Блейк Пирс

Non resta che nascondersi


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Germania. Avanzarono con passi pesanti in mezzo alla neve, la luce della sera che man mano calava. Avevano ancora un’ora di tempo e poi sarebbero dovuti tornare indietro. Non aveva senso proseguire le ricerche di notte e mettere a repentaglio anche la sicurezza della sua squadra. Una forra si apriva sul ripido e scivoloso pendio alla loro sinistra, mentre a destra la montagna si ergeva ancora più alta, minacciando di perforare le tetre nubi grigie di sopra.

      Le Alpi bavaresi erano una catena montuosa lunga e intricata. E due esperti di sci alpinismo come le due persone scomparse potevano aver coperto una distanza significativa dal Wolfsschluct Resort nel tempo che era ormai trascorso.

      Sasha, la guida locale, indicò qualcosa in lontananza. Il capo squadra si fermò sentendo il ronzio di un motore in avvicinamento. Si voltò, il vento gelido che gli sferzava il volto scoperto, e osservò l’elicottero arancione che sfrecciava nel cielo azzurro. Le pale ruotavano, a ritmo regolare e continuo, il suono che rimbalzava riecheggiante tra le montagne avvolte nella neve.

      “Kapitän,” disse Jerome, il più giovane del gruppo. Sbuffò leggermente, arrancando e avvicinandosi al capo squadra con passi rapidi, spruzzando la neve attorno mentre i suoi scarponi affondavano e si rialzavano lungo il sentiero ammantato.

      “Mmm?” disse Luka Porter, il capitano dell’unità.

      Jerome si chinò verso di lui, gridando per farsi sentire sopra al rumore dell’elicottero. “Non ci sono più tracce di sci. Scheisse! Pensò che dovremo tornare sui nostri passi.”

      Luka guardò il giovane e respirò, lasciando uscire dalla bocca un soffio di vapore che si levò verso il cielo della sera. Rispose in tedesco. “Nein. Torniamo indietro, e sai cosa succede poi?” chiese con tono tranquillo.

      Jerome esitò. “Si… si sta facendo buio, signore. È solo questo. Pensavo che una delle regole fosse di tornare prima di notte.”

      Luka si grattò il mento, ricoperto da una rada peluria. Quella mattina l’avevano svegliato presto e non aveva avuto modo di radersi. Questi Vermisstes erano persone importanti. E la cosa era stata ulteriormente evidenziata dalla presenza degli agenti del BKA che si erano presentati di persona a casa sua per trascinarlo all’ufficio accanto al resort.

      “Un’ora,” disse Luka. “Poi torniamo. Ma ancora un’ora.”

      Jerome parve deluso, ma riuscì a mascherare piuttosto bene la cosa. Entrambi avanzarono nella neve lungo il sentiero, seguendo Sasha che li conduceva, seguendo la traiettoria dell’ultima direzione nota seguita dai due italiani.

      “Ho sentito… ho sentito che erano ricchi,” disse Jerome, ansimando ora tra una parola e l’altra. Parte delle sue energie e del suo zelo stavano iniziando a dissolversi adesso, man mano che la neve si faceva più profonda.

      Luka sbuffò ancora, limitando le sue parole, risparmiando le forze. “Scomparsi da ventiquattr’ore. Con questo tempo, a novembre, ricchi o no congeleranno comunque.”

      “O peggio,” mormorò Jerome.

      Luka si accigliò ma non rispose, facendo ad entrambi il favore di risparmiare il fiato.

      In quel momento Sasha, che si trovava più avanti sul sentiero, sollevò una mano. Nelle ultime ore aveva nevicato a intermittenza e le precipitazioni, per quanto leggere, avevano nascosto ogni traccia di sci. Ma Sasha ora gesticolava rapidamente, attirando l’attenzione di Luka e Jerome.

      “Cosa c’è?” esclamò Luka.

      Sasha stava indicando verso il cielo e i due uomini seguirono la direzione del suo dito.

      Un fascio di luce blu si estendeva nell’orizzonte della sera, partendo dall’elicottero e disegnando dei cerchi attorno a un piccolo gruppo di alberi sulla sommità del crepaccio, vicino al pendio.

      “Hanno trovato qualcosa!” gridò Sasha.

