E tedesca.”
La Marshall fischiò mentre si avvicinavano al golf cart. “Tre cittadinanze? Impressionante. Parli molto bene la lingua.”
“Grazie. Ma no, nient’altra informazione sugli svizzeri. Appena ne avrò l’occasione, parlerò con gli investigatori.”
Adele entrò nel golf cart con la Marshall e la giovane agente iniziò a guidare tornando verso l’ala principale del resort.
Adele era pensierosa mentre si spostavano, il volto sferzato da fredde folate di vento. Osservò le montagne e gli alberi, ripercorrendo con gli occhi i sentieri innevati. I Beneveti erano stati assassinati. Ne era certa. Il rapporto del medico legale sarebbe arrivato molto presto, ma l’avrebbe confermato. Però le congetture non erano niente senza gli indizi. Una sensazione di pancia significava poco senza una direzione. Se intendeva portare anche altri a credere al suo istinto, avrebbe dovuto trovare prima delle solide prove.
CAPITOLO DIECI
Adele reclinò la sedia imbottita accanto al caminetto, contornato di pietre che ne delineavano la sagoma, curvando poi verso l’alto a formare una canna fumaria che usciva dal soffitto. Alle sue spalle le pareti di vetro erano spoglie, le tende scostate che permettevano alle stelle di guardarla ammiccando. Il bagliore bianco e tenute che veniva dal cielo si mescolava con l’arancione baluginante irradiato dal fuoco.
Adele pensò vagamente a Robert e alla sua villa. Pensò a sé stessa seduta accanto al fuoco con il suo vecchio mentore, entrambi concentrati sulle fiamme e sugli appunti del loro caso. Adele teneva la mano posata sul bracciolo, le nocche che sfioravano leggermente il tavolo circolare su cui aveva posato il suo telefono.
Aspettava.
Il rapporto del medico legale era atteso a momenti. Avrebbe confermato i suoi sospetti. Doveva farlo.
Ormai aveva fatto incazzare il direttore del posto e agitato un paio di dipendenti. Questo era un gioco politico. La presenza dell’agente Marshall ne era la prova. Quello che le era stato raccontato della situazione andava solo a sottolineare ancora di più il bisogno di risposte. E presto. Domani ci sarebbe stata l’apertura del nuovo resort. Migliaia di posti di lavoro, centinaia di milioni di dollari, un’intera industria alimentata dal denaro.
E in montagna, due coppie scomparse. Una trovata morta, fatta a brandelli.
Adele guardò il telefono, ma lo schermo era grigio e opaco. Ancora niente notifiche. Si appoggiò allo schienale, incrociando le mani sopra allo stomaco e fissando il fuoco.
Le fiamme avevano un potere ipnotizzante che richiamava l’attenzione. Alcuni ricordi erano simili. Emozioni che alimentavano le fiamme del pensiero e richiedevano attenzione su un tempo diverso. Erano proprio pensieri così che si intrufolavano nella mente di Adele.
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