      Luka annuì e accelerò il passo, sentendo ora il freddo pungente e il vapore del suo fiato che gli si congelava sulle guance. Chinò la testa in avanti, seguendo i passi di Sasha mentre si avvicinavano rapidi agli alberi. La coppia di italiani era partita dal resort con gli sci più di ventiquattr’ore prima. Ma c’erano ancora delle probabilità che fossero sopravvissuti. Con l’adeguato abbigliamento e magari avendo trovato riparo, di sicuro non si trovavano in ottime condizioni, ma la morte non era una certezza. Molte delle persone che loro venivano inviati a cercare con la loro unità Bergwacht, finivano con il venire salvate. Molte, ma non tutte.

      Si avvicinarono agli alberi, seguendo Sasha che aveva gli sci legati a tracolla. La neve qui era troppo fresca, troppo leggera per poter sciare. Luka si accigliò: allora perché l’elicottero stava indicando questo punto?

      Larici e abeti si ergevano attorno all’area indicata dal fascio di luce blu, che sembrava farsi sempre più evidente man mano che il buio della sera avanzava.

      “Luci!” esclamò Luka.

      Gli altri membri della squadra di ricerca e salvataggio accesero le loro torce e Luka tirò fuori la sua vecchia lampada di sicurezza da 100.000 lumen. Premette l’interruttore e la puntò in direzione degli alberi. Luka sbatté un momento le palpebre davanti alla potente luminosità: sembravano i fanali di un’auto della polizia. Fece cenno agli altri di avvicinarsi.

      La cautela era la regola. Jerome, il loro volontario delle forze dell’ordine, impugnò la pistola che aveva al fianco. L’attenzione non era mai troppa sulle Alpi. In quelle montagne si potevano trovare ogni genere di animali.

      “Vedo qualcosa,” esclamò Sasha mentre avanzava verso gli alberi. La neve scricchiolava sotto ai piedi, suggerendo che l’ultima nevicata fosse stata per lo più schermata dagli alberi, lasciando solo dei residui, oltre a ciò che era caduto dai rami.

      “Attenta,” la avvisò Jerome, l’arma pronta nella mano coperta dal guanto.

      Sasha annuì, ma agitò una mano in aria come a far intendere che non c’erano problemi. Avanzò verso la porzione di foresta indicata dall’elicottero. Poi si fermò di colpo.

      Ora anche Luka poteva vedere. Difficile non notarle. Delle forme scure sulla neve. Macchie scure.

      La pistola di Jerome si abbassò lentamente mentre si avvicinavano, passando in mezzo agli alberi. Poi il giovane imprecò e il suo braccio si rilassò al fianco. “Oh mein Gott,” disse, mormorando una rapida preghiera prima di farsi il segno della croce.

      Luka passò oltre Jerome e si portò accanto a Sasha, sotto a un enorme abete. Spinse di lato un ramo con una mano e scrutò tra la boscaglia innevata, gli occhi fissi sulla scena.

      “I turisti?” chiese Sasha con voce bassa e tremante.

      “Chiama la centrale,” disse Luka con tono secco. “Ora.”

      Sentì Sasha al suo fianco che trafficava con il suo telefono satellitare, poi il rapido bip dei pulsanti in risposta. Ascoltò l’elicottero che ancora ronzava sopra di loro, come un avvoltoio che vola in cerchio sopra a una carcassa. Jerome cercò di avvicinarsi di più, ma Luka tese un braccio, spingendo il giovane indietro. “No,” disse rapidamente. “Non si può toccare la scena.”

      “Cosa… cosa pensi sia stato?” mormorò Jerome con gli occhi fissi.

      Luka riportò l’attenzione verso il punto illuminato, per quanto fosse difficile. Aveva già visto in passato vittime di attacchi da parte di animali, ma mai niente del genere. Gli attacchi di orsi non erano comuni nella regione, o almeno non lo erano da molto tempo. Recentemente però, negli ultimi anni, si erano verificati più avvistamenti di orsi grigi nelle Alpi.

      Ora le prove giacevano davanti ai suoi occhi.

      Due corpi, o almeno ciò che ne restava. Insanguinati, congelati, sparpagliati come gocce e spruzzi di un’opera impressionistica. Alcuni schizzi erano addirittura arrivati agli alberi. Pezzi di carne umana ornavano il terreno. Un piede mozzato era incastrato in un arboscello che era cresciuto curvo e rachitico per la mancanza di luce.

      I corpi erano devastati da solchi e tagli insanguinati. Un sacco di sangue. Troppo, tanto da suggerire che le vittime fossero rimaste in vita per buona parte di quella carneficina.

      Luka